L'inflazione può constringere Pechino a modificare il modello si sviluppo
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Crescita record dell’11,4% nel 2007 per il Prodotto interno lordo (Pil) cinese. Ma si prevede rallenti quest’anno, per la minor domanda mondiale dei suoi prodotti, la necessità di contenere l’inflazione e l’aumento del costo del lavoro. Esperti osservano che il Paese deve rivedere il proprio modello di sviluppo, prima di allentare le misure di controllo sui prezzi.
Negli ultimi 5 anni la crescita media è stata del 10,6% e Pechino ha contribuito a trainare l’economia mondiale. Ma la recessione mondiale, spinta anche dalla crisi dei prestiti subprime Usa, causa la diminuzione della domanda per le esportazioni cinesi, voce che ha contribuito per circa un terzo all’aumento del Pil nel 2007.
Pechino sta adottando severe misure antiinflazionistiche e – come al South China Morning Post spiega Zhao Qinming, esperto della China Construction Bank a Pechino - gli economisti attendono di vedere entro marzo se ci saranno, come auspicato, un forte aumento dei consumi interni e una diminuzione degli investimenti. Il Governo vuole soprattutto evitare possibili crisi economiche prima delle Olimpiadi di agosto.
L’allarme inflazione rimane alto, dopo che a dicembre l’aumento dei prezzi al consumo è stato del 6,5%, appena inferiore al +6,9% di novembre. Nel 2007 Pechino ha aumentato 6 volte i tassi di interesse e ha ordinato alle banche di concedere meno prestiti. A gennaio ha congelato i prezzi di energia e trasporti e ha imposto prezzi controllati sugli alimenti almeno fino al Nuovo anno lunare (che inizia il 7 febbraio). L’aumento dei prezzi rischia di causare proteste sociali, anche perché si allarga il divario tra i redditi di chi vive in città (giunti nel 2007 alla media di 13.786 yuan, 1.908 dollari) e i rurali (con 4.140 yuan annui pro capite).
Intanto diminuisce l’offerta di mano d’opera a basso costo. Nell’industrializzato delta del Fiume delle Perle c’è penuria di almeno 2 milioni di operai, il 10% della forza lavoro migrante della zona, e le fabbriche sono costrette ad aumentare le paghe e migliorare le condizioni di lavoro. Xu Songyuan, dirigente di una fabbrica tessile a Dongguan, osserva che 2 anni fa un operaio prendeva 800 yuan al mese, mentre “ora dobbiamo pagare 1.600 yuan [al mese] e dargli un alloggio gratuito e l’assicurazione sociale”. Prevede che un quinto dei suoi 66 dipendenti non torneranno dopo il Nuovo anno lunare. Alcune ditte hanno dato agli operai persino i biglietti del treno di ritorno, dopo le vacanze del Nuovo anno, e hanno portato queste vacanze da 7 a 13 giorni. La taiwanese ditta elettronica Foxconn ha aumentato il salario degli operai e dà loro gratis vestiti da lavoro, servizio di lavanderia, dormitori con acqua calda, trasporti e assicurazione sociale.
Ma la fuga degli operai dalla zona continua, perché le offerte sono migliori altrove. A Shijiazhuang (Hebei) danno 2mila yuan mensili per un carpentiere esperto. Molte ditte manifatturiere hanno per anni sfruttato i migranti per tenere bassi i prezzi. Per cui l’aumento dei salari aumenta la spinta inflattiva. Tuttavia molti esperti concordano che questo favorirà l’aumento del consumo interno, che potrà assorbire la produzione, prima diretta all’esportazione.
La Cina vuole anche aumentare il commercio con i Paesi asiatici. Nel 2007 Pechino è diventato il principale importatore di merci dal Giappone, per 17,4 trilioni di yen (163,6 miliardi di dollari), superando gli Stati Uniti. Ma la gran parte di queste merci è poi assemblata in Cina in prodotti esportati negli Usa e in occidente., in definitiva esportando inflazione.
In questa situazione Zhang Yongiun, esperto del Centro di informazione statale, ente di consulenza del governo, ritiene che “lo stretto controllo [sull’economia] dovrà perdurare, almeno nel breve periodo, poiché la crescita economica è ancora elevata e l’inflazione aumenta. Queste strette misure potranno diminuire solo nel secondo semestre, se la crescita economica avrà rallentato e l’inflazione sarà diminuita”. (PB)
26/06/2020 11:47