25/01/2010, 00.00
IRAQ - IRAN
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L’ombra di Teheran e Washington sulle elezioni in Iraq

di Layla Yousif Rahema
Le elezioni di terranno il 7 marzo prossimo. Al Maliki approva l’esclusione di 511 candidati, legati al partito Ba’ath. Fra gli esclusi vi sono sunniti, sciiti moderati e membri di partiti non confessionali. Tensione fra il presidente Talabani (curdo) e il premier (sciita).
Baghdad (AsiaNews) – La visita del vicepresidente americano Joe Biden lo scorso week-end a Baghdad aveva un solo scopo: tentare di calmare le acque agitate della politica irachena in vista delle elezioni generali del 7 marzo. Ma intanto il premier Nuri al Maliki (sciita) e il presidente Jalal Talabani (curdo) ingaggiano un braccio di ferro sulla esclusione di 511 candidati per presunti legami con il Ba’ath, l’ex partito di Saddam.
 
Talabani ha chiesto, infatti, alla Corte Suprema di pronunciarsi sulla legalità della Commissione di giustizia e responsabilità, l’organo che ha deciso l’esclusione di centinaia di candidati dalla competizione alle urne. Provvedimento poi ratificato dalla Commissione elettorale e appoggiato dal premier. Talabani avrebbe agito sotto pressione di Washington, preoccupata che l’esclusione di diversi sciiti laici e sunniti dalle legislative possa riaccendere con violenza la scintilla dello scontro interetnico a pochi mesi dal programmato ritiro delle sue truppe. Secondo la stampa araba, inoltre, gli Stati Uniti avrebbero chiesto a Baghdad di rinviare l’applicazione delle misure di de-ba’athificazione a dopo le elezioni. Dal canto suo Maliki ha fatto sapere che non tollererà ingerenze esterne nell’appuntamento elettorale.
 
E se dietro il presidente iracheno si intravede la mano di Washington, c’è chi indica in Teheran il regista del verdetto della Commissione di giustizia e responsabilità. A capo di quella che altro non è se non la vecchia Commissione suprema di de-ba’athificazione, siede Ahmed Chalabi: ideatore della de-ba’atificazione ed ex alleato del Pentagono, ha giocato un ruolo chiave nell’invasione americana in Iraq, ma oggi è considerato un agente al soldo dell’Iran. Il direttore esecutivo, invece, è Ali Faisal al-Lami: ha passato un anno in custodia degli Usa, perché ritenuto implicato in un attacco a edifici governativi a Sadr City che uccise due americani. Entrambi si presentano alle elezioni del 7 marzo con l’Iraqi National Alliance, che raggruppa la maggioranza delle forze sciite. La Commissione garantisce che i nominativi della backlist sono di persone che hanno fatto parte dell’apparato politico o militare di Saddam Hussein. I più penalizzati sono i candidati arabo sunniti, il cui sentimento di emarginazione sale di giorno in giorno, e quelli di orientamento laico e nazionalista come i membri dell’alleanza dell’ex premier Iyad Allawi.
 
La visita nel fine settimana di Biden a Baghdad, la terza dal ritiro delle truppe Usa dalle città nel giugno scorso, ha avuto come scopo proprio la ricerca di un compromesso tra la parti in causa. Per ora il vice di Obama si è detto fiducioso che gli iracheni sapranno “superare anche queste divergenze in un processo politico”. Ha assicurato, poi, che Washington non interferirà nel processo elettorale, ma ha espresso preoccupazione che lo scontro sulla blacklist dei candidati possa ripercuotersi in termini di credibilità sulle elezioni generali. Già prima della visita di Biden si erano diffuse voci secondo le quali funzionari americani avrebbero ammonito il governo iracheno dell’eventualità che Stati Uniti e comunità internazionale non riconoscano l’esito delle elezioni di marzo, se verrà confermata l’esclusione dei 511 candidati.
 
 
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