L’attacco del Dalai Lama: “Sul mio successore decido io”
di Nirmala Carvalho
Il leader religioso, durante l’undicesimo Incontro biannuale con i leader del buddismo tibetano e quelli della religione ancestrale Bon, spiega che Pechino “non ha alcun potere sulla questione. E non è escluso che interrompa la tradizione delle rinascite”. La Cina risponde: “Impossibile”. Nel frattempo, altri due giovani monaci si danno fuoco per chiedere libertà religiosa in Tibet.
Dharamsala (AsiaNews) – Il governo cinese “non ha alcun potere sulle reincarnazioni dei buddha viventi” e quella del Dalai Lama “è un’istituzione sulla quale soltanto io posso decidere. E lo farò, ma quando avrò 90 anni: sono ancora in salute”. Lo ha scritto il XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso, nel documento con cui ha concluso l’undicesimo Incontro biannuale con i leader del buddismo tibetano e quelli della religione ancestrale Bon.
Il 76enne leader religioso ha chiarito una volta per sempre su chi dovrà scegliere e riconoscere il suo successore, ricordando alle autorità cinesi che “l’ultima parola sulla nomina della nuova guida spirituale dei tibetani non spetta certo a Pechino. Consulterò i grandi lama della tradizione buddista tibetana, il popolo del Tibet e altri fedeli e procederò a una rivalutazione dell’istituzione del Dalai Lama per decidere se debba essere tramandata o meno”.
Ma – ha sottolineato ancora il Nobel per la Pace – “al di fuori della reincarnazione, accertata con metodi legittimi, nessun candidato può pretendere un riconoscimento qualora sia stato scelto per fini politici da chicchessia, compresi coloro che si trovano nella Repubblica Popolare Cinese”. Il Dalai Lama conclude chiarendo che la sua prossima reincarnazione “è un affare solo mio” e che “nessuno ha il diritto di interferire”.
In base alla tradizione tibetana i monaci dovranno identificare un bambino che presenti dei segni mediante i quali possa essere identificato come la reincarnazione dell'ultima guida spirituale; tuttavia il Dalai Lama aveva ipotizzato in passato una rottura di tale tradizione scegliendo un successore prima della sua morte o fra i tibetani in esilio, oppure mediante un’elezione.
Proprio su questa tradizione ha reagito il governo cinese, ateo e comunista. Secondo il portavoce del ministero cinese degli Esteri, Hong Lei, “il XIV Dalai Lama è stato approvato dal governo. E nessun leader buddista ha mai identificato la propria reincarnazione o scelto il suo successore”.
Ma la questione del Tibet si fa sempre più spinosa. Per la quarta volta, infatti, due giovani monaci buddisti si sono dati fuoco per chiedere libertà religiosa e il ritorno del Dalai Lama nella regione. I due sono Lobsang Kalsang e Lobsang Konchok, di 18 e 19 anni: entrambi studiano presso il monastero di Kirti, nella contea orientale di Ngaba. Al momento sono ricoverati in gravi condizioni.
Il 76enne leader religioso ha chiarito una volta per sempre su chi dovrà scegliere e riconoscere il suo successore, ricordando alle autorità cinesi che “l’ultima parola sulla nomina della nuova guida spirituale dei tibetani non spetta certo a Pechino. Consulterò i grandi lama della tradizione buddista tibetana, il popolo del Tibet e altri fedeli e procederò a una rivalutazione dell’istituzione del Dalai Lama per decidere se debba essere tramandata o meno”.
Ma – ha sottolineato ancora il Nobel per la Pace – “al di fuori della reincarnazione, accertata con metodi legittimi, nessun candidato può pretendere un riconoscimento qualora sia stato scelto per fini politici da chicchessia, compresi coloro che si trovano nella Repubblica Popolare Cinese”. Il Dalai Lama conclude chiarendo che la sua prossima reincarnazione “è un affare solo mio” e che “nessuno ha il diritto di interferire”.
In base alla tradizione tibetana i monaci dovranno identificare un bambino che presenti dei segni mediante i quali possa essere identificato come la reincarnazione dell'ultima guida spirituale; tuttavia il Dalai Lama aveva ipotizzato in passato una rottura di tale tradizione scegliendo un successore prima della sua morte o fra i tibetani in esilio, oppure mediante un’elezione.
Proprio su questa tradizione ha reagito il governo cinese, ateo e comunista. Secondo il portavoce del ministero cinese degli Esteri, Hong Lei, “il XIV Dalai Lama è stato approvato dal governo. E nessun leader buddista ha mai identificato la propria reincarnazione o scelto il suo successore”.
Ma la questione del Tibet si fa sempre più spinosa. Per la quarta volta, infatti, due giovani monaci buddisti si sono dati fuoco per chiedere libertà religiosa e il ritorno del Dalai Lama nella regione. I due sono Lobsang Kalsang e Lobsang Konchok, di 18 e 19 anni: entrambi studiano presso il monastero di Kirti, nella contea orientale di Ngaba. Al momento sono ricoverati in gravi condizioni.
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