L’ascesa della politica economica islamista: i nuovi capitalisti
Londra (AsiaNews/Open Democracy) - Dopo le rivolte che hanno sconvolto il mondo arabo, gli islamisti e gli attivisti religiosi stanno prendendo il potere in Nord Africa e Medio Oriente. Essi detengono già la maggioranza parlamentare in diversi Paesi fra cui Tunisia, Egitto e Marocco, e hanno buone possibilità di vittoria anche in Libia e in Giordania (probabilmente anche in Siria dopo che si saranno calmate le violenze).
Negli ultimi quarant'anni, diversi movimenti islamici hanno accettato di scendere in politica, ponendosi come un'alternativa al fallimento del "patto autoritario" rappresentato dai regimi laici di ispirazione islamica. In questo periodo, gli islamisti hanno investito considerevoli capitali nella creazione di reti sociali a livello nazionale e locale, come ad esempio associazioni di liberi professionisti non governative, organizzazioni per lo sviluppo sociale, tessendo contatti di famiglia in famiglia. Diversamente dai loro oppositori laici, gli islamisti si sono esercitati nell'arte della politica locale, costruendo una formidabile macchina che più volte ha dimostrato la sua capacità di raccogliere voti.
Le recenti vittorie dei partiti islamici non sorprendono, perché sono stati ripagati dei loro sforzi con la fiducia degli elettori, aiutando lo sviluppo delle comunità locali durante il governo dei regimi autoritari.
Anche se i movimenti islamici non hanno guidato le rivolte che hanno fatto a pezzi i governi del mondo arabo, per la loro lunga resistenza ai regimi militari essi appaiono agli occhi della gente come una sorta di governi ombra. Il voto per i radicali islamici ha comportato una rottura netta con il passato e ha sviluppato l'idea che essi possano offrire lavoro, cibo, stabilità economica e trasparenza. Tuttavia, le fortune politiche della ascesa islamica dipenderanno da come essi riusciranno a soddisfare le aspettative della popolazione araba.
L'agenda economica
I partiti islamisti stanno diventando sempre di più degli "erogatori di servizi" a conferma che la loro legittimità politica e la probabilità di rielezione si basa sulla capacità di offrire posti di lavoro, crescita economica e trasparenza. Ciò ha introdotto un enorme livello di pragmatismo nelle politiche dei movimenti di ispirazione religiosa.
Lo sviluppo economico della Turchia ha avuto un forte impatto sugli islamisti arabi, molti dei quali vorrebbero emulare il modello turco. In altre parole, essi, hanno compreso la verità dello slogan "E' l'economia, stupido!". Il modello offerto da Ankara, che ha il suo perno nella borghesia osservante, ha fatto emergere che islamismo e capitalismo sono compatibili e si rafforzano reciprocamente.
Si noti che l'agenda economica dei partiti islamici non presenta un modello economico islamico distinto. Ciò non sorprende, proprio perché non esiste un esempio di economia islamica.
Gli islamisti soffrono per la carenza di idee originali sull'economia e non hanno ancora sviluppato un modello con cui affrontare la crisi strutturale del sistema socio-economico arabo.
Tuttavia, ciò che distingue i gruppi di ispirazione religiosa da quelli di sinistra o nazionalisti è una spiccata sensibilità verso gli affari, compresa l'accumulazione di ricchezze e l'economia di libero mercato. L'islamismo è un movimento borghese composto in gran parte dai professionisti della classe media, uomini d'affari, negozianti, commercianti e piccoli imprenditori.
Se dovessimo scegliere uno slogan per descrivere l'attitudine economica degli islamisti esso sarebbe "l'islam è ottimo per gli affari". Molti musulmani radicali ammirano e desiderano imitare l'esempio della Turchia, anche se conoscono poco la complessa economia del Paese e le sue mancanze nel sistema strategico. Ciò che li impressiona è il dinamismo di Ankara, in modo particolare quello della borghesia musulmana osservante di provincia che ha trasformato le città dell'Anatolia come Kayseri, Konya e Gaziantep in potenze industriali che guidano ora la crescita dell'economia turca.
In Egitto i Fratelli musulmani hanno assicurato i poteri occidentali che manterranno un sistema economico capitalistico di libero mercato. L'architetto della politica economica del movimento islamico, l'uomo d'affari milionario Khairat al-Shater, ha zittito le voci interne all'organizzazione che chiedevano un approccio più egualitario e socialista. Pur non possedendo alcuna carica pubblica, nell'aprile 2012 egli ha incontrato i funzionari del Fondo monetario internazionale che stavano negoziando con il governo egiziano un finanziamento di 3,2 miliardi di dollari. Secondo l'Fmi vi era bisogno di un ampio sostegno politico per concludere l'affare.
Dopo che i Fratelli musulmani hanno confermato la candidatura di al-Shater per le elezioni presidenziali (e prima della sua squalifica da parte della Commissione elettorale), il movimento ha intensificato i suoi contatti con i Paesi occidentali; lo stesso al-Shater ha offerto le sue garanzie ai diplomatici e agli economisti statunitensi durante la loro visita al Cairo.
In un'intervista ad al-Jazeera, egli ha affermato che la sua amministrazione avrebbe dato priorità assoluta allo sviluppo del Paese, basandosi su riforme strutturali e crescita. Mohamed Habib, ex vice-guida suprema dei Fratelli musulmani, ha parlato di "un giro di vite interno alla Fratellanza per eliminare coloro che avevano idee diverse in campo economico".
L'economia islamica
Se gli islamisti moderati sono generalmente per l'economia di libero mercato e sempre lo sono stati, essi cercano anche la legittimazione religiosa per le loro politiche economiche. I partiti islamici hanno pubblicamente promesso di promuovere la giustizia sociale e hanno sottolineato più volte la loro lunga attività a favore dei poveri. La maggior parte ha scelto nomi come "Giustizia e sviluppo" o "Libertà e giustizia", una scelta che mostra le loro preoccupazioni per la società, se non la loro priorità politica. In questo senso, alcune misure economiche specifiche basate sulla religione saranno introdotte per completare il capitalismo di libero mercato.
I Fratelli musulmani, insieme ai salafiti che sono religiosi ultra-conservatori, ma sono innamorati del capitalismo alla pari dei loro alleati, hanno già chiesto l'introduzione di un indice delle compagnie che rispettano la sharia. Ciò fa parte di un progetto più ampio verso un'economia islamica. L'idea è destinata a raccogliere consensi alla base del movimento e attrarre gli investimenti dei Paesi del Golfo, dove già esiste un sistema economico compatibile con la sharia, ma che non altera le condizioni dell'economia di libero mercato appoggiata dagli islamisti.
Allo stesso modo, secondo Ridha Chkoundali, organizzatore del programma economico di Ehannada, partito dei Fratelli Musulmani in Tunisia, "il sistema bancario tunisino sarà diversificato e anche quello finanziario sarà adeguato a quello tradizionale delle banche islamiche...in questo modo, ci sarà più competizione fra le banche". Anche in Marocco Abdelilah Benkirane, neo Primo ministro, ha riconosciuto l'importanza di affrontare le questioni economiche: "Faremo di tutto per incoraggiare gli investimenti locali ed esteri per creare un clima di prosperità".
La doppia sfida
Non c'è nulla nei comunicati stampa e nelle dichiarazioni fatte in questo periodo dagli islamisti che mostri il loro orientamento al socialismo, sebbene molti accettino senza difficoltà il modello keynesiano di un ruolo attivo dello Stato nell'economia. Fra i radicali islamici, l'approccio interventista è appoggiato soprattutto dai salafiti, che chiedono con forza l'utilizzo di misure di ridistribuzione della ricchezza per ridurre la crescente povertà. Tuttavia, per la maggior parte degli islamisti l'approccio dominante all'economia, con poche variazioni, è il capitalismo di libero mercato. In Egitto, Tunisia e Marocco, i Fratelli musulmani, Ennahda e il Partito per la giustizia e lo sviluppo hanno sufficienti interessi per cercare accordi con le istituzioni della finanza mondiale, come il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale; essi non hanno i mezzi o la sensibilità ideologica per restare isolati, perché i loro Paesi non hanno accesso a grandi rendite o risorse energetiche, in modo particolare il petrolio.
Questi islamisti devono quindi affrontare una enorme sfida: raggiungere dei miglioramenti economici in breve tempo e portare avanti un programma di riforme di lungo periodo basato sulla produzione. I nuovi governi avranno serie difficoltà ad affrontare e risolvere nel breve termine le condizioni socio-economiche degli Stati arabi caratterizzati da povertà, tassi di disoccupazione a doppia cifra e dall'inesistenza di un settore economico privato competitivo.
Tuttavia, come altri movimenti politici, i partiti islamici seguono un preciso programma elettorale e vogliono essere rieletti. Avranno il tempo, lo spazio e la capacità di investire in innovazione, tecnologia e strategia economica per portare avanti un progetto di sviluppo sostenibile anche nel breve periodo? Oppure cederanno alla tentazione di strumentalizzare la politica per ottenere consensi?