Kisrawan, giovani cristiani (e musulmani) uniti sul tema della fratellanza
La Jeunesse étudiante chrétienne (Jec), coordinamento del Medio oriente, ha promosso una due giorni di seminario, primo evento in presenza post-Covid. Al centro dei lavori l’enciclica “Fratelli tutti” e il Documento sulla fratellanza di Abu Dhabi. L’esplosione al porto di Beirut e l’omicidio della giornalista palestinese occasioni di unità e “fusione” fra comunità diverse.
Beirut (AsiaNews) - Il coordinamento regionale della Jeunesse étudiante chrétienne (Jec) di Libano, Siria, Giordania, Palestina ed Egitto ha da poco rilanciato le attività nell’era post-Covid, organizzando una due giorni di lavori nel distretto di Kisrawan, in Libano, dal 23 al 24 agosto scorso. Un appuntamento finalizzato ad orientare in modo più efficace i dettami dell’enciclica “Fratelli tutti” (2020) di papa Francesco su fraternità e amicizia, oltre al Documento sulla Fratellanza umana del 2019 di Abu Dhabi. All’evento hanno aderito 36 fra ragazzi e ragazze, due di fede musulmana venuti dalla Fondazione libanese Adyan, che hanno partecipato alle sessioni.
Tuttavia, come si può vivere da “Fratelli tutti”, secondo il motto di san Francesco, in questo tempo caratterizzato da predatori e lupi? “La fraternità è la sfida di questo tempo” assicura p. Joseph Salloum, sacerdote maronita e cappellano della Jec-Moyen-Orient. Egli inquadra la sessione tenuta con due membri permanenti del movimento, Innocent Odongo (Uganda) e Roy Ibrahim (Libano), in una cornice più ampia di formazione presso il quartier generale di Parigi.
Un momento forte
La convivialità libanese indicata da Giovanni Paolo II come modello dei rapporti umani, in un contesto tanto sociale quanto politico, è emerso con forza in uno momenti più significativi delle sessioni: durante la testimonianza di Ziad Fahed, docente universitario. Si tratta di una storia vera, che può ben fungere da parabola moderna. Accaduta a Qalamoun, sulla costa del Nord Libano, in piena guerra civile. Un giorno d’inverno, un uomo della regione esce per pescare. Egli si trova in barca, sapendo che nelle giornate di leggera foschia il pesce abbonda. All’improvviso avverte delle grida e, con sua somma sorpresa, scorge tre bambini dall’apparente età di meno di 10 anni e un cane, alla deriva a bordo di una zattera di fortuna. Sono affamati, perché non toccano cibo da tre giorni. Li recupera e li porta con sé.
La storia diventa di dominio comune. Siamo in piena fase di sequestri e, secondo alcuni, bisognava approfittare di questa occasione per trovare un accordo finalizzato allo scambio di ostaggi. Tuttavia, per questo modesto pescatore libanese, tutto di un pezzo e incorruttibile, le leggi dell'ospitalità sono sacre. Infine, grazie alla Croce Rossa libanese, i bambini vengono restituiti ai loro genitori, che li avevano portati in una spiaggia di Beirut e pensavano di averli perduti per sempre, trascinati via da una corrente marittima. Oggi, il figlio di quest’uomo, lo sceicco Firas Ballout, avendo visto suo padre comportarsi in questo modo, è uno dei principali protagonisti del dialogo tra culture e religioni a Tripoli. Questa storia, così chiara, ben si presta a riassumere la sessione: “Chi è il mio prossimo?” viene chiesto a Gesù, che risponde nella sostanza citando la parabola del Buon samaritano: il mio prossimo è qualunque uomo del quale io mi faccio vicino, prima di aggiungere: “Vai, e anche tu fai lo stesso”.
Un codice applicabile?
Ma, per andare al fondo della questione, questo codice è forse applicabile in un Medio oriente lacerato o in una Palestina in cui il suo popolo è lasciato alla mercé dei proiettili? Non siamo forse di fronte a un ottimismo che sfocia nell’ingenuità? La catastrofica esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020, che ha suscitato un movimento di solidarietà senza precedenti fra i giovani, e l’assassinio della giornalista cristiana palestinese Shirine Abou Aqleh (nel maggio scorso) sono proposti come modelli di unità, nella misura in cui hanno aiutato libanesi e palestinesi di tutte le confessioni a “fondersi”. A reagire come un solo popolo, davanti alle sventure che lo hanno colpito.
“É tutta la Palestina che ha sotterrato Shirine Abou Aqleh” sottolinea Raffy, un palestinese, che ricorda come tutti abbiano visto la brutalità della polizia israeliana che ha quasi rovesciato la bara della giornalista, cercando in ogni modo di impedire che fosse portata in processione.
Un movimento internazionale
Fondato negli anni ‘10, in Francia, la Jeunesse étudiante chrétienne (Jec) è un movimento internazionale rivolto a giovani, studenti delle superiori e universitari, credenti o meno, che condividono valori umanistici e cristiani incoraggiati ad aprirsi al mondo che li circonda secondo l’approccio “See, Judge, Act”. Riconosciuta dalla Santa Sede, la Jec ha uno status operativo presso l’Unesco. Presente in 86 Paesi, ha circa 600 membri nelle parrocchie di Beirut, Saida e Zahlé.
Un difficile apprendimento
La trentina di giovani presenti hanno potuto ascoltare, nell’arco delle due giornate, testimoni, maestri, teologi e politici parlare loro del difficile apprendimento del concetto di fraternità, in un contesto regionale che resta teso.
La prima giornata è stata dedicata all’enciclica “Fratelli tutti” e al Documento sulla Fratellanza umana presentato da Roula Talhouq, professoressa all’Istituto di scienze religiose della Usj e da p. Tony Khoury. Il pomeriggio è stato caratterizzato dalle testimonianze di Raymond Nader, ex esponente delle Forze libanesi il cui viaggio spirituale passa attraverso il convento di Annaya e la tomba di San Charbel. E ancora da Ziad Fahed, professore all'Università di Louaizé, ammiratore di frère Roger de Taizé, entrambi profondamente cambiati dagli effetti della guerra civile (1975-90).
Il secondo giorno è stato più didattico, con presentazioni classiche sulla convivenza fatte da teologi cristiani e musulmani: p. Elie Haddad, gli sceicchi Hussein Ali el-Amine e Mohammad Nokkari, nonché figure politiche affermate come l’ex ministro Ibrahim Chamseddine e il deputato Adib Abdel Massih (Koura), oltre a leader emergenti come Mira Neaimeh (Consiglio delle Chiese del Medio Oriente) e Nijad Charafeddine, nipote dell’imam Moussa Sadr di Beirut, Saida e Zahlé.