Kirill: L’Apocalisse bolscevica causata dal tradimento dell’intellighentsija
Il patriarca ortodosso di Mosca è fra le poche voci che cercano di approfondire le cause storiche della Rivoluzione d’Ottobre, a 100 anni dallo scoppio. In generale i russi preferiscono le soap-opera delle rievocazioni storiche piene di intrighi e di amanti del passato zarista. L’anima russa inquinata dall’occidente illuminista.
Mosca (AsiaNews) - Oggi 7 novembre si compie il giubileo secolare della Grande Rivoluzione d’Ottobre, l’evento drammatico e apocalittico che ha cambiato la storia della Russia e, in buona parte, del mondo intero. Dopo un anno di stentati dibattiti e imbarazzate rievocazioni, la Russia riesce infine ad archiviare lo spettro che agita le sue notti e offusca lo sguardo al futuro.
Si potrebbe dire che la discussione più accesa dell’anno giubilare nel Paese ha riguardato il vacuo film “Matilda”, che in realtà è poco più di una trasposizione cinematografica dei cliché da soap-opera, con ricostruzioni in costume di intrighi e amori di corte del passato. Dai Tudor ai Borgia, nelle serie tv occidentali, alla sequela di rievocazioni che ogni giorno passano dagli schermi tv, i russi sono ansiosi di recuperare la loro storia dopo tanta censura sovietica. E si godono a vedere rappresentanti gli elmi dei variaghi normanni, le crudeltà di Ivan il Terribile e i dubbi amletici di Boris Godunov, per passare in rassegna le vicissitudini degli zar Romanov, dal grande Pietro I alle tante donne di potere del Settecento, passato agli annali come “il secolo degli amanti”, soprattutto quelli della zarina Caterina.
Invece, la rivoluzione e il tetro regime comunista, pur rappresentando una grandezza perduta e continuamente rimpianta, non eccitano la fantasia dello spettatore. E le riflessioni appena più approfondite del pettegolezzo, come quelle dei pochi filosofi o dei leader religiosi, non certo dei politici, sono cadute nell’indifferenza generale.
La pseudomorfosi dell’anima russa
Solo il patriarca ortodosso Kirill (Gundjaev), la guida morale del post-comunismo, ha provato di nuovo nei giorni scorsi a richiamare i motivi che portarono la Russia a rinnegare la propria storia, e a suo parere anche la sua vocazione. Rivolgendosi al popolo dopo una liturgia nella cattedrale dell’Assunzione al Cremlino, il capo della Chiesa russa ha osservato che “nella congiuntura politica di 100 anni fa, se non ci facciamo condizionare dai punti di vista ideologici, possiamo vedere e capire molte cose. L’inizio delle malattie nazionali, che hanno portato a quella catastrofe, va fatto risalire non a uno, o cinque o 10 anni prima, ma come minimo ad almeno 200 anni prima, e forse anche di più, quando cominciarono a frantumarsi le fondamenta spirituali della vita della nostra società più elevata, la cosiddetta élite”. Il patriarca ha voluto così ribadire la tesi classica della pubblicistica ortodossa, secondo cui tutto è iniziato con la “pseudomorfosi” dell’anima russa, come ebbe a dire il teologo Georgij Florovskij dopo la rivoluzione.
A rovinare l’autentica vocazione cristiana della Russia fu l’ingresso degli influssi dell’Occidente, la scolastica latina prima e le filosofie illuministe poi, quando “le persone hanno venduto la propria anima e la propria ragione a ciò che veniva da fuori senza alcuno spirito critico, trasformando e rieditando sotto l’influsso di queste idee la propria fede, la propria visione del mondo, il proprio sguardo sulle cose”. I portatori di questa infezione, la classe dirigente a cui Kirill fa riferimento, non sarebbero tanto i politici o gli aristocratici, ma la cosiddetta intelligentsija, termine latino russificato, per indicare gli intellettuali “traditori” che hanno sviato il popolo dalla retta via.
Tale giudizio rievoca le riflessioni dei filosofi religiosi esiliati dalla Russia dopo la rivoluzione, come Berdjaev e Bulgakov, Frank e Losskij e tanti altri, imbarcati nel 1922 sulla cosiddetta “nave dei filosofi” che diede vita alla grande cultura dell’emigrazione russa in Francia e nel mondo intero. In Italia, per esempio, si trasferì il poeta e filosofo Vjačeslav Ivanov, discepolo di Vladimir Solov’ev, che si convertì al cattolicesimo per testimoniare la necessità di respirare con “due polmoni” del cristianesimo d’oriente e d’occidente e vincere il secolarismo illuminista in tutte le sue dimensioni.
Lo stesso patriarca Kirill ha infine ammonito che la Chiesa in questi due secoli è stata ridotta al silenzio, non solo dalle persecuzioni comuniste, ma prima ancora dalla mentalità moderna che la vuole confinata nella sfera intima della coscienza. Secondo Kirill, “anche oggi ci sono determinati poteri nella società, che non vogliono che la Chiesa proclami la verità al suo popolo… ci dicono: andate nelle vostre chiese e chiudete le porte, e lì fate quello che vi pare”.