'Kashmir files': il film che riaccende il conflitto tra musulmani e indù
Sembra essere senza fine lo scontro per la regione divisa tra Pakistan e India. L'ultimo film bollywoodiano racconta dell'esodo dei pandit tra il 1989-90, ma è stato accusato di revisionismo storico. Il Bjp ha reso la pellicola esentasse per promuoverne la visione. Tra civili e militari, lo scorso anno nel Kashmir sono morte almeno 350 persone.
New Delhi (AsiaNews) - L’ultimo film di Bollywood, "Kashmir files", non solo “ha sbancato al botteghino”, guadagnando oltre 7 milioni di euro in una settimana, ma, dopo aver riacceso il dibattito sulla regione per decenni contesa tra India e Pakistan, sta continuando ad alimentare l’odio verso i musulmani indiani, promosso dalla propaganda del premier Narendra Modi e del suo partito, il nazionalista indù Bharatiya Janata Party (Bjp).
La pellicola, diretta e prodotta da Vivek Agnihotri, racconta la storia di un giovane indiano che scopre che i genitori non sono morti in un incidente, come gli aveva spiegato il nonno, ma sono stati uccisi dai ribelli del Kashmir al tempo dell’insurrezione (chiamata anche intifada).
Quando nel 1989 è scoppiata una rivolta contro il dominio indiano, centinaia di migliaia di indù, conosciuti come “pandit del Kashmir”, sono stati costretti a lasciare le loro case e trasferirsi in India a causa della violenza degli insorti musulmani. Aiutati dal Pakistan, essi si opponevano al dominio indiano sulla regione, teatro di violenze e scontri dal 1947, anno della partizione del Pakistan dall’India, fino ai giorni nostri.
Il film, accusato di revisionismo storico, ha goduto degli incentivi offerti dal Bjp. Non solo è stata condotta un’articolata campagna sui social che esortava i cittadini a guardare la pellicola “se avevano a cuore il futuro”, ma gli Stati governati dal Bjp hanno concesso alla pellicola esenzioni fiscali (rendendo il biglietto più economico) e offerto il congedo dal lavoro ai funzionari pubblici che volevano andare a vedere il film al cinema. Il 14 marzo il noto sito di recensioni IMDb aveva notato delle “attività insolite" sulla pagina dedicata a Kashmir files, che aveva ottenuto un punteggio di 9,9. Dopo aver ricalibrato il sistema di rating, in serata la valutazione era scesa a 8,3.
L’opposizione ha accusato il regista Vivek Agnihotri di aver usato la tragedia dei pandit del Kashmir in “maniera deliberatamente fuorviante per servire una causa di parte", alimentando la “verve propagandistica” del Bjp. Negli ultimi giorni sono circolati online video (la cui autenticità non è stata ancora verificata) di persone che durante la proiezione in diverse sale cinematografiche esultano e incitano alla violenza contro i musulmani.
Nel film l’esodo degli indù viene chiamato “genocidio”, ma la questione è da ricondurre alla disputa sull’autonomia della regione. Quando l’impero britannico si è ritirato dai territori coloniali in Asia meridionale, ha lasciato agli Stati principeschi la possibilità di scegliere se unirsi all’India o al Pakistan, valutando la fede religiosa della maggioranza della popolazione. Hari Singh, maharaja del Kashmir, propendeva per l’India nonostante la regione - conosciuta anche come Jammu e Kashmir - fosse per lo più abitata da musulmani. Subito sono iniziati gli scontri con il Pakistan, che vedeva il Kashmir come una naturale estensione del proprio territorio. Anche se India e Pakistan dovrebbero amministrare due porzioni differenti della regione (più povera e quasi disabitata quella governata da Islamabad, più vivace quella gestita da Delhi) a cui dovrebbe essere concesso un certo grado di autonomia, i gruppi indipendentisti non hanno mai smesso di condurre attentati e azioni violente contro le Forze dell'ordine.
Dopo il fallimento di tutti i tentativi diplomatici, verso la fine degli anni ‘80 hanno cominciato a nascere movimenti di militanza che chiedevano alternativamente l’unione con il Pakistan o l’autonomia del Kashmir. Nel tempo, nonostante la massiccia presenza militare indiana, l'area è diventata territorio fertile anche per gruppi jihadisti e islamisti radicali. Delhi ha più volte accusato Islamabad di “terrorismo transfrontaliero”.
Nell’agosto 2019 Modi ha revocato lo status speciale di autonomia del Kashmir e intensificato le operazioni militari. Subito dopo la decisione le comunicazioni sono state sospese ed è stato imposto un coprifuoco per combattere le ribellioni. Da quando è salito al potere nel 2014, Modi ha inoltre promosso un riequilibrio demografico, esortando le famiglie di ex sfollati ad andare a vivere nella regione a maggioranza musulmana.
I dati sugli scontri sono difficili da raccogliere e valutare: secondo alcuni gruppi di attivisti i morti dal 1989 al 2011 sarebbero oltre 100mila, cifra che il governo indiano abbassa a 41mila per il periodo dal 1990 al 2017. Solo l’anno scorso nella parte amministrata dall’India sono morte 350 persone tra civili e militari.
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