Israele, i profughi ucraini e l' ’identità ebraica’ dello Stato
La ministra degli Interni si dice pronta ad accogliere 5mila persone in fuga dalla guerra e altri 20mila già "illegalmente" nel Paese oltre agli ebrei ucraini che hanno diritto alla cittadinanza ai sensi della Legge del ritorno. Permessi temporanei e possibilità di cercare lavoro. Il sindaco di Nof Hagalil, un passato da immigrato oggi in prima linea nell’accoglienza degli ucraini “olim”.
Gerusalemme (AsiaNews) - Da un parcheggio sotto la sede del suo ufficio a Nof Hagalil, comune nel nord di Israele, il sindaco Ronen Plot riceve telefonate e coordina lo stoccaggio del materiale, mentre i volontari sono impegnati a scaricare coperte e vestiti donati per i rifugiati in fuga dalla guerra in Ucraina. Il 67enne primo cittadino, intervistato dall’Afp, ricorda che il municipio “è fondato sull’immigrazione” e lui stesso è arrivato circa 50 anni fa dalla Moldavia. Oggi la storia si ripete con le decine di migliaia di persone in fuga dal conflitto russo-ucraino. “Assorbiremo il maggior numero di persone possibili” assicura. Con una domanda di fondo, però: l'accoglienza deve valere solo per gli ucraini “olim”, ovvero immigrati di origini ebraiche che possono beneficiare della cosiddetta “Legge del ritorno”, oppure per tutti i rifugiati ucraini?
Sulla questione è intervenuta ieri la ministra degli Interni Ayelet Shaked, la quale ha sottolineato che Israele è pronta ad accogliere fino ad altri 5mila profughi in fuga dall’invasione russa. Inoltre, ai 20mila immigrati di origine ucraina fra gruppi familiari allargati e lavoratori con visto scaduto che erano già presenti nel Paese “in modo illegale” prima dell’inizio dei combattimenti, sarà offerta la possibilità di “beneficiare di un visto temporaneo”. A questi ultimi, nel caso in cui la guerra non dovesse concludersi “in un tempo ragionevole”, verrebbe concesso “il permesso di lavorare in Israele”.
Il Paese, avverte la ministra, rischia infatti di fronteggiare già l’arrivo di decine di migliaia di ucraini, le cui origini ebraiche consentono l’ingresso e il diritto automatico di cittadinanza in base alle norme vigenti. Nel frattempo agli altri 5mila profughi ammessi verrebbe rilasciato un visto di ingresso di tre mesi, in base al quale potranno mettersi alla ricerca di un lavoro e soddisfare le necessità quotidiane. Da qui l’ulteriore sforzo di mediazione del governo nella direzione della pace, o quantomeno una tregua, con una nuova telefonata intercorsa ieri fra il primo ministro Naftali Bennett e il presidente russo Vladimir Putin.
Tornando ai profughi ucraini, l’emergenza solleva una volta di più la questione legata all’identità “ebraica” dello Stato, che consente con la Legge del ritorno il diritto di ingresso e la cittadinanza a quanti possono dimostrare di avere un parente entro il secondo grado (nonni) ebreo. Tuttavia, la norma - o la sua applicazione - lascia irrisolto il punto riguardante le coppie miste le quali, in teoria, avrebbero tutto il diritto di tornare tanto che fra ebrei e russi immigrati negli anni ‘90 vi sono in realtà moltissimi cristiani “più o meno nascosti”.
La stessa Shaked, del partito religioso Yamina, nei giorni scorsi aveva lanciato un avvertimento, sottolineando che oltre il 90% degli ucraini giunti sinora ai confini di Israele non sono ebrei e il flusso di rifugiati “non può continuare così”. Meno del 10% degli ingressi [dato riferito al 6 marzo scorso] dei 2034 profughi ucraini può beneficiare della Legge del ritorno, avverte, enfatizzando il pericolo di ulteriori arrivi di “non ebrei”. Da qui la richiesta di “pianificare” nuovi ingressi e la stessa politica di accoglienza di quanti fuggono dalla zona teatro di guerra.
Secondo le autorità israeliane, dalla Russia e dall’Ucraina potrebbero giungere fino a 100mila “olim” e le loro famiglie, con un esodo di massa che ricorda la fuga dopo il crollo dell’allora Unione Sovietica. Entro la fine di marzo gli arrivi potrebbero toccare quota 15mila, con il 90% di questi qualificati secondo la Legge del ritorno, ma i numeri finirebbero per essere insostenibili in una nazione di 9,4 milioni di persone. Dati 2020 relativi all’ebraismo europeo indicano che in Ucraina vi sono 43mila persone che dichiarano (o si identificano) come ebrei e circa 200mila che possono emigrare in Israele in base al “ritorno”, a conferma di una discrepanza enorme fra beneficiari della norma che consente l’immigrazione ed ebrei tout-court.
Il tema è già oggetto di polemica in Israele, con il movimento ebreo ortodosso Yad L’Achim che accusa i missionari statunitensi di Chosen People Ministries di voler celebrare “battesimi di massa” nel Giordano di ebrei ucraini immigrati nel Paese. Con il pretesto di aiutare, accusano i radicali ortodossi, il movimento cristiano ne approfitterebbe per compiere conversioni di massa e diffondere il proprio credo religioso. Tuttavia, i vertici di Yad L’Achim si dicono pronti a tutto pur di “sventare” la minaccia e cancellare il “complotto missionario”.