Islamabad: container e blocchi di Internet per fermare i sostenitori di Imran Khan
Nei giorni scorsi il governo aveva arrestato migliaia di persone e bloccato le connessioni. I membri del partito dell'ex premier, guidati dalla moglie di Imran Khan e dal governatore della provincia del Khyber Pakhtunkhwa, oggi hanno raggiunto il centro della capitale, scontrandosi con le forze dell'ordine. Già sei le vittime.
Islamabad (AsiaNews/Agenzie) - Le proteste in sostegno dell’ex premier Imran Khan sono sfociate in scontri tra polizia e manifestanti: almeno sei persone sono morte finora, tra cui quattro agenti delle forze dell’ordine investiti da un convoglio di manifestanti, ha fatto sapere l’ufficio dell’attuale primo ministro, Shehbaz Sharif. “Non è una protesta pacifica. È estremismo”, ha aggiunto il premier, condannando lo spargimento di sangue e accusando i manifestanti di avere “disegni politici malvagi”.
Le forze di sicurezza hanno disposto una serie di container intorno al centro della capitale, Islamabad, per impedire ai manifestanti di raggiungere il Parlamento e il governo oggi ha minacciato di schierare anche l’esercito. Nei giorni scorsi, prima dell’inizio della marcia, erano già state arrestate 4mila persone e bloccate le connessioni, mentre oggi le forze dell'ordine hanno utilizzato gas lacrimogeni e proiettili di gomma sparando da in cima ai container nel tentativo di disperdere la folla.
Il Pakistan è in subbuglio da quando Imran Khan è stato sfiduciato dal Parlamento ad aprile 2022 dopo aver perso il favore dell’esercito, che, dopo decenni di dittatura militare, controlla ancora il panorama politico nazionale. Nonostante il partito di Imran Khan, il Movimento per la giustizia del Pakistan (Pakistan Tehreek-e-Insaf o PTI), abbia di fatto vinto le elezioni a febbraio di quest’anno, le due più note formazioni politiche del Paese, la Lega musulmana del Pakistan (PML) e il Partito popolare pakistano (PPP), si sono alleate per restare al governo, relegando il PTI all’opposizione. Da oltre un anno Imran Khan è detenuto in carcere, incriminato in oltre 150 casi diversi con accuse - a detta dei suoi sostenitori - fittizie.
Nonostante la detenzione, Imran Khan continua ad agitare la propria base di elettori attraverso i social. Nei giorni scorsi l’ex premier 72enne (stella del cricket in gioventù) aveva chiesto ai propri sostenitori di radunarsi a Islamabad per un sit-in di protesta, guidato da sua moglie, Bushra Bibi, e dal governatore della provincia del Khyber Pakhtunkhwa, Ali Amin Gandapur, membro del PTI e stretto collaboratore di Khan.
Nei giorni scorsi Gandapur aveva annunciato che avrebbe portato la protesta fino al D-Chowk di Islamabad: si tratta di un’area centrale che ospita le principali istituzioni governative e dove Khan aveva già svolto altre proteste nel 2014. “Non ce ne andremo finché Imran Khan non ce lo ordinerà”, ha detto oggi Gandapur sventolando la banidera del PTI da un convoglio. Le autorità del Pakistan avevano posto la capitale sotto misure di sicurezza per impedire ai manifestanti di raggiungere il centro della città già domenica 24 novembre dopo l'annuncio del sit-in da parte del PTI.
Tra le richieste del partito c’è la revoca degli emendamenti costituzionali approvati il mese scorso che permettono al Parlamento di nominare il presidente della Corte suprema, prima scelto in base a un criterio di anzianità. Negli ultimi anni il tribunale si era più volte espresso a favore della scarcerazione di Khan.
Da quando sono iniziate le tensioni circa quattro giorni fa, il governo ha sospeso le connessioni Internet, mentre alcune piattaforme social come X (ex Twitter) sono bloccate da mesi. Tuttavia, grazie alle VPN (un sistema che permette di eludere i blocchi di Internet messi in atto dalle autorità modificando la geolocalizzazione), giornalisti, attivisti e cittadini continuano ad accedere alla piattaforma, considerata fondamentale per ottenere informazioni, anche se con crescenti difficoltà.
Nei giorni scorsi il Consiglio dell’ideologia islamica del Pakistan aveva dichiarato contrario all’Islam l’utilizzo delle VPN, una mossa che secondo molti serve a sostenere le decisioni repressive del governo, che vorrebbe impedirne l’utilizzo, come succede in Russia o in Cina. Un sito indipendente ha rilevato che ieri 25 novembre la domanda VPN in Pakistan è aumentata del 102% rispetto alla media giornaliera registrata nei 28 giorni precedenti. Oggi le ricerche hanno raggiunto il picco del 213%. Il governo del Pakistan in questi giorni ha utilizzato tecnologie cinesi per testare un “firewall” nazionale che, secondo l’esecutivo, serve a reprimere i crimini online, ma per gli oppositori lo scopo è di monitorare il traffico online e mettere in atto un’ulteriore repressione.
16/04/2021 13:52