Io, disabile e orfano del conflitto, date una primavera di pace alla Siria
Rabee Zarife è un giovane musulmano di 15 anni. Nel novembre 2016 ha perso il padre ed entrambe le gambe nell’esplosione di un mortaio. Oggi è curato a livello materiale e psicologico dagli operatori di Caritas Siria. Il desiderio più grande è poter completare gli studi, ma ancora oggi non può frequentare la scuola. E confessa: a volte mi sento come “un bambino di un anno”.
Damasco (AsiaNews) - Il suo più grande sogno è quello di poter camminare e proseguire gli studi, per prendere un diploma come aveva promesso ai genitori. Tuttavia, ogni giorno deve fare i conti con la disabilità, con la perdita delle gambe a causa dello scoppio di un mortaio che, oltre ad averlo costretto su una sedia a rotelle, gli ha tolto anche l’affetto di suo padre deceduto nell’esplosione. È la storia di Rabee Zarife (nella foto), 15enne musulmano originario di un villaggio alla periferia della capitale che, poco dopo l’inizio del conflitto si è trasferito a Damasco insieme alla famiglia per sfuggire alle violenze delle milizie combattenti.
Egli è uno dei molti giovani disabili, cristiani e musulmani, inseriti nel programma di aiuti e assistenza promosso da Caritas Siria. Una “faccia nascosta” del conflitto, che porta il suo enorme carico di dolore, sofferenze e privazioni e che in sei anni di guerra ha riguardato oltre 300mila persone. L’ente caritativo cristiano si occupa delle spese mediche del ragazzo e del sostegno morale e psicologico, per aiutarlo a superare il trauma dell’incidente che risale al novembre dello scorso anno. In arabo il suo nome significa “primavera” e ai potenti del mondo chiede di riportare la pace nel Paese. “Ho perso mio padre e le mie gambe in questo conflitto, nessuno potrà mai restituirmeli - afferma - [ma] potete aiutarci a ritrovare i giorni felici di un tempo e riportare la primavera” in Siria.
Ecco, di seguito, la sua storia raccolta dagli operatori di Caritas Siria:
Rabee, puoi racontare la tua vita in Siria prima della guerra?
Ho sempre vissuto nel mio villaggio, chiamato Rihan, a nord di Damasco. La famiglia di mio padre possedeva un'azienda agricola. Trascorrevo il mio tempo correndo e giocando con i miei fratelli e cugini, per tutto il giorno. Ogni tanto aiutavo anche mio padre a coltivare la terra e nella sua piccola officina specializzata nella riparazione di automobili. La nostra era una vita semplice, ma meravigliosa al tempo stesso.
Poi è arrivata la guerra, con il suo carico di violenze incomprensibili per la maggioranza della popolazione. Come l’hai vissuta?
In realtà, nemmeno io ho mai capito le motivazioni di questo conflitto. Sono stato ferito in modo grave da un qualcosa che non sono nemmeno in grado di capire. Questa guerra ci ha costretto ad abbandonare le nostre case e i nostri villaggi, senza poter nemmeno portare con noi le nostre cose. Un giorno, mentre mia madre stava cucinando, mio padre è tornato a casa all’improvviso e le ha chiesto di fare i bagagli in tutta fretta, perché i gruppi armati stavano per entrare nel nostro villaggio e dovevano fuggire immediatamente, prima che la strada fosse interrotta.
Mia madre ha preparato una sacca con un ricambio di vestiti per ciascuno di noi. Non abbiamo potuto prendere nient’altro. Abbiamo abbandonato il nostro villaggio e siamo arrivati a Damasco senza nulla, se non questo zaino. Mio padre e mio zio hanno iniziato a cercare un appartamento da prendere in affitto. Ma la capitale è molto cara, per questo abbiamo deciso di condividere una piccola abitazione con la famiglia dello zio. Altrimenti non saremmo riusciti a sostenere le spese.
Qual è il ricordo di tuo padre?
Mio padre era un gran lavoratore e un uomo molto coraggioso. Egli non ha mai perso la speranza. Dopo un po’ è riuscito a prendere in affitto un piccolo negozio nel quartiere di Abbasying, a Damasco, per guadagnare un po’ di denaro per la nostra sopravvivenza. La vita ha iniziato a farsi dura per tutti noi, ma grazie al sostegno costante di mio padre, le cose sembravano sistemarsi. Di tanto in tanto lo accompagnavo nella sua nuova attività. Amavo riparare le auto insieme a lui, anche se lui non voleva che facessi la sua stessa vita. Diceva sempre a tutti noi, a me e ai miei due fratelli, di impegnarci a fondo nello studio, per diventare persone buone e rispettabili in futuro.
Ricordi il giorno in cui hai perso la gamba? Cosa è successo?
Un giorno, al negozio arriva un amico di mio padre e gli chiede di aiutarlo ad aggiustare la sua macchina. Mio padre mi dice di uscire e di parcheggiare l’auto nei pressi dell’officina. Ho fatto quello che mi ha chiesto e sono uscito dalla vettura, mentre mio padre stava uscendo dall’officina, quando all’improvviso è esploso un colpo di mortaio. Mi sono ritrovato a terra, con un dolore fortissimo, senza sapere nemmeno quello che era successo. Ad un certo punto ho udito la voce di mio padre che diceva: “Rabee, non morire, tieni duro e cerca di resistere”. Mio padre è morto poco dopo essere arrivato in ospedale. Anche il mio cuore ha smesso di battere per qualche istante, poi ha ripreso vita. Mi hanno detto che ero spirato, e che una infermiera mi aveva coperto il volto con un telo. Tuttavia, ha notato un piccolo movimento della mia mano così ha tolto il velo e ha iniziato la rianimazione con il defibrillatore; dopo un po’ sono tornato alla vita. Ho ubbidito a mio padre e sono sopravvissuto!
E oggi, quali sono i tuoi sogni?
Il mio sogno più grande è quello di poter camminare di nuovo… Voglio poter tornare a giocare con i miei amici. Oggi, quando li vedo giocare nella strada sotto la finestra di casa mia, o quando i miei fratelli e cugini mi salutano la mattina per andare a scuola a piedi, inizio a piangere e non riesco più a smettere. Mi sento solo. Tutti loro escono per andare a scuola, mia madre comincia le faccende domestiche e a cucinare, e io rimango solo. A volte comincio a strisciare attorno a lei fra le mura di casa, come quando ero un bambino di un anno…
Cosa ti piacerebbe poter fare, in futuro?
Non lo so. Vorrei solo poter proseguire nei miei studi. Questo è tutto ciò che desidero. Dopo l’incidente, per qualche tempo ho perso anche la vista; mi hanno controllato la testa e mi hanno fatto i raggi per vedere se avessi ricevuto delle schegge che mi hanno danneggiato la vista, ma non c’era nulla. I dottori hanno detto che la perdita temporanea è stata causata dallo shock. Quando, dopo alcuni giorni, sono tornato a vedere, all’improvviso ho smesso di parlare. Anche in questo caso si è trattato del trauma legato all’incidente. Ancora oggi, alle volte ho problemi alla vista e per questo non riesco a studiare. Magari un giorno starò meglio e potrò iniziare a studiare di nuovo, magari giusto in tempo per il prossimo anno scolastico.
Rabee, una curiosità: qual è il significato del tuo nome?
In arabo vuol dire primavera, ma da quando è capitato l’incidente io e la mia famiglia viviamo un inverno freddo, e senza fine…
Se potessi inviare un messaggio ai potenti del mondo, cosa vorresti dire loro?
Direi loro: mettete fine alla guerra nel mio Paese, fermate le uccisioni e gli spargimenti di sangue, smettetela di ferire persone innocenti. Ho perso mio padre e le mie gambe in questo conflitto, nessuno potrà mai restituirmeli, ma potete fare qualcos’altro: potete aiutarci a ritrovare la pace, i giorni felici di un tempo e riportare la primavera nel nostro Paese.(DS)
(Ha collaborato Sandra Awad, Responsabile della Comunicazione Caritas Siria)