31/07/2024, 11.26
CINA
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Intelligenza artificiale: Pechino vuole la cooperazione, ma censurando i contenuti

di Silvia Torriti

Nei modelli linguistici di grandi dimensioni la scure della censura esamina le risposte dei chatbot per "adeguarle" ai “valori socialisti fondamentali”. Bloccata anche la fruizione di Hugging Face, una popolare piattaforma open source usata dagli sviluppatori di AI di tutto il mondo per condividere modelli e dataset. E nonostante il gran numero di algoritmi autoctoni sviluppati, nelle stesse high-tech cinesi emergono dubbi sull'efficacia della cosiddetta "guerra dei cento modelli".

Milano (AsiaNews/Agenzie) - A circa vent’anni dall’introduzione del “great firewall”, il sistema di monitoraggio dei siti web stranieri ritenuti sensibili, lo sguardo inflessibile della censura cinese si è posato anche sull’intelligenza artificiale (AI). In modalità che stridono con quell’orizzonte di una cooperazione su questa nuova frontiera tecnologica, di cui si è parlato ripetutamente in questi giorni in occasione della visita in Cina del presidente del Consiglio dei ministri italiano Giorgia Meloni.  

Dopo aver bloccato l’accesso a piattaforme internazionali di AI come ChatGpt, a finire nel mirino sono adesso i modelli linguistici di grandi dimensioni (Large Language Models, LLM) sviluppati da importanti aziende tech e start-up cinesi, come ByteDance - proprietaria di TikTok - Alibaba, Moonshot e 0.1AI.

Secondo quanto riporta il Financial Times, l’obiettivo del governo cinese sarebbe assicurarsi che questi strumenti di tecnologia avanzata in grado di comprendere e rielaborare il linguaggio naturale incarnino “i valori socialisti fondamentali”. Per soddisfare tale richiesta, i funzionari della Cyberspace Administration of China (CAC), l’ente governativo che si occupa della supervisione e regolamentazione di Internet nel Paese, sono tenuti a esaminare le risposte fornite dagli LLM a una serie di quesiti, molti dei quali relativi al presidente cinese Xi Jinping e ad argomenti di natura politica o storica considerati controversi dal regime al potere.

I chatbot cinesi i cui LLM hanno superato il test saranno per esempio in grado di respingere eventuali domande degli utenti sul massacro di piazza Tiananmen del 1989 o sulla somiglianza di Xi Jinping con Winnie the Pooh, il personaggio Disney a cui è spesso ironicamente associato. A tali richieste, il chatbot Ernie di Baidu risponde già di “provare una domanda diversa”, mentre Tongyi Qianwen di Alibaba ribatte: “Non ho ancora imparato a rispondere a questa domanda. Continuerò a studiare per servirti meglio”.

Nel frattempo, Pechino ha lanciato un chatbot AI basato quasi esclusivamente sul pensiero di Xi Jinping, allo scopo di diffondere l’ideologia del leader cinese.

In base a quanto riporta The Wall Street Journal, la censura di Pechino minaccia di limitare ulteriormente anche l’accesso delle aziende tecnologiche cinesi ai dati di addestramento,  le “fondamenta” su cui si ergono i sistemi di AI a partire da fonti testuali di varia natura. Già lo scorso anno le autorità cinesi hanno improvvisamente negato la fruizione di Hugging Face, una popolare piattaforma open source usata dagli sviluppatori di AI di tutto il mondo per condividere modelli e dataset.

L’intenzione del governo cinese sarebbe quella di creare dei propri set di dati basati su informazioni ritenute “sicure” dal punto di vista ideologico, avvalendosi del supporto di agenzie vicine al Quotidiano del Popolo, il giornale ufficiale del Partito comunista cinese. Secondo gli operatori del settore, tuttavia, set di dati fortemente censurati potrebbero provocare delle distorsioni nei modelli di intelligenza artificiale, limitando la loro capacità di gestire determinati compiti.

Risulta chiaro quindi che, applicando queste restrizioni, la Cina - prima nazione a introdurre normative vincolanti sull’uso dell’AI - corre il rischio di compromettere gli enormi progressi raggiunti dalle aziende cinesi del settore, che al momento dominano la scena internazionale.

Attualmente la Cina ha sviluppato circa 130 LLM, ossia il 40% dei modelli esistenti, solo il 10% in meno rispetto a quelli prodotti dagli Stati Uniti. La forte competizione tra i giganti cinesi dell’high-tech, come Baidu, Alibaba, Huawei e Tencent, ha addirittura innescato la cosiddetta “guerra dei cento modelli” (Bai mu dazhan), un’espressione che per molti rievoca il glorioso passato rivoluzionario della Repubblica popolare, e in particolare l’“Offensiva dei cento reggimenti” (Baituan Dazhan), condotta nel 1940 dall’Ottava armata della Strada comandata dal generale Peng Dehuai contro gli invasori giapponesi.

Sebbene questa formula, coniata da un alto dirigente di Tencent, inizialmente sia stata utilizzata dai media statali per esaltare i successi raggiunti dalle aziende cinesi in un mercato in forte espansione come quello dell’AI, alcuni esperti di tecnologia stanno cominciando a mettere in dubbio l’efficacia di tale approccio.  

Tra gli scettici compare anche il confondatore e amministratore delegato di Baidu, Robin Li Yanhong, il quale nel corso di un intervento alla World Artificial Intelligence Conference (WAIC), tenutasi a Shanghai a inizio luglio, ha dichiarato che la proliferazione di LLM sul mercato cinese ha portato di fatto a “un notevole spreco di risorse”, poiché molti di questi modelli non hanno poi un’applicazione pratica nel mondo reale. 

A minare ulteriormente la competitività delle aziende tech cinesi concorrono poi anche le questioni geopolitiche, come la guerra tecnologica in corso tra il Dragone e gli Stati Uniti. Le autorità americane hanno infatti escluso la Cina dall’acquisto dei semiconduttori di alta qualità realizzati dal gigante statunitense Nvidia, considerati fondamentali per la realizzazione dei modelli di intelligenza artificiale.

Sebbene il Wall Street Journal abbia scoperto una rete di contrabbando che dal Sud-est asiatico introduce illegalmente in Cina i chip soggetti a restrizioni, questi non saranno mai sufficienti a soddisfare le esigenze del Paese. Adottando una prospettiva a lungo termine, il governo cinese ha deciso di sopperire a tale mancanza stanziando fondi statali per aiutare le aziende tecnologiche cinesi a sviluppare dei chip nazionali. Nonostante la difficoltà di approvvigionamento delle apparecchiature necessarie alla loro fabbricazione, dovute alle sanzioni statunitensi, il colosso cinese della telefonia Huawei sembra ormai prossimo al lancio di un modello di chip in grado di sostituire quelli di Nvidia.

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