India, il presidente incontra le vittime delle persecuzioni contro i cristiani dell’Orissa
New Delhi (AsiaNews) - Il presidente dell’India Pranab Kumar Mukherjee ha incontrato una delegazione del Kandhamal Committee for Justice and Peace (Kandhamal Nyaya Shanti O Sadbhabana Samaj), tra cui alcune vittime dei massacri contro i cristiani perpetrati dai radicali indù nello Stato indiano dell’Orissa nel 2008. Le tre donne presenti all’incontro (v. foto) - di cui una indù, violentata da un gruppo di fondamentalisti solo perché lo zio cristiano aveva rifiutato di convertirsi all’induismo - erano accompagnate da Mani Shankar Aiyar, Brinda Barat e Kavita Krishnan, i rappresentanti politici di partiti all’opposizione che all’inizio di settembre hanno sostenuto la marcia di migliaia di cristiani sopravvissuti che hanno sfilato nel distretto di Kandhamal chiedendo al governo di smettere di proteggere i persecutori e di assicurarli alla giustizia.
Il Kandhamal Committee for Justice and Peace è un’associazione cristiana che raccoglie i sopravvissuti alle violenze settarie divampate nell’agosto del 2008 in Orissa in seguito all’uccisione di Laxamananda Saraswati, leader del Vishwa Hindu Parishad (Vhp, gruppo ultranazionalista indù). Nonostante un gruppo di guerriglieri maoisti rivendichi subito l’omicidio del santone, i fondamentalisti indù scatenano a Kandhamal la persecuzione più violenta mai commessa contro la comunità cristiana in India [di cui il 25 agosto ricorreva l’anniversario - ndr].
Brinda Barat, attuale deputato e membro del Communist Party of India (Maoist), dichiara: “È scioccante il completo fallimento del sistema giudiziario. Tutti coloro che sono responsabili dei massacri sono fuori su cauzione. Dapprima il governo statale, poi il Bjp (Bharatiya Janata Party, partito nazionalista indù guidato dal premier Narendra Modi) hanno provato a minimizzare la gravità degli attacchi, fisici, morali e alle proprietà dei cristiani. È scioccante sapere che 11mila colpevoli sono fuori di prigione”.
Gli attivisti hanno consegnato al presidente Mukherjee un memorandum in cui è presentato in dettaglio il bilancio delle violenze: almeno 90 vittime (anche se solo 35 riconosciute dal governo), tra cui anche disabili, anziani, bambini, donne e uomini; 395 chiese o luoghi di preghiera distrutti; 600 villaggi saccheggiati, 6.500 case distrutte e 56mila persone costrette alla fuga; 35 istituti (conventi, scuole, ostelli e centri di assistenza) danneggiati, bruciati o saccheggiati; 10mila bambini costretti ad abbandonare gli studi.
Non solo, i membri dell’associazione lamentano che il sistema giudiziario è stato inefficiente e superficiale nell’affrontare le denunce: delle 3.232 pervenute, solo 825 sono state registrate e di queste soltanto in 605 casi sono stati raccolti i dati delle vittime; 302 casi sono stati chiusi in modo arbitrario con la dicitura “nessuna prova”.
In conferenza stampa gli attivisti hanno dichiarato di aver chiesto l’intervento del presidente per assicurare che alle vittime venga accordato il giusto risarcimento e sia permesso loro di ritornare ai propri villaggi di origine. Hanno presentato a Mukherjee le gravi mancanze della giustizia indiana e hanno chiesto che siano riaperti i casi archiviati in maniera arbitraria e le denunce completate con i dati mancanti.
Brinta Barat ha anche incontrato in carcere i sette cristiani innocenti condannati dopo una serie di rinvii e processi farsa per l’omicidio del leader indù, malgrado la confessione dei maoisti. “Essi richiedono il suo intervento – ha detto, rivolgendosi al presidente – per sostenere i diritti di tutti i cittadini dell’India, affinché ognuno sia libero di professare la propria religione senza timore di persecuzioni e coloro che sono perseguitati in nome della religione possano ottenere giustizia”.