In ginocchio l‘economia birmana, ma non per le sanzioni
Mentre la giunta non alleggerisce la repressione, entra in piena crisi l’industria del turismo; il caro benzina fa lievitare di settimana in settimana i prezzi dei beni alimentari e la popolazione è costretta a mangiare solo verdure. La International Trade Unions Conferderation avverte: inefficaci le sanzioni Ue che non colpiscono i settori di petrolio e gas.
Yangon (AsiaNews) – Le sanzioni contro la giunta birmana non serviranno a niente, se non investiranno anche il campo delle risorse energetiche, linfa vitale del regime. L’avvertimento arriva dalla International Trade Unions Confederation (ITUC), a pochi giorni dalla decisione dell’Unione europea di ampliare le sanzioni contro il Myanmar. E ieri anche il primo ministro britannico Gordon Brown ha minacciato sanzioni finanziarie. Intanto nell’ex Birmania è piena crisi economica: l’industria del turismo è ai minimi termini, i prezzi dei beni alimentari sono saliti alle stelle e molte attività commerciali sono costrette a chiudere.
Inefficaci le sanzioni Ue
In un comunicato ufficiale Guy Rider, segretario generale della ITUC, accoglie con favore il provvedimento dell’Ue, ma sottolinea che si poteva fare di più: “I settori del gas e del petrolio sono la fonte singola di guadagno maggiore per il regime militare e siamo estremamente delusi che la Ue non abbia intaccato questo enorme flusso di entrate”. Le sanzioni Ue stabilite lo scorso 15 ottobre come risposta alla violenta repressione del movimento democratico in atto in Myanmar, includono il blocco dei visti e il congelamento degli asset dei generali, oltre al veto di importazione ed esportazione di pietre preziose, metalli e legno birmani e di nuovi investimenti in questi settori. Dato che le nuove sanzioni non comprendono petrolio e gas, compagnie come la francese Total potranno continuare la loro attività nei giacimenti di gas birmani a Yadana e Yetagun. Per assicurarsi gas e petrolio birmano sono in competizione anche potenze regionali come Cina e India, ritenute principali sostenitrici insieme alla Thailandia dei generali di Naypydaw.
In Myanmar è crisi economica
Mentre la giunta continua ad usare il pugno di ferro contro i manifestanti anti-governativi, nel Paese la gente lamenta una crescente povertà. Secondo quanto riferisce una fonte monastica, a Sittwe è stata emessa la prima condanna di un monaco per aver partecipato alle manifestazioni anti-governative di fine settembre: Eik Darea, 26 anni, dovrà scontare 7 anni e mezzo di carcere; è stato spogliato degli abiti religiosi e potrebbe finire in un campo di lavoro.
È piena crisi per l’industria del turismo. Per mancanza di lavoro hanno chiuso i due più grandi alberghi di Yangon: il Kandawgyi Hotel e il Nikko Hotel. Lo riferisce il sito internet The Irrawaddy. Il caro benzina imposto dalla giunta ad agosto, scintilla che ha fatto scattare le manifestazioni, ha determinato un vertiginoso aumento dei costi dei mezzi di trasporto e dei beni di prima necessità. Secondo uno studio dell’Onu, la popolazione spende ormai il 70% dei suoi guadagni solo in cibo. “La carne aumenta di 200 kyat ogni settimana – racconta un abitante di Yangon – e così ora mangiamo solo verdure, più economiche”. I poveri non riescono a comprare neppure più il riso e in molte fabbriche sono i datori di lavoro a fornirne una ciotola giornaliera ai dipendenti. I taxisti non hanno più lavoro, i negozi di tè – tradizionali punti di incontro – non hanno più clienti e per le vie della città prostitute in cerca di clienti si vedono camminare persino in pieno giorno.
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