17/11/2022, 10.59
KUWAIT
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In Kuwait il boia torna a colpire: giustiziati sette detenuti

Le ultime esecuzioni risalivano al 2017 e hanno riguardato anche un membro della famiglia reale. Fra le persone giustiziate quattro cittadini kuwaitiani (tre uomini e una donna), un siriano, un pakistano e una etiope. La condanna della Ue, che minaccia ritorsioni fra cui il blocco dell’iter sui visti di ingresso. 

Kuwait City (AsiaNews) - Le autorità hanno giustiziato ieri sette persone condannate per omicidio e altri crimini gravi, applicando per la prima volta dal 2017 la pena capitale e attirandosi critiche di gruppi attivisti pro diritti umani e minacce di ritorsioni da parte delle cancellerie internazionali. Fra le prime voci critiche a levarsi vi è quella dell’Unione europea: Bruxelles ha convocato l’ambasciatore del Paese del Golfo presso la Ue e minacciato di bloccare l’iter che porta alla concessioni di viaggi senza bisogno del visto.

Il commissario Ue Margaritis Schinas afferma che ci saranno delle “conseguenze” in seguito al ricorso al boia dopo anni di moratoria e a fronte di “rassicurazione” che non vi sarebbero state esecuzioni, come ha rimarcato il funzionario.  Le condanne a morte, infatti, sono state eseguite proprio in questi giorni di visita della delegazione europea in Kuwait. “Trarremo tutte le conseguenze - ha affermato Schinas in una nota - che questa decisione avrà sui colloqui […] per mettere il Kuwait nella lista delle nazioni senza bisogno di visto”. Al riguardo, il Parlamento europeo dovrebbe votare oggi una proposta della Commissione che intende includere Kuwait City nella lista “visa-free”. In caso di via libera i cittadini del Golfo potranno entrare senza bisogno di visto Schengen (oggi obbligatorio) da un minimo di alcuni giorni ad un massimo di tre mesi. 

Le condanne a morte sono state eseguite nella prigione centrale, anche se non sono chiare le modalità. Le persone giustiziate sono tre uomini e una donna cittadini del Kuwait, un uomo di nazionalità siriana, un pakistano e una donna etiope. Fra le cause che hanno portato alle esecuzioni vi sono l’omicidio premeditato; per le autorità, la pena capitale deve rappresentare un “deterrente” per analoghe situazioni in futuro. “Agendo in questo modo hanno privato le vittime - ha dichiarato la pubblica accusa in una nota - di uno dei diritti più sacri, che è quello alla vita”.

L’ultima esecuzione di massa risaliva al 2017, quando il Kuwait aveva giustiziato sette prigionieri fra i quali un membro della famiglia reale al potere, gli Al-Sabah. Prima di allora si erano registrate altre esecuzioni nel 2013. Il vice direttore regionale di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa, Amna Guellali, ha rinnovato l’appello alle autorità chiedendo una “moratoria immediata alle esecuzioni”. E ha aggiunto che “la pena di morte è una violazione del diritto alla vita e un’ultima punizione crudele, disumana e degradante”. 

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