Imam pakistani chiedono l’esecuzione di Asia Bibi, dopo il linciaggio dello studente di Mardan
Per i leader islamici l’impiccagione della madre cristiana sarebbe un deterrente per le violenze di massa. Per loro è giustificabile il comportamento degli studenti che hanno ucciso e seviziato un loro collega per presunta blasfemia. Commissione Giustizia e pace: “Le università devono insegnare il pensiero critico, le virtù della tolleranza, della coesistenza e dell’accettazione”.
Lahore (AsiaNews) – Imam pakistani chiedono che Asia Bibi, la madre cristiana rinchiusa da sette anni nel braccio della morte per presunta blasfemia, venga impiccata. Secondo alcuni noti predicatori islamici, il linciaggio dello studente di Mardan, ucciso, denudato e torturato per offese al profeta, sarebbe “colpa” di Asia e del fatto che presunti blasfemi come lei non sono ancora stati puniti. Il mufti Muhammad Haneef Qureshi ha affermato davanti alle telecamere: “Se i peccatori venissero dichiarati blasfemi dai tribunali, senza che vengano concesse loro proroghe nella pena, gli studenti non agirebbero in quella maniera. Le persone hanno perso fiducia nello Stato, a causa della noncuranza delle istituzioni e del loro silenzio criminale. Incidenti come quello della Wali Khan University continueranno fino a quando verrà offeso il loro sentimento religioso”.
Ad AsiaNews p. Emmanuel Yousaf Mani, direttore della Commissione nazionale Giustizia e pace (Ncjp) della Conferenza episcopale pakistana, condanna le “errate dichiarazioni” degli imam: “Essi dovrebbero guardare in faccia la realtà. Essi devono scoraggiare le persone ad assumere la legge nelle proprie mani. Le moschee dovrebbero fermare questi annunci provocatori”.
Come il mufti, anche altri imam hanno chiesto che venga eseguita la sentenza di morte contro Asia Bibi. Secondo gli islamici, se la donna venisse impiccata, la sua esecuzione fungerebbe da deterrente contro le violenze di massa. In questo modo i leader islamici giustificano l’atroce episodio avvenuto la scorsa settimana nel campus dell’università di Mardan, dove il 23enne Mashal Khan è stato linciato a morte con l’accusa di aver pubblicato su Facebook commenti a favore della fede ahmadi.
Pervez Khattak, chief minister della provincia di Khyber Pakhtunkhwa, ha dichiarato che non sono state riscontrate prove a carico dello studente che confermerebbero la sua colpevolezza. Nel frattempo la polizia ha arrestato 22 persone sospettate di coinvolgimento nel linciaggio e ha aperto un caso contro due imam di Swabi, la città natale di Mashal Khan, che avevano tentato di impedire la celebrazione dei suoi funerali.
P. Mani apprezza la posizione espressa da un altro leader musulmano, Shaikh Saleh Bin Muhammad Ibrahim, imam della Grande Moschea della Mecca, che ha criticato coloro che pronunciano false accuse di blasfemia. “L’islam è una religione di pace – ha detto – perdono, tolleranza. I suoi fedeli devono essere guidati e indottrinati nel miglior modo possibile”.
Nei giorni scorsi la Commissione Giustizia e pace ha anche emesso un comunicato stampa in cui chiede con urgenza “al governo del Pakistan di assicurare alla giustizia i responsabili di tale odio e violenza estrema”. Sottoscrivendo il documento, p. Mani, mons. Joseph Arshad (vescovo di Faisalabad) e Cecil Shane Chaudhry (direttore esecutivo della Ncjp), sostengono che “è inaccettabile una simile violenza e comportamento barbaro. In presenza della legge, nessuno è giustificato a prendere la legge nelle proprie mani. Inoltre il materiale d’odio e discriminatorio deve essere rimosso dai libro di testo, se vogliamo creare una società pacifica e tollerante”. “L’università deve sviluppare il pensiero critico, l’accettazione delle opinioni altrui a prescindere dalla fede che si professa. Dobbiamo insegnare ai nostri studenti le virtù della tolleranza, della coesistenza e dell’accettazione”.
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