Il “no” dei colombiani dopo il Nobel a Santos non è un rifiuto del processo di pace con le Farc
La popolazione non si è espressa per la guerra. “Tutti sappiamo che non c’è altro cammino diverso dal dialogo per mettere fine a questo conflitto. Lo sa il governo, lo sanno le Farc cosi come anche i partiti dell’opposizione e lo sanno soprattutto le vittime che hanno espresso più volte il loro perdono per i violenti. Quindi secondo me il no è stato semplicemente e piuttosto un ‘non cosi’, un ‘non ancora’ e un ‘non senza di noi’”.
Dhaka (AsiaNews) - Quello che a tutti sembrava impossibile è successo. Nel plebiscito dello scorso 2 ottobre per sancire e blindare il processo di pace tra il governo di Juan Manuel Santos e le Farc ha vinto il “no”. All’indomani dell’assegnazione del Nobel per la pace al presidente Santos (nella foto, con Timoleón Jiménez Timochenko, leader del Farc). Ma come è stato possibile? Come mai la maggioranza dei colombiani ha respinto un trattato che metterebbe fine ad un conflitto durato più di 50 anni? Sono i colombiani dei violenti per natura, assettati di vendetta e inconciliabili tra loro? Niente affatto.
Prima di tutto bisogna chiarire che il “no” non significa volontà di guerra da parte dei colombiani. Tutti sappiamo che non c’è altro cammino diverso dal dialogo per mettere fine a questo conflitto. Lo sa il governo, lo sanno le Farc cosi come anche i partiti dell’opposizione e lo sanno soprattutto le vittime che hanno espresso più volte il loro perdono per i violenti. Quindi secondo me il no è stato semplicemente e piuttosto un “non cosi”, un “non ancora” e un “non senza di noi”.
Non cosi perché le condizioni, le concezioni o i premi che l’accordo concederebbe ai guerriglieri “sembrano” esagerati o sproporzionati. Tutti sono del parere che bisogna dare l’amnistia. Si perdona rinunciando a punire, ma dovremmo anche premiarli? Quindi le norme dei tribunali di pace, le concezioni per la loro partecipazione in politica e altri temi come le condizioni per delitti connessi come narcotraffico, estorsione, atti terroristici, rapimenti, risarcimento delle vittime, e altro bisogna ripensarli, rinegoziarli e quindi ridimensionarli.
“Non ancora” perché ci sono tante perplessità. C’e un documento (l’accordo) di quasi 300 pagine sconosciuto anche nei punti più semplici alla stragrande maggioranza dei colombiani e utilizzato dagli abbanderati del si o no a seconda delle loro posizioni parzializzate. Quindi bisogna che ci sia una pedagogia che permetta che almeno i punti cruciali siano chiari per tutti, e dunque bisogna essere pazienti e prendere tempo.
“Non senza di noi” perche il proceso non ha coinvolto tutti i settori che dovrebbero essere stati coinvolti. Contadini, impresari, militari, vittime, chiese, comunità internazionale e partiti dell’opposizione e altri non hanno avuto il posto dovuto. Nei migliori dei casi sono stati semplicemente degli osservatori passivi. Questo conflitto l’abbiamo sofferto tutti e quindi per l’accordo anche tutti dobbiamo essere coinvolti.
In tanti, cosi come si erano affrettati a lodare e indicare gli accordi dell’Abana come i migliori possibili e manifestare un sostegno senza riserve per il “si” agli accordi, si sono anche affrettati a giudicare la Colombia como un Paese di violenti assetati di vendetta, incapaci di cogliere questa “opportunità d’oro per una pace stabile e duratura”. Invece la Colombia dopo il 2 ottobre continua a dimostrare la sua maturità politica. Dopo la vittoria del “no” (“non cosi” “non ancora” e “non senza di noi”) la sete e volontà di pace dei colombiani si sta unificando, armonizando e irrobustendo. Persino i guerriglieri dell’ELN hanno ufficialmente manifestato la loro volontà di iniziare delle trattative di pace col governo, liberando tutti i loro sequestrati.
Il Nobel per la Pace al presidente Santos è stato un segno molto positivo da parte della comunità internazionale e un incoraggiamento molto opportuno nel momento attuale per gli sforzi del governo di Santos cosi come per tutti noi colombiani nel cammino per il raggiungimento di una pace stabile e duratura.
Sacerdote colombiano in missione in Bangladesh
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