Il velo islamico e la politica, il difficile cammino di affermazione della donna nell’islam
Imam estremisti e leader radicali attaccano un intellettuale egiziano secondo cui il velo non è obbligatorio. Secondo i critici sono affermazioni contrarie al Corano, che fomentano “indecenza e sedizione”. In tv uno scontro sul velo sfocia in una rissa. Intellettuali e accademici chiedono un ruolo maggiore in politica e nelle istituzioni per la donna nei Paesi arabi.
Il Cairo (AsiaNews) - Imam estremisti e islamici radicali hanno lanciato una campagna di protesta contro le affermazioni di un intellettuale musulmano, docente all’università egiziana di Al Azhar, secondo cui l’hijab (velo islamico) “non è obbligatorio” per le donne. Durante un dibattito televisivo trasmesso sull’emittente privata ON TV Saad Al Deen Al Hilali, professore di diritto islamico, ha sottolineato che nei versi del Corano non vi è una posizione “netta” e “definitiva” sul copricapo femminile.
“Il Corano - ha affermato Al Hilali - non dice con certezza cosa fare in materia”. Parole che hanno scatenato le ire delle fazioni più radicali dell’islam, che accusano l’intellettuale egiziano - esperto di temi legati alla sharia e di diritto internazionale - di fomentare “l’indecenza e la sedizione”.
In prima fila fra gli accusatori un collega dell’università, il professore di teologia islamica Abdul Moneim Fouad secondo cui “il Corano non è aperto a interpretazioni personali” e non può essere manipolato da nessuno per rispondere alla “propria volontà”. Anche agli “orientalisti” più “faziosi”, aggiunge, “non viene in mente di affermare ciò che ha detto Al Hilali”. Il velo, chiosa, è obbligatorio e alle donne “non è concesso di interpretare” i versi del Corano “come vogliono”.
Imam e leader radicali si appellano ai vertici di Al Azhar perché intervenga con una punizione esemplare nei confronti del docente. Al Sayed Al Beshbeesh, salafita ultra-conservatore, condanna le parole di Al Hilali definendole “avvelenate”. La sua posizione, aggiunge, è una “distorsione” dei testi del Corano e della Sunna ed è doveroso intervenire per scongiurare rivolte fra i musulmani.
In Egitto la maggioranza delle donne musulmane indossa il velo in pubblico; tuttavia, il tema dell’hijab aveva già sollevato polemiche e scontri feroci. In un dibattito tv l’avvocato egiziano Nabih al-Wahs si è tolto la scarpa e ha picchiato - gesto indice di disprezzo nell’islam - l’imam di origini australiane Mostafa Rashid, perché quest’ultimo considera il velo islamico “una tradizione culturale” e non un “obbligo religioso”.
Lo scambio di vedute iniziale è presto degenerato in un confronto aperto, sfociato poi nell’aggressione finale. Solo l’intervento degli assistenti di studio ha permesso di sedare la lite e separare i due contendenti. Nei giorni successivi l’avvocato musulmano ha quindi accusato l’imam di “essersi convertito al cristianesimo”.
Intanto, se una parte l’islam litiga sulla obbligatorietà del velo dall’altra emergono sempre più voci di intellettuali e scrittori che auspicano un ruolo sempre maggiore della donna nella società, che ha tutto il diritto di ambire - anche nei Paesi arabi e del Golfo - alla leadership politica. Menzionando leader europei e occidentali donna (Angela Merkel, Hillary Clinton, Theresa May), ma anche orientali come Aung San Suu Kyi in Myanmar e Sheikh Hasina in Bangladesh essi auspicano che anche fra i Paesi del Golfo si creino le condizioni per una leadership al femminile.
Muhammad Al-Rumaihi, giornalista e docente del Kuwait, in un articolo sottolinea che questa è l’epoca in cui “comandano” le donne, mentre nei Paesi arabi ancora “ci si oppone” alla partecipazione femminile alla politica. E in alcuni, come l’Arabia Saudita, alle donne non è permesso nemmeno di guidare o imparare uno strumento musicale senza la presenza del tutore.
Il giornalista egiziano Amr 'Abd Al-Sami sottolinea che le donne “sono qualificate” per svolgere “le più alte funzioni” politiche e istituzionali e si chiede meravigliato perché questo “non è ancora avvenuto” nelle nazioni arabe. Abbiamo avuto ministre, consigliere, vice-premier, ma “non si è ancora vista” una donna presidente o capo di governo.
Jihad Al-Khazen, giornalista libanese di origini palestinesi ricorda inoltre che “vi è solo uno sparuto numero di arabe” presenti nella lista pubblicata da Forbes sulle 100 donne più influenti al mondo. Radhia Jerbi, a capo del sindacato delle donne tunisine, invita il neo premier incaricato Youssef Chahed a inserire “sempre più donne nella squadra di governo”.