05/12/2024, 12.35
GIAPPONE
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Il saké giapponese è patrimonio culturale immateriale Unesco

L’organismo Onu ha dato ieri la sua approvazione riconoscendo il valore della tradizionale bevanda alcolica. Essa è frutto di un’antica tecnica di fermentazione del riso e altri ingredienti con l’utilizzo di muffe “koji”. Per i produttori è occasione per promuoverne il valore in patria e all’estero. Per il 2026 il governo punta a far inserire la calligrafia “shodo”.

Tokyo (AsiaNews) - Le conoscenze e le abilità tradizionali giapponesi utilizzate nella produzione di sake e di distillati “shochu” diventano un Patrimonio culturale immateriale Unesco. L’approvazione è giunta ieri da parte del comitato dell’organismo delle Nazioni Unite, che riconosce il valore alla base della realizzazione della tradizionale bevanda alcolica del Sol Levante frutto di un’antica tecnica di fermentazione del riso e altri ingredienti con l’utilizzo di muffe “koji”. Si tratta di un metodo di produzione unico nel suo genere, in cui più fermentazioni avvengono contemporaneamente in un unico recipiente.

L’approvazione, spiega Kyodo news, segna il 23° ingresso del Giappone nella lista, dopo che un gruppo consultivo dell’Organizzazione Onu per l'Educazione, la Scienza e la Cultura ne aveva raccomandato l’inserimento a novembre. I sostenitori hanno voluto sottolineare in questo modo l’importanza e il valore nella cultura e nella tradizione della società giapponese.

Gli esperti Unesco affermano che la produzione di sake è essenziale per gli eventi tradizionali nel Paese dell’estremo oriente, a partire dai rituali e nei matrimoni, contribuendo inoltre all’unità delle comunità locali. Con l’inserimento nell’elenco, i produttori della bevanda mirano a espandere le esportazioni, a rivitalizzare le economie locali e a tramandare le competenze tradizionali alle nuove generazioni in un contesto di contrazione dei consumi interni.

Anche il primo ministro Shigeru Ishiba ha accolto con favore la decisione dell’organismo Onu, affermando in una nota che la produzione di sake è una “tecnica che possiamo vantare nel mondo”. Il capo del governo ha quindi aggiunto che “la tramanderemo alla prossima generazione e sfrutteremo questa opportunità per promuovere la rivitalizzazione in tutta la regione e per espanderne la presenza all’estero”.

L’inserimento nell’elenco era atteso con impazienza dall’industria del settore, con una ventina di rappresentanti dell’Associazione produttori di sake e shochu che si sono riunite per assistere all’annuncio a Kumamoto, nel Giappone sud-occidentale. E mentre la folla applaudiva ed esultava alla notizia Masaharu Honda, il settantenne direttore dell’associazione, ha promosso un brindisi per festeggiare, brindando con il sake prodotto nella zona.  “Questa - ha detto Honda - è una tazza di pura gioia”.

Marika Tazawa, presidente di un’agenzia viaggi che offre un tour in un birrificio nella prefettura di Nagano, nel Giappone centrale, per sperimentare la produzione di sake con pernottamento, ha aggiunto che il riconoscimento rappresenta “un forte incoraggiamento per il settore. Spero - sottolinea - che porti a un maggiore riconoscimento e a un miglioramento dello status”. Tra gli alcolici a produzione tradizionale locale vi sono il sake, lo shochu, l’awamori e il vino di riso dolce da cucina mirin. L’awamori, prodotto nella Prefettura di Okinawa, è considerato l’acquavite più antica del Sol Levante e risale a circa 600 anni fa, con un metodo di produzione tradizionale ereditato dal Regno delle Ryukyu, annesso al Giappone nel 1879.

L’approvazione formale alla sessione del comitato inter-governativo Unesco ad Asuncion, in Paraguay, è arrivata dopo che Tokyo ha avanzato la candidatura della produzione di sake nel 2022, perché venisse inserito nella lista. Tra i patrimoni immateriali giapponesi già presenti, e ai quali si va ad aggiungere il saké, figurano le arti dello spettacolo Noh e Kabuki e la cucina tradizionale “washoku”. Il governo nipponico sta infine cercando di far inserire la calligrafia “shodo” fra i Patrimoni culturali immateriali nel 2026, quando l’organismo Onu ha in calendario il prossimo esame biennale delle candidature. 

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