Il regime birmano “usa” Aung San Suu Kyi per coprire le violenze contro i Kachin
di Nirmala Carvalho
Ondate di profughi in fuga oltreconfine, verso la Cina. Ma il governo blocca le frontiere e impedisce l’ingresso degli aiuti nelle aree di guerra. La Nobel per la pace disponibile a mediare per la pace. Attivista: l’incontro fra la Suu Kyi e il ministro birmano è una operazione di facciata, per ottenere credibilità a livello internazionale.
New Delhi (AsiaNews) – La guerra civile fra esercito birmano e milizie etniche Kachin, nell’omonimo Stato a nord del Myanmar, lungo la frontiera con la Cina, continua a causare ondate di profughi in fuga oltreconfine. I soldati minacciano la popolazione civile, uccidono e stuprano donne e ragazze; la situazione è grave e il fronte di guerra investe diverse aree. È quanto afferma ad AsiaNews Zau Raw, coordinatore del Kachin Refugee Committee (Krc), organizzazione umanitaria con base a New Delhi, in India, e attiva nel portare aiuti alla minoranza birmana. Egli accusa inoltre la leadership birmana di sfruttare l’immagine di Aung San Suu Kyi per coprire i crimini commessi dal regime e acquistare credibilità in seno alla comunità internazionale.
Dal 9 giugno scorso lo Stato settentrionale Kachin è teatro di un sanguinoso conflitto, che ha seminato morte e terrore fra la popolazione. Sinora si sono registrati 32 casi accertati di violenze sessuali contro donne Kachin da parte dei soldati, di cui 13 concluse con l’assassinio della vittima. Il 26 luglio in uno scontro a fuoco fra i due fronti sono morti quattro soldati birmani e altri 12 sono rimasti feriti in un’imboscata tesa dalle milizie del Kachin Indipendence Army (Kia).
Per soffocare la resistenza, riferisce l’attivista Zau Raw, “il governo centrale continua a impedire l’ingresso di aiuti umanitari nell’area di guerra, nelle zone controllate dai Kachin e lungo il confine con la Cina”. Solo nelle ultime due settimane circa duemila famiglie, che vivevano in sette villaggi sparsi nella cittadina di Bhamo, hanno dovuto abbandonare le loro case. Altre mille sono fuggite da Kala Yang, Kazue e Tapant, per ordine delle autorità.
Il coordinatore di Kachin Refugee Committee (Krc) ha criticato Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione birmana, per non aver preso posizione a lungo sul conflitto. Tuttavia nei giorni successivi la Nobel per la pace ha affermato di essere pronta a mediare fra il governo e i gruppi etnici, per il raggiungimento di un cessate il fuoco. In una lettera aperta inviata al presidente Thein Sein e ai leader Kachin, la donna auspica una “soluzione pacifica” nell’interesse di “tutte le minoranze etniche dell’Unione del Myanmar”.
Zau Raw accusa infine il governo birmano – insediatosi nell’aprile scorso ed emanazione del regime militare – di “sfruttare” l’immagine della “Signora” per allentare la pressione internazionale. Egli ricorda che la donna è stata liberata all’indomani delle elezioni “farsa” del novembre 2010 per coprire le denunce di brogli e di voto anticipato. E oggi che l’esercito è impegnato in una guerra civile contro una minoranza, organizza “un incontro fra Aung San Suu Kyi e un ministro del governo con il solo scopo di deviare l’attenzione “dalle atrocità e dai crimini di guerra e contro l’umanità” nelle aree etniche.
Dal 9 giugno scorso lo Stato settentrionale Kachin è teatro di un sanguinoso conflitto, che ha seminato morte e terrore fra la popolazione. Sinora si sono registrati 32 casi accertati di violenze sessuali contro donne Kachin da parte dei soldati, di cui 13 concluse con l’assassinio della vittima. Il 26 luglio in uno scontro a fuoco fra i due fronti sono morti quattro soldati birmani e altri 12 sono rimasti feriti in un’imboscata tesa dalle milizie del Kachin Indipendence Army (Kia).
Per soffocare la resistenza, riferisce l’attivista Zau Raw, “il governo centrale continua a impedire l’ingresso di aiuti umanitari nell’area di guerra, nelle zone controllate dai Kachin e lungo il confine con la Cina”. Solo nelle ultime due settimane circa duemila famiglie, che vivevano in sette villaggi sparsi nella cittadina di Bhamo, hanno dovuto abbandonare le loro case. Altre mille sono fuggite da Kala Yang, Kazue e Tapant, per ordine delle autorità.
Il coordinatore di Kachin Refugee Committee (Krc) ha criticato Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione birmana, per non aver preso posizione a lungo sul conflitto. Tuttavia nei giorni successivi la Nobel per la pace ha affermato di essere pronta a mediare fra il governo e i gruppi etnici, per il raggiungimento di un cessate il fuoco. In una lettera aperta inviata al presidente Thein Sein e ai leader Kachin, la donna auspica una “soluzione pacifica” nell’interesse di “tutte le minoranze etniche dell’Unione del Myanmar”.
Zau Raw accusa infine il governo birmano – insediatosi nell’aprile scorso ed emanazione del regime militare – di “sfruttare” l’immagine della “Signora” per allentare la pressione internazionale. Egli ricorda che la donna è stata liberata all’indomani delle elezioni “farsa” del novembre 2010 per coprire le denunce di brogli e di voto anticipato. E oggi che l’esercito è impegnato in una guerra civile contro una minoranza, organizza “un incontro fra Aung San Suu Kyi e un ministro del governo con il solo scopo di deviare l’attenzione “dalle atrocità e dai crimini di guerra e contro l’umanità” nelle aree etniche.
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