Il quotidiano tempo della Misericordia
La Lettera apostolica “Misericordia et misera” indica come riversare lo “straordinario” del Giubileo nell’ordinario della vita. Innervare il mondo con l’esperienza della misericordia per sanare le tristezze e la disperazione. Nessun accenno ai vescovi cinesi illeciti. Tutto viene riportato al “centro” del cristianesimo, che è la misericordia di Dio in Gesù Cristo. Un punto da cui far ripartire il cambiamento della società e il dialogo fra conservatori e progressisti nella Chiesa.
Roma (AsiaNews) - Non ci sono spettacolari rivelazioni né giganteschi progetti o idee stupefacenti nella Lettera apostolica di papa Francesco a conclusione del Giubileo straordinario della Misericordia. La “Misericordia et misera” però racconta in uno stile colloquiale come l’anno “straordinario” può riversarsi “nell’ordinario” della vita e la misericordia, così assente dal nostro mondo, può tornarvi con la testimonianza quotidiana dei cristiani, fino a plasmare nella società una “cultura della misericordia”.
L’idea che la compassione, la tenerezza, l’attenzione al povero e al malato innervino la vita quotidiana è una necessità evidente a occhio nudo. Il nostro mondo, quanto più è globalizzato e pieno di tecniche di comunicazione, tanto più sembra far vivere ogni essere umano in un’isola o su direzioni parallele, tanto che il povero e il ricco, il sano e il malato, il profugo e il residente non si interrogano più. Nel mare dell’indifferenza crescono “le forme di tristezza e solitudine in cui cadono le persone, e anche tanti giovani” (n. 3).
Era necessario riscoprire la misericordia che riveste la “nudità” del peccato e della miseria umana anche alla Chiesa: un’esigenza emersa nel Sinodo sulla nuova evangelizzazione, che ha fotografato la vita dei cristiani come dediti a lavorare e a discutere sulle conseguenze del cristianesimo e a dimenticarsi dell’origine. Grazie a papa Francesco – che riprende l’opera di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI – la misericordia di Dio verso di noi ritorna al centro della fede e del respiro quotidiano.
Per questo non stupisce che il pontefice mostri come gioielli preziosi gli elementi tradizionali, comuni della fede: la messa, i sacramenti, la Parola di Dio, l’omelia. A questo proposito, tempo fa un professore di comunicazione mi faceva notare che non c’è al mondo un’organizzazione come la Chiesa cattolica che abbia una audience così vasta e così costante come i fedeli che vanno a messa la domenica: se – come dice il papa - l’omelia è una testimonianza del sacerdote, un aiuto a comunicare ai fedeli “la certezza che Dio ci ama”.
Vi sono alcune novità che vengono introdotte: l’assoluzione per i peccati di aborto concessa a tutti i sacerdoti; la validità dei sacramenti per i lefebvriani; le celebrazioni speciali della Parola di Dio; la Giornata mondiale dei poveri. Ma queste non hanno un tono roboante: sono offerte alla libertà e alla trasformazione del cuore, alle mani “artigianali” di ogni fedele e di ogni uomo.
In questi senso, anche se si parla di vecchie povertà – fame, sete, malattia, analfabetismo – e di nuove come il non conoscere Dio (“la più grande povertà e il maggior ostacolo al riconoscimento della dignità inviolabile della vita umana”, n. 18), non vi sono appelli agli Stati, ai governi, alle organizzazioni internazionali: tutto è proposto alla libertà di ogni uomo o donna, e soprattutto ai cristiani che possono catalizzare le società così che “i piani e i progetti non rimangano lettera morta”.
Non vi è traccia di un colpo di spugna sul problema dei vescovi illeciti in Cina, che alcuni commentatori avevano preannunciato. E non si tenta nemmeno una soluzione razionale alle questioni che si sono dibattute durante il Giubileo: come coniugare la misericordia e la giustizia; sacramento dell’indissolubilità e comunione ai divorziati… Su tutto viene offerta una risposta che viene prima delle elaborazioni di legge morale e intellettuale. Questo “prima” è in realtà un “centro”: “al centro non c’è la legge e la giustizia legale, ma l’amore di Dio, che sa leggere nel cuore di ogni persona, per comprenderne il desiderio più nascosto, e che deve avere il primato su tutto”(n. 1).
Vi è abbastanza spazio per ricercare una via cattolica che metta insieme misericordia e giustizia, l’attenzione al Dio concreto e alla persona concreta (“non si incontrano il peccato e il giudizio in astratto, ma una peccatrice e il Salvatore”, n. 1).
Forse questo “centro” potrebbe dare spazio anche a un maggior dialogo fra quelli che sono diventati dei “partiti” nella Chiesa, quello dei cosiddetti “tradizionalisti” che difendono una “giustizia” fredda e quello dei progressisti, che difendono una “misericordia” senza dramma.