12/02/2015, 00.00
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Il petrolio crolla e il mercato del lavoro lo segue: 100mila posti in meno

Il settore energetico ha dominato per un decennio il mercato dell'impiego sicuro e ad alto reddito. Lo shock dei prezzi ha portato in due anni il barile da 100 a 48 dollari, e per gli analisti la discesa è ancora ripida. Goldman Sachs: "La colpa è dell'abbondanza di disponibilità di greggio, che nell'ultimo semestre del 2014 ha invaso il mercato".

New York (AsiaNews) - Il crollo del prezzo del petrolio, dimezzato in due anni, ha colpito in maniera molto dura anche il mercato del lavoro ad esso correlato. Secondo i dati della Swift Worldwide Resources, oltre 100mila impieghi sono svaniti dal 2012. E le previsioni sono ancora più nere: dai 48,84 dollari americani al barile, prezzo di oggi, il greggio potrebbe calare ancora entro aprile 2015. Scandali politici e guerre intrise di terrorismo nei Paesi produttori  non fanno sperare in un rilassamento del settore a breve termine.

Tobias Read, capo esecutivo della Swift, spiega all'agenzia Bloomberg: "La questione peggiore è quella dell'incertezza relativa all'impiego. Per sette anni, l'intero settore ha penato per mancanza di operatori qualificati. Oggi, per la prima volta, sono in surplus. In pratica non assume quasi più nessuno". Il centro della crisi è di certo l'America, dove il crollo ha causato i danni maggiori, ma anche nel resto del mondo il settore è in sofferenza. Per ironia, scrivono gli analisti, da sempre un impiego in questo settore "era considerato sicuro e ad alto reddito". 

I dirigenti delle maggiori compagnie petrolifere non sembrano sperare nel futuro. I vertici di BP Plc e Royal Dutch Shell hanno già annunciato tagli per 40 miliardi di dollari e hanno annunciato agli investitori di "essere pronti" a fare ancora di più. Il Paese più colpito sembra l'Australia, con una forza lavoro già decimata dal crollo dell'industria mineraria carbonifera. Un totale di 70 miliardi di dollari già in rotta verso il Paese, destinati alla costruzione di impianti di estrazione di gas naturali, è stato bloccato o rimandato.

In Brasile lo scandalo-tangenti che ha colpito l'amministratore delegato della statale Petroleo Brasileiro ha peggiorato ancora di più la situazione. Fermo il progetto di sviluppo di Macae, cittadina da 230mila abitanti di fatto costruita per i lavoratori di tutto il mondo in America Latina per estrarre petrolio, e spariti investimenti privati e governativi.

Le cause alla base del crollo del prezzo del petrolio non sono ancora chiare, e di sicuro dividono gli analisti internazionali. Goldman Sachs ha pubblicato ieri un rapporto in cui sostiene che il prezzo del barile in caduta libera sia da attribuire all'abbondanza di greggio sul mercato. L'enorme disponibilità registrata nella seconda metà del 2014 ha sconvolto il settore e ha dato il colpo finale. Per gli analisti del gruppo statunitense "il nuovo prezzo di equilibrio del settore sarà con ogni probabilità molto più basso della media dell'ultimo decennio". 

Altri sostengono che il problema derivi dalle decisioni dell'Opec, organismo che riunisce alcuni fra i maggiori produttori di greggio. Durante il vertice dell'Opec del novembre 2014, l''Arabia saudita e il suo principale alleato, gli Emirati Arabi, hanno fatto prevalere la decisione di lasciare la produzione immutata, innescando il crollo delle quotazioni che ha scosso i mercati negli ultimi mesi. L'obiettivo di Riyadh, secondo la maggior parte degli analisti, è ridimensionare il ruolo dei produttori statunitensi di shale oil, conservando le proprie quote sul mercato americano. L'estrazione di idrocarburi non convenzionali richiede infatti investimenti che rischiano di diventare non convenienti con un barile sotto quota 50 dollari. I produttori del Golfo Persico, avendo un punto di pareggio molto più basso, possono invece sopportare un tracollo dei prezzi ancora più grave. 

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