Il patrono Nikolaj Patrušev e il destino della Russia nel ‘Putin congelato’
Nel Paese si rafforzano i dubbi sulla reale sussistenza del presidente, dato per morto o sostituito tanto da essere soprannominato “l’uomo del frigorifero”. Il capo supremo espressione quasi anonima e impersonale. Kirill incarna il ruolo celebrativo, ma il potere e nelle mani dell’oscuro segretario del Consiglio di sicurezza che parla dello “zar Putin” al passato.
Negli ultimi tempi si sta creando una singolare atmosfera di gelo in Russia, non dovuta ai freddi invernali che tardano ad affermarsi, viste le svolte imprevedibili dei cambiamenti climatici, ma per le incerte percezioni che riguardano il presidente Vladimir Putin. Come non esistono nella mente dei russi certezze assolute riguardo alla scomparsa improvvisa e scenografica del “cuoco” Evgenij Prigožin, o alla cagionevole salute del “macellaio” ceceno Ramzan Kadyrov, ora si aggiungono apprensioni circa la reale sussistenza dello stesso Putin. Dato per morto da alcuni e sostituito da vari sosia, per altri “congelato” nei suoi bunker per motivi sanitari o semplicemente di sicurezza, tanto da essere ormai chiamato “l’uomo del frigorifero”.
Non è poi così decisivo se il prossimo presidente, che verrà proclamato il 18 marzo 2024 con oltre l’80% dei voti, sarà lo stesso che domina il Paese da oltre un ventennio, o un suo alias dei tempi dei droni e dell’intelligenza artificiale, più ancora dei mascheramenti e operazioni chirurgiche. Chi siederà sul trono del Cremlino dovrà corrispondere a una funzione definita dall’ideologia e perfino dalla religione; un idolo a cui prostrarsi in nome della grandezza della Madre Russia, vera divinità venerata fin da prima del Battesimo di Kiev nel 988, ancora nelle incerte ispirazioni del paganesimo scandinavo, caucasico e asiatico del popolo a cavallo di Oriente e Occidente. I “valori tradizionali” impersonati da questa figura semi-divina trascendono perfino il cristianesimo ortodosso, in più occasioni interpretato solo come un attributo dell’autentica anima russa, preesistente ad ogni altra forma di morale o religione, proiettata sulla soluzione finale della storia universale.
Per questo il capo supremo della Russia deve rimanere un’espressione quasi anonima e impersonale, evitando di confondere e sminuire la purezza del collettivo, la sobornost del popolo eletto. I monarchi che nella storia hanno cercato di imporre la propria personalità e visione hanno fallito la loro missione, come il primo zar Ivan il Terribile, che per le sue paranoie isteriche fece sprofondare la Russia cinquecentesca della “Terza Roma” nei Torbidi del conflitto con la Polonia-Lituania, di cui Putin oggi cerca di evitare la replica con la “difesa” dell’Ucraina dall’invasione dell’Occidente immorale. Al contrario, l’occidentalista Pietro il Grande non seppe conservare la vera anima russa, diffondendo lo spirito oscuro della “città maledetta” da lui creata a imitazione delle capitali europee, quella San Pietroburgo nei cui antri si contorcono i personaggi grotteschi e apocalittici dei romanzi di Gogol e Dostoevskij. Il modello perfetto, a cui oggi si ispira la Russia putiniana, è stato invece il grigio segretario georgiano Iosif Stalin, il cui culto della personalità nella Ortodossia “rovesciata” del Comunismo russo ha indicato la via per la totale purificazione.
Lo stalinismo è la vera realizzazione della sobornost, garantendo pace e sicurezza nella luce della Vittoria sui nemici, alimentando lo stato di guerra permanente come era appunto la “guerra fredda”, da combattere sul campo e nella mente a tutte le latitudini. Dopo la sbandata del “disgelo chrusceviano”, la Russia sovietica si ricompattò nel ventennio della “stagnazione”, guidata da un essere impersonale come Leonid Brežnev proprio negli anni della formazione giovanile di Putin e del patriarca Kirill. Dopo i “torbidi eltsiniani”, seguiti alla sciagura del crollo del sistema, provocata dalle fantasiose intemperanze della perestrojka gorbacioviana, ora la Russia si può adagiare nuovamente sul neo-stalinismo putiniano, garantito da un anonimo padrino la cui permanenza al trono del Cremlino non è messa in discussione neppure dal fastidio della morte fisica.
Il potere supremo e metafisico si basa sulle due grandi prerogative della religione staliniana, il conflitto e la sicurezza, che Putin sta interpretando al massimo livello. La guerra è ormai in corso a livello planetario, trovando nell’Ucraina e in Israele i perfetti comprimari per proiettarsi almeno su un secolo di combattimenti, sprofondando nelle dighe del Donbass e nei cunicoli di Gaza. E la sicurezza interna della Russia è talmente capillare da aver eliminato non soltanto tutti gli avversari politici, rinchiusi nei lager o sparsi nel vuoto dell’Occidente, ma perfino i sentimenti pacifisti e liberali ancora rimasti nelle menti dei russi. I dissidenti non preoccupano la dirigenza del Cremlino, conta di più la percezione di impotenza e sottomissione nelle masse, da alimentare con la propaganda e la sorveglianza. A questo ci pensano le vere strutture del potere, le uniche eredità staliniane rimaste in vita dopo la fine dell’Urss: il patriarcato di Mosca e il Consiglio di sicurezza.
Il patriarca Kirill ha incarnato alla perfezione il ruolo celebrativo a cui si era preparato fin da quando era un giovane vescovo brezneviano, il “chierichetto del potere” secondo la definizione di papa Francesco. In questi giorni ha dato un segnale di apertura della prossima campagna elettorale, invocando la repressione delle “intenzioni favorevoli” all’aborto, nel Paese al mondo dove la pratica dell’aborto è più facile e più diffusa: non contano i fatti, ma le “intenzioni”. Il capo della Chiesa, nella variante staliniana, deve fornire le giustificazioni della guerra, e il connubio tra preti e soldati si è esaltato nella guerra in Ucraina, dopo essere stato profetizzato nella “Cattedrale della Vittoria” eretta nel 2020. L’anno della celebrazione dei 75 anni dall’ingresso a Berlino dei salvatori del mondo, veri figli del Cristo con la spada e della Vergine con la mitragliatrice.
Se la funzione patriarcale assume contorni pubblici e liturgicamente enfatici, meno evidente è il contributo degli uomini della sicurezza, i leggendari fantasmi dei servizi del Kgb-Fsb, da cui proviene lo stesso “zar del frigorifero”. Nell’inquietudine che aleggia sulla persona fisica del presidente, assume sempre più importanza l’oscuro segretario del Consiglio di sicurezza di Mosca, Nikolaj Patrušev, che molti chiamano il “patrono di Russia”, colui che sorveglia e garantisce l’ordine delle cose. Secondo le norme, in assenza improvvisa (o morte mascherata) del capo di Stato è proprio lui a svolgere le funzioni di reggente, o di caposquadra degli alias e dei sosia.
In alcuni recenti discorsi Patrušev ha alimentato il sospetto che sia lui a tenere in mano la situazione, esponendo con autorevolezza i programmi della Russia in vista della rielezione di Putin e dettando la linea politica nella fase acuta del conflitto mondiale. Il 16 settembre aveva denunciato il “crollo dell’impero dei parassiti” occidentali, in una lunga relazione pubblicata sulla rivista dei servizi Razvedčik (“L’Investigatore”). Il 4 novembre, in occasione della festa dell’Unità del Popolo, ha assicurato che “il popolo russo è in grado di superare tutte le minacce interne ed esterne, grazie alla sua compattezza”. Il discorso è stato pronunciato durante la “maratona” della società Znanie (“La Conoscenza”), una delle strutture sopravvissute dai tempi sovietici, essendo stata fondata nel 1947 sulle ali dell’entusiasmo staliniano per la Vittoria, allo scopo di “diffondere le conoscenze politiche e scientifiche”, soprattutto con la propaganda anti-religiosa, la “catechesi” ateista. Sembrava dovesse essere sciolta, ma negli ultimi anni Patrušev ne ha ispirato la rifondazione usandola come luogo privilegiato per esporre le nuove visioni della Russia anti-occidentale.
Il “patrono” risulta quindi essere il garante del “padrino”, perfezionando un sistema di “paternità anonima” rispetto al popolo, che non vede alternative a Putin e al putinismo in quanto la religione di Stato ha cancellato il concetto stesso di “alternativa”, e con esso anche il principio di successione: a Putin può succedere soltanto Putin, la continuità del potere diventa reincarnazione del potere, grazie alla sorveglianza onnicomprensiva. Patrušev controlla l’Fsb, che a sua volta controlla la magistratura, i tribunali e la Guardia nazionale. Il Servizio federale di protezione (Fso) mantiene un’indipendenza formale, essendo adibito alla custodia del “frigorifero”, ma in realtà tutto funziona perfettamente all’unisono e non si prevedono colpi di testa alla Prigožin. Sempre ammesso che si trattasse di una vera rivolta, nelle segrete stanze del gelido bunker del Cremlino.
Il discorso di Patrušev alla Znanie è stato anche chiamato il “necrologio di Putin”, perché facendo un bilancio dei suoi 23 anni di governo, il “patrono” ne parlava solo al passato con tono mesto. Lo zar secondo lui “ha salvato il Paese dalla deriva eltsiniana perché conosceva ogni dettaglio della situazione e aveva un chiaro programma da realizzare, uno scopo per cui sapeva di doversi assumere la responsabilità per la salvezza di tutta la società”. Rimembrando i meriti del padrino della Patria, Patrušev continuava a tornare sulle azioni del passato, degli anni Novanta e all’inizio dei Duemila, senza accennare al Putin attuale, se non con un breve riferimento alla nuova Costituzione del 2020. Non una parola sull’operazione militare speciale, logica conseguenza di tutto il “piano di salvezza”. Lo zar non vive nel presente, ma assume una dimensione eterna ed eterea, perché la vera Russia sta soltanto nei cieli, dove ogni sofferenza e ogni tragedia viene superata, e tutto ciò che sta sulla terra sprofonda ormai nell’abisso.
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