Il papa che verrà viaggerà in Asia
Roma (AsiaNews) - Il papa che verrà dovrà essere abbastanza giovane per affrontare molti viaggi, e soprattutto dovrà fare molte tappe in Asia. Con voli che durano 8-9 ore fino a 12-13, con climi che vanno dal freddo polare del nord, in Siberia o in Mongolia, fino alle zone tropicali del subcontinente indiano o del sud-est asiatico. E perché in Asia? Perché in questo grande continente, il più popoloso al mondo (quasi due terzi dell'umanità) vi è la più grande concentrazione di non cristiani al mondo: circa l'80%. Se il papa futuro vuole dare una spinta missionaria alla sua Chiesa, deve continuare la prospettiva di Giovanni Paolo II: "L'Asia: ecco il nostro compito per il Terzo Millennio".
Benedetto XVI, il nostro caro papa emerito, non ha mai viaggiato in Asia, eccetto che in Medio Oriente (Terra Santa E Libano). Così, in questo tempo di contatti, viaggi, incontri internazionali, molti cristiani dell'Asia non vedono un Papa dal 1984 (Corea) o dal 1999 (India). Con questo, non si può dire che Benedetto XVI abbia dimenticato l'Asia. Anzi, il suo messaggio così pieno di verità e spiritualità ha colpito non pochi asiatici. Nei messaggi ricevuti da AsiaNews dopo la sua rinuncia al pontificato, vi sono buddisti che lo ringraziano per aver sottolineato il valore del distacco in un mondo che rischia di soffocare nel materialismo; musulmani che hanno appreso da lui a schierarsi con fermezza contro la violenza giustificata in nome della religione; perfino atei, si sono avvicinati a Dio, grazie alla testimonianza di questo papa che addita il fondamentalismo (religioso) e il relativismo (laicista) come i problemi più gravi per la pace nel mondo. L'Asia presenta Paesi e popoli segnati da queste piaghe: dall'Arabia saudita, al Pakistan; dalla Cina, al Vietnam, al Giappone.
Ad accrescere questa tensione vi è il grande circuito della globalizzazione economica che penetra ormai le lande più estreme del continente, portando benessere e salvezza dalla fame per centinaia di milioni, ma condannando anche molti di più all'estrema povertà e allo sfruttamento. Oltre il 50% della popolazione asiatica vive al di sotto della soglia della povertà. Eppure in Asia vi sono anche i grandi giganti dell'economia, l'India e la Cina, visti come la zattera a cui aggrapparsi in questo periodo di crisi, che in un prossimo futuro - se non forse ora - saranno i Paesi trainanti dell'economia mondiale.
Il punto è che nel grande continente tutte queste culture si sovrappongono e non si incontrano, non si domandano l'un l'altro una sintesi e una riconciliazione: le culture tradizionali, spodestate dalla loro centralità si rifugiano nelle campagne; nelle città o megalopoli (fino a 20-30 milioni), la religione è ridotta a un fatto privato che resiste a malapena. Ma anche la nuova modernità economica asiatica che trionfa negli aeroporti e fra i grattacieli sempre più alti, preferisce perseguire la linea del profitto a tutti i costi, irridendo il rispetto non solo delle religioni, ma anche dell'ambiente e dei popoli. La Cina, l'India, il Pakistan, la Corea del Nord sono potenze nucleari; alcuni di questi sono Paesi ricchissimi, eppure sono fra i luoghi più inquinati della terra e la loro gente muore di fame, senza sanità, senza scuole.
Il dialogo fra religione e modernità è uno dei punti nevralgici per il futuro del mondo; ma anche le prospettive di uno sviluppo in cui il profitto, la ricchezza, il potere, si pieghi al rispetto per la dignità dell'uomo è uno dei punti caldi che rischiano, se non affrontati, di creare le basi per una guerra mondiale. Ne vediamo i segni nelle urla della Corea del Nord; nelle tensioni fra Cina, Giappone, Corea, Vietnam, Filippine, ecc.. per pochi gruppi di isole contese da tutti; nelle lotte di gruppi contro le dighe sul Mekong o per salvare le foreste dell'India; nella schizofrenia del fondamentalismo islamico che si serve dei migliori strumenti tecnici per assaltare l'occidente ateo e pragmatico.
Benedetto XVI ha additato queste piste nel suo magistrale discorso di Regensburg, dove ha condannato la violenza delle religioni, ma anche la violenza del razionalismo moderno che esclude la verità religiosa; egli ha scritto la Caritas in Veritate per tracciare le basi per uscire in modo dignitoso dalla crisi globale.
Occorre ora realizzare la riconciliazione fra queste tendenze, pena il vederle scontrarsi senza risparmio di colpi.
Le Chiese dell'Asia si trovano all'incrocio di queste tensioni e testimoniano una possibile riconciliazione: senza nessuna paura o tabù della modernità, riescono a vivere la fede negli uffici delle grandi città, ma anche nella penuria estrema delle campagne; in contatto con culture straniere, che non demonizzano, sono radicate nelle culture locali. Nel loro impegno alla ricerca del bene ovunque esso sia, essi valorizzano il moderno, la dignità della donna; desiderano cambiare leggi ingiuste, come quella sulla blasfemia in Pakistan, o quelle che emarginano i dalit, gli intoccabili dell'India. Per questo essi sono spesso visti come nemici e posti come obiettivo da distruggere dai gruppi estremisti religiosi. In più, fra le culture claniche, che esaltano il gruppo e la tribù sull'individuo, le Chiese affermano il valore della persona, dell'io, della sua libertà e dignità, creata da Dio e amata da Cristo. Questo mette i cristiani in cattiva luce anche da parte di quei regimi atei e pragmatici - come la Cina, il Vietnam, la Corea del Nord - che hanno fatto del potere ideologico ed economico il motivo della loro sussistenza.
Il papa che verrà dovrà sostenere queste Chiese dell'Asia, insieme le più antiche - come quelle del Medio oriente - e le più giovani - come quelle delle repubbliche ex sovietiche e la Mongolia - che però crescono ogni anno del 4-5%. Perché gli uomini e le donne dell'Asia, schiacciati dalle tensioni che si combattono attorno a loro, aspettano una parola che dia loro dignità e che apra prospettive per le loro famiglie. Questa parola è la stessa testimonianza di Gesù Cristo, salvatore dell'uomo, in cui si riconciliano l'uomo e l'ambiente, la famiglia e la società, il ricco e il povero, la vita e la morte. Sostenendo queste Chiese e dando speranza agli uomini del grande continente, si darà speranza anche al resto del mondo.
Il prossimo papa sarà asiatico? Forse. Ma è impressionante che fra i vescovi e cardinali che abbiamo interrogato, tutti loro ci danno questa risposta: Non importa che il prossimo pontefice sia asiatico, o africano, o occidentale: è importante che sia cattolico, universale, che in nome di Gesù sappia far dialogare i popoli e i continenti.