Il nodo dei missili russi sulla riconciliazione fra Ankara e Washington
Nel nuovo scenario aperto dalla guerra in Ucraina Erdogan sta cercando archiviare le tensioni con gli Stati Uniti. In settimana primo incontro a livello di vice-ministri degli Esteri. Una ripresa delle relazioni fondamentale per rilanciare l’economia turca. L'analista Cagaptay: "Un buon rapporto con gli Usa servirebbe anche da leva per relazioni più serene con l'Unione europea".
Milano (AsiaNews) - Turchia e Stati Uniti: prove tecniche di riconciliazione, ma la strada è ancora lunga e, con grande scorno del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, tutta in salita. Per il momento, si fa quello che si fa in questi processi. Si parla, tanto e a lungo. Evidenziando prospettive di comune interesse, ma anche chiarendo bene che, se la normalizzazione dei rapporti ci sarà, essa avverrà per gradi e a determinate condizioni.
Questa settimana nella capitale turca si è tenuto il primo incontro del U.S. Strategic Mechanism. Il vice ministro degli esteri di Ankara Sedat Onal e la sua controparte americana Victoria Nuland, con le loro rispettive delegazioni, si sono incontrati ad Ankara per “rivedere argomenti di interesse comune, inclusa la cooperazione economica e finanziaria, la lotta al terrorismo e le aree in cui gli interessi regionali e globali coincidono”. Se si conta quanto, a partire dal 2009, la Turchia abbia fatto attraverso una politica estera autonoma e spesso corsara, i toni del comunicato indicherebbero quasi una virata a 180 gradi. “La guerra in Ucraina - spiega ad AsiaNews Soner Cagaptay, senior fellow al Washington Institute e autore del libro Sultan in Autumn - ha ripotato un senso di realismo nei rapporti con la Russia. Sembrerebbe che la Turchia stia tenendo di nuovo in seria considerazione le relazioni con gli Usa e la Nato”.
Ankara ha i suoi bei motivi per farlo. L’economia turca sta attraversando una fase molto delicata. Valuta fuori controllo ormai da mesi, inflazione ai massimi storici da 20 anni a questa parte e investimenti stranieri diretti, quindi soldi solidi, non influenzati dalla volatilità dei mercati, investiti in infrastrutture o in altri progetti chiave per lo sviluppo del Paese. La guerra della Russia contro l’Ucraina, poi, ha bloccato quello che per Ankara è un corridoio commerciale vitale: il Mar Nero. Navi dal Bosforo ne transitano poche come nei momenti più drammatici della pandemia. La Turchia ha bisogno che la guerra finisca, e anche in fretta. Dal punto di vista economico è uno dei Paesi che rischia di essere più danneggiato. E non è finita.
“C’è anche un elemento di politica interna - prosegue Cagaptay -. Erdogan vuole vincere le elezioni del 2023. Fino a questo momento aveva puntato sulla crescita economica. L’inflazione è la più alta da anni e gli indicatori macroeconomici sono molto negativi. Anche se negli ultimi 10 anni è stato molto impegnato a cambiare il volto ufficiale della Turchia e a farla diventare meno laica e più islamica, l’economia nazionale rimane completamente integrata con quella dell’Unione europea. Un buon rapporto con gli Usa servirebbe anche da leva per relazioni più serene con Bruxelles”.
C’è però un ma. Anzi, ce n’è più di uno. In questi anni le posizioni dei due Paesi sono state opposte su diversi capitoli di politica estera, a iniziare dalla protezione degli Stati Uniti dei curdi siriani dello Ypg, fino ad arrivare al Mediterraneo dell’est e alla questione gas. Vi è poi quello che per il presidente Joe Biden è un punto di non ritorno: gli S-400, il sistema missilistico da difesa russo che la Turchia ha acquistato e che deve smantellare.
“Biden - conclude Cagaptay - vuole un rapporto più distanziato e quindi meno traumatico con la Turchia. Vuole però una cosa categorica, ossia la rinuncia ai S-400. Quindi anche se i segnali sono buoni, non possiamo ancora parlare di normalizzazione. E se non viene sciolto il nodo S-400, difficile possa esserci una ricomposizione completa dei rapporti”.
05/11/2021 10:27