Il maqâm di ‘Simon Pietro’ e i patrimoni a rischio nella guerra fra Israele ed Hezbollah
Gli attacchi dello Stato ebraico al “partito di Dio” hanno danneggiato un castello medievale e un sito sciita a Chameh, villaggio vicino a Tiro. Il luogo è dedicato a Chmoun el-Safa, che altri non è che il primo pontefice della cristianità, di cui conserva le tracce di una cappella. Per verificare se al suo interno vi sono reliquie risalenti al I secolo bisogna attendere il ritiro dell’esercito israeliano.
Beirut (AsiaNews) - L’intero Libano ha tremato quando i colpi israeliani che hanno caratterizzato la guerra tra Israele e Hezbollah si sono avvicinati ad alcuni dei suoi siti archeologici più importanti; fra questi vi è in particolare all’area di Baalbeck, l’Eliopoli dell’antichità romana, famosa quanto il Partenone greco o il Colosseo a Roma. Il Paese dei cedri ha invocato con urgenza e ottenuto la doppia protezione dell’Unesco per 34 dei suoi siti. Tuttavia, i combattimenti di novembre tra il partito di Dio filo-iraniano e l’esercito dello Stato ebraico hanno minato questa protezione nel caso del castello medievale di Chameh, vicino a Tiro, e del “maqâm” di Chmoun el-Safa che ospita. La cittadella e il santuario, situati circa 25 km a sud-est di Tiro, sono stati colpiti, ma la portata dei danneggiamenti non è nota poiché i militari con la stella di David non si sono ancora ritirati dal sito.
L’area storica e archeologica si trova su una splendida collina che si affaccia sul mare, come è consuetudine per i maqâm, i luoghi di preghiera eretti dagli sciiti per i quali, in mancanza di moschee, vengono scelte le località e i paesaggi più belli. Il maqâm di Chmoun as-Safa, le cui pietre risalgono al I secolo, ha un valore storico unico, perché per gli arabi cristiani Chmoun es-Safa non è altro che Semaan el-Safa o Simon Pietro. Infatti, in arabo, Chmoun diventa Semaan (Simone) e Safa è semplicemente la contrazione araba del soprannome “Cefa” dato da Gesù al suo apostolo.
Il maqâm è così speciale soprattutto perché questi santuari sono generalmente dedicati o a ulema la cui vita è stata esemplare, o a figure il cui nome compare nel Corano e nell’Antico Testamento, come Noè, Giobbe o Giosuè. In particolare, quello di Chameh è costituito da una cripta, una sorta di camera funeraria sotterranea, a cui si accede attraverso un’apertura circolare coperta da un involucro di legno. Il tutto è racchiuso in una ricca sala porticata sormontata da quattro cupole, mentre al di sotto vi è il pavimento che costituisce anche la parte più sacra.
Secondo Haïdar Hawila, un abitante di Chameh che ha avuto l’opportunità di avvicinarsi al sito, l’esercito israeliano sembra aver prelevato dei campioni dall’interno della cripta, il cui involucro è stato spostato anche se nel farlo sarebbe stata usata “grande attenzione”. L’informazione è tanto più credibile, se si considera che Hezbollah ha ucciso un archeologo israeliano a Chameh, il 71enne Zeev Urlich, entrato con l’esercito israeliano “senza le necessarie autorizzazioni” nella zona e vestito in abiti militari.
Secondo Ali Badaoui, archeologo responsabile dei resti a Tiro presso il ministero libanese della Cultura, se gli israeliani avessero effettivamente esaminato il pavimento del maqam, avrebbero effettuato un lavoro che i libanesi stessi avevano trascurato di fare. Una mancanza, aggiunge, legata alla “usanza” tipicamente “orientale” in tema di “rispetto per i morti”.
Detto questo, come si spiega il fatto che un monumento funerario sciita, un ramo dell’islam che risale all’ottavo secolo e in perenne contrapposizione con la maggioranza musulmana sunnita, sia dedicato all’apostolo san Pietro, morto come martire a Roma nel 64 d.C.? La risposta a questa domanda è fornita dalla tradizione orale di Chameh, secondo la quale, per la comunità sciita, Chmoun el-Safa figura nella lista genealogica degli antenati dell’imam Al-Mahdi, la cui madre era cristiana prima di abbracciare l’islam. “Occultata”, questa figura escatologica dovrebbe riapparire alla “Fine dei Tempi”.
Ma è possibile che il maqam contenesse reliquie del primo vescovo di Roma, e quali? È un’ipotesi fantasiosa, si chiedono studiosi, storici e analisti. O il maqam è semplicemente una tomba vuota? Non è detto, perché l’archeologo Ali Badaoui fa notare che nei pressi del sito sono state individuate le fondamenta di una cappella, a dimostrazione che il luogo era già consacrato prima dell’avvento dell’islam nel 632”. Quindi, risalendo all’antichità cristiana, il maqâm di Chameh potrebbe riservare qualche sorpresa ai ricercatori. Se non è troppo tardi, perché è andato distrutto o gravemente danneggiato per la guerra.
Nel frattempo, quello che si può dire è che siti come questo in tutto il Libano sono un prezioso reliquiario. E proprio per questo andrebbero meglio consolidati e conservati, a partire da quello del Maqâm di Semaan el-Safa a Chameh, perché potrebbero trasmettere alle nuove e nascenti generazioni di studenti libanesi una incomparabile apertura mentale. Una peculiarità che non deve essere inquadrata necessariamente come una sorta di relativismo; al contrario, essa rappresenta una forma di visione lucida riguardo alla diversità delle proprie radici e la loro maggiore o minore importanza nella cultura e nella mentalità popolare.