Il fallimento della comunità internazionale di fronte al dramma del popolo birmano
Yangon (AsiaNews) – Per la maggior parte dei birmani il 2008 verrà ricordato “per l’apocalisse di nome Nargis” che ha devastato il Paese e per “il fallimento delle Nazioni unite e della comunità internazionale” di fronte all’emergenza e al dramma degli sfollati, incapace di scalfire il potere di una dittatura militare che “reprime qualsiasi voce contraria al regime” nel sangue. La denuncia arriva da Pascal Khoo Thwe, attivista birmano di etnia Padaung rifugiato a Londra, in un’editoriale pubblicato sul sito internet del giornale dissidente Democratic Voice of Burma.
Egli ricorda come lo scorso mese di maggio il mondo fosse “in attesa dell’inizio dei Giochi Olimpici” in Cina e preoccupato di “non turbare la lunga marcia del Dragone”per pensare alla tragedia che colpiva il Myanmar. Ad aggravare la situazione ha contribuito la noncuranza della giunta al potere, che non ha preso in considerazione l’allarme lanciato da un centro meteorologico dell’India, considerando Nargis al pari di una semplice tempesta tropicale.
“Più persone uccideva la tempesta – scrive Pascal Khoo Thwe – più aumentava la soddisfazione dei generali perché non vi sarebbero stati sopravvissuti a incolparli della tragedia e avrebbero potuto facilmente confiscare i terreni dei morti”. Tra le vittime molte sono di etnia Karen, una minoranza che il governo ha più volte cercato di sradicare con la forza dalla regione.
Egli non risparmia critiche nemmeno ai governi stranieri, che “invocano, denunciano, condannano e chiedono” ma non fanno nulla di concreto per cambiare la realtà e aiutare il popolo birmano. Al contempo biasima la politica Onu che ha voluto “aspettare e vedere” l’evolversi della situazione, mentre morivano “ogni giorno migliaia di persone”.
La repressione imposta dai militari si abbatte anche su quanti – pochi, in realtà – hanno promosso iniziative personali per aiutare le popolazioni e le aree sconvolte dal passaggio del ciclone: Pascal Khoo Thwe cita l’esempio del più famoso attore birmano, Zarganar, che è stato “fermato, assaltato, intimidito dagli uomini della giunta” e infine “arrestato e messo in prigione per gli sforzi compiuti”. Egli riferisce anche di un contadino – l’unico sopravvissuto della sua famiglia – che, alcune settimane dopo la catastrofe, ha apostrofato un volontario di una Ong straniera dicendogli: “”Grazie per la vostra inutilità e per essere arrivati troppo tardi. Continuate ad aiutare la tirannia”. L’agricoltore è “sparito nel nulla senza lasciare alcuna traccia e nessuno, ad oggi, sa cosa gli sia successo”. E anche quei pochi che “per anni si sono battuti con coraggio contro la dittatura come Win Tin”, esponente di primo piano del partito di opposizione Lega nazionale per la democrazia (Nld), sembrano “aver sprecato le loro energie” senza che la comunità internazionale fornisse loro “alcun aiuto concreto” o che smettesse “di sostenere i generali” al potere.
Per il futuro Pascal Khoo Thwe non sembra cavalcare l’onda di ottimismo che ha accompagnato l’elezione del neo-presidente Usa Barack Obama. Non per una questione di sfiducia, giustificata peraltro da molti suoi predecessori con promesse mai mantenute, ma per una questione di realismo politico. “Troppe sfide – scrive l’attivista – attendono Obama, dall’Afghanistan all’Iraq, il conflitto fra Israele e Palestina e la crisi economica globale. Per questo invito i miei connazionali a non far dipendere le loro speranze da agenti esterni”. Egli invita a “non dipendere da potenze straniere […] e andare oltre una politica basata sull’emotività”. “Dobbiamo smettere di credere alle formule magiche in politica, e ascoltare davvero i problemi della gente”. Altrimenti si ripeteranno stragi, massacri, catastrofi naturali dalla portata ancora più devastante, che potranno essere evitate solo se la gente sarà in grado di affrontare il futuro con “meno nevrosi ed emotività”. “La storia della Birmania – conclude – ci ha mostrato che le buone idee o le buone azioni o il sostegno di forze esterne da sole non bastano per governare o ricostruire una nazione e preservarne l’anima”.