04/07/2008, 00.00
MYANMAR
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Il dramma dei birmani, segnati dal ciclone e dalla crudeltà del regime

Bambini e insegnanti traumatizzati, rifugiati allontanati dai centri di accoglienza e privati degli aiuti, giornalisti arrestati: a due mesi dal passaggio di Nargis il Paese è sull’orlo del collasso. Ieri una nave affondata nel delta dell’Yrrawaddy ha causato altri 38 morti.

Yangon (AsiaNews) – Bambini e insegnanti sotto shock, giornalisti arrestati mentre cercano di raccontare quanto accade alle vittime di Nargis, rifugiati costretti ad abbandonare i centri di accoglienza temporanea e navi che affondano con il loro carico umano. Il Myanmar è ormai una nazione sull’orlo del collasso, segnata dalle tragedie naturali e dall’atteggiamento di chiusura della giunta militare al potere, che pur di preservare il timone del comando è disposta a sacrificare la vita dei propri cittadini.

Ieri sono morte 38 persone a bordo di un traghetto affondato nel fiume Ywan, nel delta dell’Yrrawaddy, mentre altre 44 sono state tratte in salvo in extremis dall’intervento dei soccorritori. Non si hanno al momento ulteriori notizie sulle cause che hanno portato alll’inabissamento del battello, partito dal villaggio di Pakeikkyi e diretto alla città di Myaungmaya.

A due mesi di distanza dal passaggio del ciclone Nargis, che ha sconvolto il Paese causando 138mila fra morti e dispersi, resta ancora oggi drammatica la vita di oltre 7mila rifugiati ospitati in tre diversi centri di accoglienza temporanei dislocati nei pressi di Laputta, cittadina del delta dell’Yrrawaddy. Il governo ha imposto il ritorno ai villaggi d’origine, minacciando in caso di rifiuto il blocco degli aiuti per il mese di luglio. Coloro i quali seguiranno le direttive imposte dalle autorità, riceveranno una scorta di riso, olio e fagioli sufficiente per dieci giorni e saranno inseriti nella lista di quanti riceveranno una sistemazione nelle case che il governo sta ricostruendo. Una soluzione a breve termine, mentre non è chiaro come i rifugiati potranno sopravvivere quando le scorte stanziate dalla giunta termineranno, considerando anche il fatto che non è permesso alle Ong internazionali di intervenire liberamente nella zona.

I più colpiti dalla tragedia restano comunque i bambini, segnati dallo shock causato dal passaggio del ciclone che ha spazzato via intere famiglie e villaggi: i più fortunati hanno ripreso le lezioni, ma gli insegnanti denunciano enormi problemi di concentrazione. “Non rispondono a stimoli o domande”, denuncia un insegnate che ammette di “non sapere come poterli aiutare”. Tornare fra i banchi è un fatto di per sé positivo, perché “sottrae i più piccoli al commercio di orfani o al traffico di lavoro minorile”, ma il lavoro di recupero è “lento e difficile” e hanno bisogno di un “sostegno psicologico specifico”. “Sono seduti in classe – racconta ancora l’insegnante – ma la loro mente è altrove, lontana, e lo sguardo è assente”. Un problema che interessa tanto gli studenti quanto i professori, anch’essi colpiti dal lutto: il ciclone ha ucciso infatti più di 113 insegnanti, in particolare nelle città di Laputta e Bogalay, la maggior parte dei quali erano donne.

Un dramma, quello attraversato dalla ex-Birmania, che viene raccontato a fatica dagli organi di stampa: il governo ha infatti inasprito le restrizioni per i giornalisti, impossibilitati a testimoniare le reali condizioni di vita della gente e del Paese. E fra i media birmani aumenta il senso di sconforto e di impotenza, dovendo solo raccontare le iniziative governative, ignorando o censurando le denunce e le sofferenze della popolazione. E per quanti si oppongono, si spalancano le porte delle prigioni; ad oggi sono quattro i giornalisti in carcere: Aung Kyaw San, direttore del Myanmar Tribune, Ma Eine Khine Oo, collega del Ecovision Journal, l’attore e blogger Maung Thura e Zaw Thet Htwe, giornalista free-lance.

 

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