Il caso Hegazi: l’ossessione dell’Islam per le conversioni
Beirut (AsiaNews) - I fatti sono noti: un giovane egiziano di 25 anni, Mohammad Ahmad Hegazi, (nella foto) si è convertito al cristianesimo diversi anni fa (alcuni dicono 9, altri 6 anni fa, la versione islamica invece dice da pochi mesi!). Poi si è sposato con una donna che si chiama Zeinab, anch’essa divenuta cristiana, col nome di Cristina. In questi mesi egli ha chiesto che la sua conversione venga riconosciuta anche sui suoi documenti.
In Egitto, la carta d’identità riporta obbligatoriamente la religione e la sua finora è l’Islam. Ciò significa che egli apparirà come musulmano in varie questioni: diritto, successione, i figli, ecc.
La sua richiesta è stata rifiutata dall’amministrazione, che non ha dato seguito alla richiesta. Hegazi si è perciò rivolto direttamente al governo.
Come mai ha chiesto questo cambiamento solo ora, dopo anni dalla sua conversione? Forse perché la coppia aspetta un bambino. E se essi appaiono come musulmani, il bambino dovrà essere registrato obbligatoriamente come musulmano, indipendentemente dalla volontà dei genitori.
Al rifiuto dell’amministrazione, Hegazi ha cominciato una causa legale per esigere i suoi diritti, aiutato da un avvocato, membro di una ong.
Il fatto è importantissimo, più di quanto appaia, anche perché la cosa si è diffusa in molti media mondiali e ora anche tutta la stampa in Egitto discute il suo caso.
Dapprima vi sono state le reazioni degli ulema, poi quelle della gente comune. La stragrande maggioranza afferma che Mohammad Hegazi deve essere ucciso come apostata. Solo qualcuno osa citare il Corano - che afferma che “non c’è costrizione in materia di religione” – e si esprime a favore della sua libertà.
Da decenni il mondo liberale in Egitto chiede la soppressione di questa voce nei documenti ufficiali. Essa serve solo a discriminare la gente, i non musulmani.
Io stesso ho fatto esperienza di questa discriminazione tante volte e devo dire che, al di là delle promesse di tanti politici, non si riesce ancora a cancellare questa dicitura dalla carta d’identità. Vi sono per esempio seminaristi cattolici che sulla carta d’identità appaiono come “musulmani”. All’anagrafe egiziana, quasi per “default”, chiunque nasce è registrato come musulmano. Se poi uno vuol cambiare, gli si dice che “è complicato” e che “essere musulmano è un vantaggio”.
Tutto ciò non è solo un problema di burocrazia. C’è la volontà, da parte di alcuni uffici amministrativi, di approfittar della loro posizione per “islamizzare” i cristiani, o semplicemente una ripugnanza a fare questo cambiamento. Tale ripugnanza non è però dovuta alla lentezza della burocrazia egiziana. La prova è che, in senso contrario, non c’è mai difficoltà a cambiare la carta d’identità di un cristiano che si fa musulmano, e lo si fa subito! Vi è dunque una lobby e una tendenza dell’amministrazione pubblica a islamizzare la gente a partire dai documenti ufficiali.
Una cosa simile avviene addirittura in Turchia - nella Turchia laica! – in cui per cambiare il proprio nome in un nome cristiano, come mi ha attestato un mio confratello , si deve aspettare per anni.
Il fenomeno è generalizzato ed è volto ad islamizzare il più gran numero di cristiani (che in Egitto sono almeno 7 milioni). Una mia parente, cristiana da 3 generazioni, rimane con tutta la famiglia con la dizione “musulmana”. I figli, che vanno a messa tutte le domeniche, sono registrati come “musulmani”. Questo rende difficile il loro matrimonio con cristiani e spesso sono costretti a fuggire dal Paese per sposarsi con rito cristiano.
Il problema è che questa situazione è difesa dalla legge. La legge egiziana stabilisce che i figli “appartengono alla religione migliore” e cioè l’Islam. Affermare questo in un corpo di leggi spiega tutte le discriminazioni. Ad esempio, una musulmana non ha il diritto di sposare un cristiano: i figli infatti appartengono al padre, e perciò i figli di un cristiano sono “cristiani”. Tutta la legislazione è fatta per islamizzare.
Questo ha conseguenze anche in Italia. Lo scorso anno ha fatto scalpore il caso di una tunisina che voleva sposare un italiano, cattolico battezzato, ma non praticante. Per lo stato italiano la donna doveva presentare un documento di stato civile libero, richiesto all’ambasciata tunisina. Per tutta risposta il consolato tunisino ha chiesto un documento sul fidanzato per verificare che il futuro sposo fosse “musulmano”!
E pensare che la Tunisia è uno dei pochi Paesi musulmani “moderati” e assai laicizzante! Tuttora la coppia non è sposata per il rifiuto del consolato tunisino a consegnare il documento di stato libero. Ogni anno in Italia ci sono decine di casi simili. Ciò sta ad indicare la forte intromissione della religione islamica nelle scelte personali. Purtroppo l’Italia e l’Europa non si accorgono di essere presi in giro da questi Paesi.
Proprio in questi mesi in Egitto è in corso un grande dibattito giuridico, per il caso di 12 cristiani: essi si sono convertiti formalmente all’islam per poter divorziare, ottenendo subito una nuova carta d’identità con la menzione della nuova religione. Subito dopo si sono dichiarati di nuovo cristiani e chiedono il ritorno alla vecchia carta d’identità. La faccenda sembra prendere una piega positiva per loro e dovrebbe essere risolta favorevolmente nel settembre 2007.
Come si vede, la questione della “carta d’identità” ha un importanza politica assai grande, e ciò spiega la forza del dibattito in corso nel mondo islamico. Si tratta infatti di un passo che dovrebbe portare verso un certa neutralità dello Stato verso la religione.
L’ossessione dalle conversioni
Nel mondo islamico vi è una vera e propria ossessione verso le conversioni. Almeno 7 Paesi islamici applicano la pena di morte per i convertiti dall’Islam. In Sudan, Iran, Arabia Saudita, Nigeria, Pakistan, Mauritania ….. si uccide. Ma gli altri stati – come l’Egitto – condannano alla prigione, non in quanto apostata ma per aver compiuto un oltraggio all’islam, come lo spiega Hossam Bahgat, membro dell’Iniziativa egiziana per i diritti personali.
Secondo il quotidiano del governo Al-Massa’, tutti gli imam sono unanimi sulla necessità di uccidere l’apostata Hegazi. Dicono che la sharia (non il Corano) va applicata ed essa esige la pena di morte.
Chi è più moderato dice: se l’apostata nasconde la sua conversione, non diffonde la sua decisione, allora non è necessario ucciderlo, ma potrà vivere. Se invece lo fa sapere, allora produce scandalo (fitna) e deve morire.
Per caso ho aperto il sito del “Forum dell’aviazione araba”. Nella sezione “islamica” del sito, si parla di questo unico tema, la conversione di Hegazi. Tutte le 8 reazioni registrate affermano che egli deve essere ucciso. Alcuni dicono più velatamente: “Il governo deve prendere la decisione più dura per eliminare questo problema”, ma tutti gli altri citano il Corano: “La fitna è peggiore che l’uccisione” (Corano 2,191 e 2,217) ; altri citano che “L’Islam è la religione migliore”; altri ancora: “Uccideteli affinché non ci sia fitna”(8,39); altri: “Chi vuole una religione diversa dall'Islàm, il suo culto non sarà accettato, e nell'altra vita sarà tra i perdenti” (3,85). Nessuno cita la frase coranica che afferma la libertà di coscienza, quella citata dal papa a Ratisbonna il 12 settembre scorso: “non c’è costrizione in materia di religione” (2,186); neppure quell’altra che dice: “La verità viene dal tuo Signore. Chi vuole, creda ; e chi vuole, non creda” (18,29).
E così a decine e decine in molti siti islamici nella sola scorsa settimana.
In genere, su 10 che vogliono la sua uccisione, vi è solo uno che dice: “Credo che Hegazi dovrebbe essere libero di scegliere”.
Altri ancora dicono che sì, nel Corano esiste il versetto “non c’è costrizione…”, ma esso è stato cancellato (nusikha) dal famoso “versetto della spada” (âyat al-sayf) che avrebbe cancellato decine di versetti, ma che nessuno sa identificare: se il versetto 5 del capitolo 9 (detto della “penitenza”, al-tawbah), o il versetto 29, o il 36, oppure il 41: tutti questi parlano di uccidere l’altro, e sono spesso applicati agli apostati. [1]
Morte per l’apostata
Ad ogni modo contro Hegazi vi sono le opinioni di 3 famosi imam. Il primo è l’imam Yusuf al-Qaradawi, molto esperto nel suo campo, che cita decine di referenze dei primi secoli e conclude che Hegazi deve essere ucciso perché c’è pericolo per il gruppo e il gruppo ha priorità sull’individuo. L’idea è: se costui comincia a parlare e dice che egli è contento di essere cristiano, e anzi appare nelle foto sorridente e con in mano un vangelo, ciò è insopportabile ed è una propaganda non musulmana, che non è ammessa ufficialmente né in Egitto, né in altri Paesi islamici. E siccome Hegazi sta facendo propaganda cristiana, egli deve essere ucciso.
Suad Saleh, giudice musulmana e decano della Facoltà di scienze islamiche dell’università Al-Azhar, ha dichiarato: sì, in materia di fede non vi è costrizione, ma Hegazi sta facendo propaganda e quindi bisogna applicare la legge. La giudice consiglia di dare all’apostata 3 giorni di tempo perché si penta e si riconverta all’Islam (istitâbah), poi di “applicare la legge” (e cioè l’uccisione).
Il Gran Mufti d’Egitto, Dr. Ali Gomaa, massima autorità religiosa egiziana, nel mese di giugno aveva dichiarato al Washington Post che l’apostasia “non dovrebbe” essere punita con la morte, sollevando tante reazioni da parte dell’Azhar. Dopo che molti si sono espressi a favore dell’uccisione, lui ha ritrattato in modo confuso e tuttora non si capisce la sua posizione. Visibilmente, egli voleva rassicurare l’occidente usando formule ambigue, come quella che ripete: “L’apostasia va punita quando rappresenta una fitna o quando minaccia le fondamenta della società”.
In realtà, come abbiamo detto, non c’è nel Corano nessun castigo previsto in questo mondo per l’apostata. Ma gli imam si appoggiano su un hadith del Profeta dell’islam trasmesso da Ibn ‘Abbas: « Chi cambia la sua religione, uccidetelo ». E s’appoggiano al fatto che Maometto ha applicato questo castigo contro Abdallah Ibn al-Ahzal, il quale per non essere ucciso, aveva cercato protezione nel santuario della Kaaba, ma Maometto ordinò ai suoi compagni di ucciderlo.
A tutto questo occorre aggiungere le reazioni dei genitori di Hegazi e della sua sposa. Interrogato dai giudici islamici, il padre di Hegazi ha negato che suo figlio si sia convertito al cristianesimo. La sua madre si è messa a gridare in modo isterico: “Mio figlio è morto, non ci sarà mai più relazione tra di noi fino al giorno del giudizio!”. Ali Kamel Suleiman, il padre di Zeinab, la ragazza, è stato più esplicito. Egli ha dichiarato al quotidiano indipendente al-Dustûr: “Portatemi mia figlia in qualunque modo, anche morta”. Nella nostra mentalità egiziana questo significa: uccidetela, oppure portatemela viva e la uccido io.
A causa dell’atteggiamento dei genitori, Mamduh Nakhla, copto, direttore del Centro «al-Kalima» per i Diritti Umani, che aveva depositato presso la giustizia amministrativa una richiesta di riconoscimento della conversione cristiana di Hegazi, l’ha poi ritirata per 2 motivi: “non voler rompere i legami di Hegazi con la sua famiglia” e per la “mancanza di un certificato di conversione [di Hegazi] presso la Chiesa copta”. Ciò è stato confermato da padre Morcos, un vescovo vicino al patriarca Shenouda, che ha dichiarato “La Chiesa non fa proselitismo”.
In tutte queste faccende di conversioni, la Chiesa copta è di solito molto prudente, perché deve tener conto del “bene generale”, per non compromettere altre trattative che ha col governo. Rumani Gad el-Rabb, un altro responsabile del Centro al-Kalima, ha invece dichiarato all'Afp che il gruppo ha ritirato la richiesta dopo aver ricevuto delle minacce.
(Domani: "Il caso Hegazi: proselitismo islamico e cristiano")
[1] In realtà secondo gli studiosi questa lettura non è esatta. Va precisato: nell’esegesi coranica vi è un principio secondo cui un versetto può cancellare altri versetti (Cfr. Corano 2,106). Ma per sapere quali versetti sono cancellati, deve essere chiaro nel Corano, o deve esserci unanimità nella comunità delle origini. Ad ogni modo gli studiosi dicono che in questo caso non c’è per nulla unanimità. Secondo il più grande studioso medievale, Jalal al-Din al-Suyuti (m. 1505), solo 21 versetti coranici rispondono a questi criteri (cfr. il suo libro Mu‘tarak al-Aqrân, p. 118).