'Il Vietnam, la nostra Chiesa e la Cina'
La testimonianza di mons. Louis Nguyen Anh Tuan, vescovo di Ha Tinh, che nelle scorse settimane ha partecipato al Sinodo. La gioia dei fedeli per la lettera di papa Francesco, l'attesa per una sua visita, la solidarietà promossa dai cristiani durante il Covid che ha fatto crescere la fiducia. "Noi un modello per le relazioni con Pechino? Speriamo, ma il contesto diverso: il nostro è un Paese che oggi vuole aprirsi al mondo. Buoni cittadini? Per noi esserlo vuol dire testimoniare il Vangelo".
Roma (AsiaNews) - Tra i delegati che qualche settimana fa hanno preso parte al Sinodo in Vaticano, una presenza molto significativa è stata quella dei vescovi vietnamiti. Con uno di loro - mons. Louis Nguyen Anh Tuan, vescovo di Ha Tinh, nel nord del Paese, dopo essere stato vescovo ausiliare di Ho Chi Minh City - AsiaNews ha approfondito l’attuale situazione della Chiesa in Vietnam, alla luce della recente lettera che papa Francesco alcune settimane fa ha inviato a questa Chiesa, all’indomani della firma dell’accordo con il governo di Hanoi che apre la strada alla presenza di un rappresentante permanente della Santa Sede nel Paese.
“La gente è stata molto contenta di ricevere questa lettera di papa Francesco – racconta mons. Anh Tuan -. Era la prima volta che si rivolgeva direttamente ai fedeli. Adesso aspettano di poterlo ricevere in Vietnam: la lettera è stato un segno in questo senso. E lo ha detto anche lui: ‘se non potrò venire io, verrà Giovanni XXIV…’. Aspettiamo il papa da tanto tempo, già da diversi anni avremmo voluto invitarlo. Oggi penso che questa visita la voglia anche il governo, anche se ancora non è stato dichiarato ufficialmente”.
Mons. Anh Tuan parla di un clima molto migliorato per la Chiesa in Vietnam negli ultimi anni. “Il gruppo di lavoro congiunto tra il Vaticano e i rappresentanti del governo ha lavorato con molta pazienza – spiega il vescovo di Ha Tinh - E la recente visita del presidente in Vaticano con la firma dell’accordo sulla presenza di un rappresentante permanente della Santa Sede ad Hanoi è stato un passaggio importante. Ci aspettiamo che aiuti a crescere le nostre attività pastorali. Già negli ultimi anni ci è stata data molta più libertà in questo senso. E devo dire che l’evento traumatico della pandemia è stato un’occasione di crescita in questo senso. Soprattutto a Saigon (Ho Chi Minh City), che è stata molto colpita, molti preti, suore, laici si sono spesi per l’assistenza alle vittime e il governo ha riconosciuto questo contributo. È cresciuta la fiducia nei nostri confronti. E penso sia stata un’occasione per offrire una testimonianza di fede attraverso le attività assistenziali”.
Anche nella sua lettera ai cattolici vietnamiti papa Francesco rivolge l’invito a essere “buoni cristiani e buoni cittadini”, rivolto anche ai cattolici cinesi durante il viaggio in Mongolia. “Sono parole che il nostro governo ha molto apprezzato – commenta il presule vietnamita -. Non solo i cattolici, ogni vietnamita deve essere un buon cittadino. Ma per noi è anche questa una via per testimoniare il Vangelo. Essere buoni cittadini oggi in Vietnam è essere buoni discepoli di Cristo”.
Ma la via seguita in Vietnam può davvero essere un modello per le relazioni tra il Vaticano e la Cina? “È stato il papa stesso a dirlo ai cinesi - risponde mons. Anh Tuan -. Penso, però, che la situazione in Cina sia molto diversa da quella in Vietnam. La Cina è una nazione molto grande, il suo governo è forte, vuole controllare. Il governo vietnamita, invece, ha bisogno del mondo, cerca l’aiuto delle altre nazioni nella sfera economica. Vuole dire al mondo che oggi il Vietnam è un Paese aperto e si fida dei cattolici. In Cina oggi non è così. I due delegati giunti al Sinodo hanno dovuto ottenere il permesso dal governo della Repubblica popolare cinese, noi vietnamiti no: possiamo muoverci liberamente. Anche da noi fino a qualche anno fa andavano chiesti questi permessi, ma adesso possiamo muoverci liberamente: è una differenza fondamentale. Il papa, dunque, ci ha indicato come modello, ma non sarà facile per la Cina seguirlo a causa del contesto diverso”.
Lo sviluppo in un Paese come il Vietnam resta comunque una sfida aperta: “Il gap tra le grandi città e le aree rurali è molto grande - spiega il vescovo di Ha Tinh -. Nella mia diocesi vedo i giovani partire per Saigon, Hanoi, Da Nang, Hai Phong, ma anche per la Corea, il Giappone, la Malesia o anche gli Stati Uniti e l’Europa, dove poter guadagnarsi da vivere. Anche nella cura pastorale dobbiamo tenerne conto: educhiamo i ragazzi nella fede come un bagaglio spirituale da portare con sé ovunque si troveranno nel futuro. Ma la nostra Chiesa è ancora alla ricerca di soluzioni per la loro assistenza pastorale. Dobbiamo lavorare di più con le Chiese dei Paesi di destinazione, è anche questo un volto della Chiesa sinodale. Perché ovunque i cattolici vietnamiti poi si riuniscono come comunità, vivono la fede in maniera vibrante: in tanti lo confermano. Stiamo cercando di affrontare il problema, inviando con loro anche missionari che non siano solo per i vietnamiti ma al servizio delle Chiese locali dove si inseriscono. Un ministero ad vitam, reso possibile anche dal fatto che le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata restano tante in Vietnam”.
Una ricchezza che è un segno della vitalità della Chiesa vietnamita. “L’anno scorso - racconta il presule - nella mia diocesi abbiamo avuto 105 candidati per il seminario, ma potevamo riceverne 30. Alcuni vescovi mandano i candidati che non riescono ad accogliere in altri Paesi come la Nuova Zelanda o l’Australia. Le vocazioni restano tante, ma più nelle aree rurali che nelle città. Si può dare una lettura sociale di questo fenomeno: sono le aree più povere, le famiglie cattoliche lì sono molto più devote. Ma io guardo al significato spirituale: è il luogo dove il Signore chiama a servire il Regno di Dio. Del resto Gesù lo ha detto nel Vangelo: beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio”.
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