Il Nepal chiede all’India di liberare i maoisti detenuti nelle sue carceri
Kathmandu (AsiaNews) - Il primo ministro nepalese chiede all’India di liberare i dirigenti dei ribelli maoisti detenuti nelle carceri indiane. Reduce dal summit della Baia del Bengala (Bimstec), Pushpa Kamal Dahal ha annunciato la richiesta ufficiale al capo del governo di New Delhi, Manmohan Singh, “di rilasciare i nostri quadri che sono nella prigione di Patna”. “Il primo ministro mi ha assicurato il suo impegno” ha detto Prachanda, nome di battaglia con cui è chiamato il leader nepalese.
Ad oggi sono più di venti i ribelli maoisti detenuti nelle carceri indiane. Subito dopo la salita al potere del partito maoista, New Delhi nel recente passato ha liberato due dei maggiori esponenti delle forze rivoluzionarie detenuti nel carcere di Jalpaiguri per manifestare la propria disponibilità a continuare la cooperazione. Il fatto ha assunto un particolare significato anche in forza della presenza di gruppi di ribelli maoisti operanti in India. Secondo alcuni analisti, l’apertura di New Delhi è legata al fatto che l’India è il principale partner commerciale ed economico del Nepal, ma il maoista Prachanda ha dimostrato in più occasioni di guardare ora più verso Pechino che New Delhi.
Nell’incontro al Bimstec, i due primi ministri (nella foto) hanno affrontato anche la disputa sui confini delle regioni del Susta e Kalapani. Il leader maoista afferma di aver “evidenziato la necessità di risolvere le dispute sulle frontiere e limitare le attività criminali nelle regioni” ottenendo la piena disponibilità dell’India.
Sul prolungamento della missione Onu (Unmin) in Nepal, Prachanda ha assicurato che con l’incontro del Bimstec il giudizio di Manmohan Singh in materia si è fatto più positivo. New Delhi non ha mai visto di buon occhio la proroga, ma sulla data del ritiro dell’Unmin grava la lentezza del processo di integrazione delle forze rivoluzionarie maoiste del People’s liberation army (Pla) nell’esercito regolare del Nepal. Il capo del governo afferma che “se non riusciamo a completare l’integrazione nei prossimi tre mesi non possiamo mandare a casa l’Unmin”.