Il Libano del dopo Sfeir attende un patriarca di pace e unità
Beirut (AsiaNews) - “Dio, nel suo amore insondabile, l'ha modellata e contraddistinta con il proprio segno indelebile per una particolare elezione al suo servizio (…) Lei ha scelto di rinunciare all'ufficio di Patriarca di Antiochia dei Maroniti in questa circostanza molto particolare. Ora accetto la sua decisione libera e generosa, che è espressione di grande umiltà e profondo distacco. Sono certo che accompagnerà sempre il cammino della Chiesa maronita con la sua preghiera, il suo saggio consiglio e i sacrifici”.
Con queste parole di lode e commozione Papa Benedetto XVI ha accettato lo scorso 26 febbraio la domanda fatta alcuni mesi dal Patriarca maronita Nasrallah Boutros Sfeir, nella quale esprimeva il desiderio di concludere il suo ministero pastorale come patriarca.
Di ritorno a Beirut, dopo aver presieduto alla cerimonia di installazione della statua di San Marone nell’ultima nicchia vuota della facciata nord della basilica di S. Pietro, il patriarca ha fatto capire, indirettamente, che il patriarcato maronita non resterà vacante a lungo. La data di convocazione del conclave della Chiesa maronita per l’elezione di un nuovo patriarca si attende da un giorno all’altro. Ciò al fine di approfittare della presenza a Roma dei vescovi maroniti di tutto il mondo, quaranta circa, ed evitare a molti di loro un lungo, faticoso e costoso viaggio verso il Libano.
Secondo il Codice di diritto canonico delle Chiese orientali, l’elezione di un nuovo patriarca deve essere fatta entro un periodo di due mesi. Ma la Chiesa maronita preferisce guadagnare tempo. Il Conclave per l’elezione di un nuovo patriarca si terrà, secondo le stime, entro una decina di giorni al massimo. Esso sarà presieduto dal vescovo da più tempo in carica, la seduta avverrà senza interruzioni; si prevedono tre turni al giorno fino all’elezione. In caso di parità, il Codice prevede la possibilità di un intervento della Santa Sede.
Speculazioni
Molto si è speculato, in Libano, su quelle che sono state definite le “dimissioni” del patriarca Sfeir, un termine improprio con risonanze troppo politiche. Ambienti a lui ostili affermano che la Santa Sede lo ha spinto a dimettersi a causa delle sue posizioni politiche. Non è quello che afferma la lettera di Benedetto XVI, che parla di una “decisione libera e generosa”.
E’ un fatto che è stato grazie all’appello del patriarca Sfeir nel 2000 che il movimento di opposizione all’egemonia siriana, per tre decenni potenza tutelare in Libano, ha iniziato crescere fino al ritiro delle truppe siriane nel 2005 in seguito all’assassinio del Primo ministro Rafic Hariri. Da allora, l’ostilità del Patriarca all’ingerenza politica della Siria negli affari interni del Libano non è cambiata e gli è valsa qualche inimicizia negli ambienti filosiriani, maroniti compresi.
Il leader della Chiesa maronita ha espresso la sua ostilità, in particolare, verso la virulenta campagna lanciata da Hezbollah e condotta dal suo alleato cristiano il gen. Michael Aoun, contro il Tribunale internazionale incaricato di far luce sull’assassinio di Rafic Hariri. Infatti, secondo indiscrezioni ricorrenti, i miliziani sarebbero coinvolti nell’attentato.
Ma se alcuni si preoccupano per le inevitabili divisioni politiche causate dall’ingerenza della siriana e dalla politica aggressiva di Hezbollah, unica milizia ancora in armi dalla fine della guerra civile (1975 – 1990), è l’età del patriarca Sfeir che gli ha dettato la sua decisione. Tra poco più di due mesi il capo della Chiesa maronita, che è nato lo stesso giorno del papa Giovanni Paolo II, compirà 92 anni; ed è normale che abbia pensato di consegnare l’incarico patriarcale nelle mani di un uomo meno esposto all’incalzare del tempo.
Un prezioso servizio alla Chiesa
Il patriarca emerito è stato eletto il 19 aprile 1986 ed alle soglie del suo giubileo d’argento in questo incarico. Il suo lungo mandato è stato segnato da una stretta collaborazione con Giovanni Paolo II, che lo aveva nominato cardinale il 26 novembre del 1994, “per inserirla in una comunione più profonda con la Chiesa Universale” come afferma Benedetto XVI nella sua lettera. “La visita di Giovanni Paolo II in Libano nel maggio 1997 per firmare l’Esortazione apostolica post-sinodale, ‘Una speranza nuova per il Libano’, ha segnato di nuovo il legame costante della sua Chiesa con il successore di Pietro”.
L’Esortazione è stata percepita in Libano come un programma spirituale per la ricostruzione dei legami sociali tra musulmani e cristiani che la guerra aveva danneggiato. In seguito a questa Esortazione la Chiesa maronita ha svolto il suo Sinodo patriarcale (l’equivalente del Concilio), un “aggiornamento” che è stato sia un “esame di coscienza” sulle responsabilità dei maroniti durante la guerra civile che un progetto di rinnovamento delle strutture, nella fedeltà alle origini della Chiesa maronita di Antiochia e nella consapevolezza della necessità di una “nuova evangelizzazione”.
Per sottolineare il valore del servizio del patriarca Sfeir alla Chiesa, Bedetto XVI lo ha nominato vice presidente ad honorem del Sinodo speciale delle Chiese cattoliche del Medio oriente, che si è tenuto lo scorso ottobre.
Infine, come per coronare il suo ministero, ha presieduto alla cerimonia per l’insediamento della statua di San Marone nella facciata della basilica di San Pietro, alla termine dell’anno giubilare che segna i 1600 anni dalla morte del santo fondatore della Chiesa maronita.
Guerra e Pace
“Il suo nobile ministero di Patriarca di Antiochia dei Maroniti è iniziato nella tormenta della guerra che ha insanguinato il Libano per troppo tempo. È con l'ardente desiderio di pace per il suo Paese che Lei ha guidato questa Chiesa e percorso il mondo per consolare il suo popolo costretto a emigrare. Infine, la pace è ritornata, sempre fragile, ma sempre attuale”, ha affermato ancora il Papa nella sua lettera al card. Sfeir.
La lettura attenta di questo paragrafo lascia intendere ciò che preoccupa la Santa Sede: il successo della transizione dal tempo di guerra a quello di pace, che il Papa riconosce “fragile, ma sempre presente”, e arrestare l’emorragia umana provocata dall’esodo dei cristiani non solo dal Libano, ma dall’intero Medio oriente. Per quanto possibile, la Santa Sede desidera che sia riassorbita l’ostilità di una parte della popolazione cristiana nei confronti del patriarcato maronita. Sono questi gli imperativi che detteranno i consigli che il Vaticano non mancherà di prodigare agli elettori del nuovo capo della Chiesa maronita. Il prossimo patriarca dovrà essere un uomo di pace e un “riunificatore”. Nella misura, evidentemente delle circostanze storiche che dovrà fronteggiare in un mondo arabo in pieno fermento. Circostanze che l’arcivescovo Edmond Farhat, nunzio apostolico, non esita a definire una “rivoluzione dello spirito” e “l’espressione di un desiderio di libertà e di emancipazione, una sete di verità e di giustizia, una sete di trascendenza, una sete di Gesù Cristo".