24/05/2018, 09.15
TAJIKISTAN-IRAN
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Il Consiglio degli Ulema contro Teheran: ‘vuole distruggere la pace in Tajikistan’

Dushanbe alza il tiro della retorica anti-iraniana. L’accusa di aver svolto un ruolo nella guerra civile degli anni ’90 e di sostenere militanti del partito islamico bandito. Gli investimenti sauditi nel Paese.

Dushanbe (AsiaNews/Agenzie) – Il Consiglio degli Ulema del Centro islamico del Tajikistan accusa Teheran di star tentando di destabilizzare il Paese per perseguire “i suoi interessi e ambizioni”. Pubblicata ieri sul sito ufficiale del Comitato statale delle Religioni e del Regolamento delle tradizioni, festività e costumi, la dichiarazione degli studiosi musulmani accusa l’Iran di essere coinvolto negli “eventi sanguinosi in Afghanistan, Iraq, Siria e Yemen, e ora, con le sue numerosa provocazioni, [Teheran] vuole distruggere la pace in Tajikistan”. “Siamo convinti – continua il comunicato – che l’Iran, per il successo dei suoi interessi ed ambizioni, cerchi di creare discordia, e, una volta raggiunto il suo scopo, passi il problema nella mani dei nemici dell’Islam e dei musulmani”.

I leader religiosi si riferiscono in particolare all’accusa a Teheran di aver svolto un ruolo importante nella guerra civile che aveva devastato il Tajikistan negli anni 90’. Ad essa, si aggiunge quella di star finanziando il partito del Rinascimento islamico in Tajikistan (Irpt) – bandito dal Paese dal 2015 perché definito “organizzazione terrorista” – e di proteggere alcuni suoi membri in esilio, fra cui il leader Muhiddin Kabiri.

La presa di posizione degli ulema tajiki segue un’insolita protesta, tenutasi il 21 maggio di fronte all’ambasciata iraniana (v. foto). Circa 50 manifestanti hanno agitato cartelli che affermavano “non vogliamo rivivere gli eventi del 1992-2000”, e “abbasso Kabiri”. Fonti mediatiche riferiscono che alcuni dei partecipanti sono stati trattenuti e rilasciati subito dopo aver compilato una nota di spiegazioni. La polizia non ha rilasciato dichiarazioni su chi vi sia dietro la manifestazione. Secondo alcuni osservatori, la protesta potrebbe essere “finta”: vi sono delle immagini della protesta in cui si possono vedere uomini vestiti in tenuta sportiva che sembrerebbero “dirigere” i dimostranti.

Lo scorso 12 maggio, lo stesso presidente tajiko Emomali Rahmon si è scagliato contro un militante dell’opposizione che durante la guerra civile aveva ottenuto soldi da un potere straniero che “si autodefiniva un nostro cosiddetto amico”. Seppure mai nominando apertamente l’Iran, Rahmon ha affermato che sia il militante, che lo stesso Irpt, si sono convertiti allo sciismo. Una denuncia insolita, se si pensa che in passato il presidente tajiko aveva accusato il partito di essere legato al sunnita Isis.

Va detto che la retorica anti-iraniana cade nel contesto di nuovi investimenti da altri Paesi del Medio Oriente, Arabia Saudita in prima fila. Un fondo d’investimenti saudita ha di recente accettato di rilevare il 51% di una banca tajika in difficoltà per una grave mancanza di liquidità che dura dal 2015, la Tojiksodirotbank. L’istituto ha un debito con i propri clienti pari a 102 milioni di dollari. L’Arabia Saudita non fa un mistero del proprio interesse a cacciare l’Iran dal Tajikistan. Lo scorso settembre, l’ambasciatore saudita aveva raccontato in un’intervista di essere soddisfatto dei risultati del proprio impegno diplomatico, culminati nella “espulsione dell’Iran e dei suoi agenti fuori dal Paese”.

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