Il Cairo rompe con Riyadh e guarda a Mosca (e Teheran) per rilanciare l’economia
aAd inasprire lo scontro la bocciatura egiziana all’Onu di una risoluzione saudita in chiave anti-siriana. Ma i veri motivi sono economici: Riyadh attraversa una grave crisi e sta perdendo la sfera di influenza nella regione. In soccorso alle casse egiziane l’Iran e la Russia. Consulenti militari egiziani a Damasco.
Il Cairo (AsiaNews) - I rapporti fra i due Paesi sunniti più influenti nel mondo arabo, che sembravano rifioriti dopo l’ultima visita ufficiale del re saudita in Egitto, sono deteriorati in modo rapido nelle ultime settimane, toccando livelli così bassi da sfociare quasi in aperta inimicizia. Eppure il recente incontro fra i leader delle due nazioni era stato il viatico per la firma di contratti multimilionari, la fornitura di greggio per cinque anni e la definizione dei confini marittimi fra i due Paesi; in questo contesto si era registrata anche la controversa “cessione” (o “restituzione”, secondo i punti di vista) delle due isole Tiran e Sanafir dall’Egitto all’Arabia Saudita.
Che cosa è successo in poche settimane? Qual è stato il motivo del deteriorarsi delle relazioni amichevoli e di mutuo sostegno, coronate da una tradizione decennale dei rapporti fra Egitto e i Paesi del Golfo arabo?
La stampa araba indica come causa le posizione adottate dal Cairo al Consiglio di sicurezza Onu e il voto contrario dell’Egitto a una risoluzione anti-siriana promossa da Riyadh. Per l’Arabia Saudita questa decisione avrebbe significato una sorta di tradimento. Un motivo che potrebbe anche sembrare valido.
La verità invece sta altrove. I Paesi del Golfo - e soprattutto la un tempo opulenta Arabia Saudita - stanno attraversando una grave crisi economica; le casse del regno saudita si stanno svuotando, per le spese esorbitanti sostenute nel finanziare guerre e fazioni jihadiste perdenti in Siria, Iraq, Libia e Yemen. In quest’ultimo caso, si tratta del Paese in cui il conflitto avviene con l’intervento diretto delle truppe di Riyadh e con le denunce di crimini di guerra - rilanciate con frequenza crescente - da organismi internazionali un tempo molto più permissivi verso le violazioni ai diritti umani commesse dai sauditi.
Finiti - o almeno ridotti - i finanziamenti, la diplomazia saudita registra la perdita di influenze enormi nella gestione dietro le quinte delle vicende interne di alcuni Paesi. E la recente elezione di Michel Aoun (acerrimo nemico di Riyadh) alla presidenza del Libano ne è stata la prova più evidente.
Gli scandali a Riyadh si succedono e non passa giorno senza notizie disastrose sull’andamento economico: l’ultima in ordine di tempo, la scomparsa di 1000 miliardi di dollari dalle casse del regno, informazione diffusa sui social media lo scorso 8 novembre da ambienti vicini alla corte reale.
Non potendo più continuare a iniettare fiumi di contanti nelle casse egiziane come avveniva in passato, l’Arabia Saudita aveva dunque bisogno di giustificazioni per interrompere l’invio di “aiuti”. Al contempo il Cairo, avendo sentore di queste decisioni, ha invertito la rotta scegliendo i cavalli vincenti del momento: l’Iran, la Siria e un “amico-nemico” di sempre, la Russia.
La società petrolifera saudita Aramco ha sospeso all’improvviso le esportazioni di petrolio verso l’Egitto; una mossa “punitiva”, che si accompagna al taglio dei fondi al Cairo. Mosse che hanno costretto l’Egitto ad accettare 12 miliardi di dollari di prestito del Fondo monetario internazionale (Fmi), erogabili in tre anni. Decisione che verrà ratificata dai vertici dell’Fmi nella riunione in programma domani e che prevede condizioni estreme e, a lungo termine, nefaste. Fra queste vi sono la subordinazione della sterlina egiziana alle condizioni di mercato, la liberalizzazione dei prezzi del cambio e la riduzione del sostegno statale sui costi della fornitura elettrica e del carburante (che si aggirano attorno al 7,9% della spesa pubblica). Scelte che avranno come conseguenza effetti nefasti sulla popolazione civile egiziana, già al limite del bisogno. E il malcontento comincia a serpeggiare, tanto che domani è già prevista una manifestazione di protesta popolare sostenuta - e cavalcata - dai Fratelli musulmani.
Tuttavia, la vendetta egiziana non è tardata ad arrivare: l’8 novembre il Tribunale amministrativo del Cairo ha rigettato l’accordo siglato fra il presidente egiziano e il monarca saudita Salman, relativa alla restituzione (o cessione) delle due isole. E ha condannato al contempo Abd al-Fattah al-Sisi al pagamento di una multo di 800 sterline egiziane.
Sul piano energetico, nei giorni scorsi il portavoce del ministero egiziano del Petrolio Hamdi Abdel Aziz ha fatto sapere di aver rimediato al problema e che la cessazione della fornitura di Aramco non avrà alcun effetto sul piano pratico. Il tutto, senza peraltro specificare dove l’Egitto andrà a pescare le risorse per sopperire al suo fabbisogno petrolifero. Al riguardo, notizie diffuse da ambienti egiziani attendibili parlano di un accordo fra il Cairo e la società Socar, dell’Azerbaijan.
Questo progressivo allontanamento fra il Cairo e Riyadh da una parte, e fra Egitto e Qatar ed Emirati Arabi Uniti dall’altra si traduce dunque in un riavvicinamento del Paese a Teheran e Mosca. Il 7 novembre scorso il Cairo ha deciso di riaprire il valico di Rafah con Gaza e di non inviare truppe in Siria a sostegno del governo locale, mantenendo fede alla tradizione egiziana di non interventismo al di fuori dei confini nazionali. Tuttavia, il sostegno alla Siria si materializzerà nell’invio di esperti e consulenti militari come fa già l’Egitto con l’esercito di Haftar in Libia.(PB)