I super-ricchi cinesi cercano rifugio all’estero
di Wang Zhicheng
Il 46% si prepara ad emigrare in Usa, Canada, Australia, Singapore. Temono insicurezza e rivolte sociali; desiderano un ambiente pulito e migliore educazione per i figli.
Pechino (AsiaNews) – Quasi la metà dei milionari cinesi sta pensando di emigrare all’estero, preoccupati per la situazione politica, le tensioni sociali e l’inquinamento; il 14% lo ha già fatto o sta preparando le carte per andarsene. Fra le mete più gettonate vi sono Usa, Canada, Singapore e Australia.
È quanto emerge da una ricerca compiuta dall’Hurun Report e dalla Banca di Cina su 980 milionari, la cui ricchezza è superiore a 10 milioni di yuan ciascuno (circa 1,17 milioni di euro).
Il motivo primario che li spinge ad emigrare è la ricerca di una migliore qualità dell’educazione per i loro figli. In questo essi seguono l’esempio dei leader cinesi: si sa che Xi Jinping, probabile successore di Hu Jintao alla presidenza, tiene i suoi figli all’estero per studiare. Insieme all’educazione, si citano anche un ambiente meno inquinato rispetto alle città cinesi e il timore di cibi avvelenati o sofisticati.
Quasi alla pari, vi è il motivo dell’insicurezza sociale del Paese. Negli ultimi anni sono cresciuti i cosiddetti “incidenti di massa”: scioperi, rivolte, proteste. Secondo Sun Liping dell’università Qinghua, nel 2010 sono arrivati a 180mila, quasi il triplo rispetto a tre anni prima. Le rivolte potrebbero portare a scontri, oppure a un cambiamento di politica – magari a un ritorno maoista – che penalizzerebbe chi si è arricchito godendo dei privilegi all’interno del Partito, divenendo oggetto dell’ira della popolazione.
Vi è anche un’insicurezza legale: i tribunali in Cina e le accuse di corruzione o di illegalità si muovono secondo la politica del Partito e delle sue correnti e vi è sempre il rischio di trovarsi dalla parte sbagliata.
D’altra parte, molti di questi milionari hanno spesso accumulato ricchezze attraverso metodi corrotti. Da anni il Partito chiede ai membri (e ai loro familiari) di dichiarare in modo esplicito tutte le fonti di guadagno e le proprietà, ma non è riuscito ad ottenere nulla. Emigrare all’estero è il modo migliore per mantenere al sicuro le ricchezze, sottraendole da possibili controlli.
Ma proprio questo aspetto sta creando problemi nei Paesi di trasferimento. Almeno un terzo degli interrogati dall’inchiesta, dichiara di aver scelto lo schema “migrazione per investimento”. In esso, si offre la residenza a chi può investire un considerevole capitale nel Paese di destinazione. Negli Usa, ad esempio, in questo anno almeno 3mila ricchi cinesi hanno domandato questo tipo di visa. Nel 2007 erano solo 270. Ma proprio gli Usa e altri Paesi domandano documentazione precisa sulle ricchezze possedute e spesso i super-ricchi cinesi non possono presentarla, data l’ambigua provenienza.
Nonostante ciò, in molti Paesi – Usa, Canada, Italia, ecc… - sono nati uffici per aiutare i milionari cinesi a gestire i loro capitali e guidargli negli investimenti.
È quanto emerge da una ricerca compiuta dall’Hurun Report e dalla Banca di Cina su 980 milionari, la cui ricchezza è superiore a 10 milioni di yuan ciascuno (circa 1,17 milioni di euro).
Il motivo primario che li spinge ad emigrare è la ricerca di una migliore qualità dell’educazione per i loro figli. In questo essi seguono l’esempio dei leader cinesi: si sa che Xi Jinping, probabile successore di Hu Jintao alla presidenza, tiene i suoi figli all’estero per studiare. Insieme all’educazione, si citano anche un ambiente meno inquinato rispetto alle città cinesi e il timore di cibi avvelenati o sofisticati.
Quasi alla pari, vi è il motivo dell’insicurezza sociale del Paese. Negli ultimi anni sono cresciuti i cosiddetti “incidenti di massa”: scioperi, rivolte, proteste. Secondo Sun Liping dell’università Qinghua, nel 2010 sono arrivati a 180mila, quasi il triplo rispetto a tre anni prima. Le rivolte potrebbero portare a scontri, oppure a un cambiamento di politica – magari a un ritorno maoista – che penalizzerebbe chi si è arricchito godendo dei privilegi all’interno del Partito, divenendo oggetto dell’ira della popolazione.
Vi è anche un’insicurezza legale: i tribunali in Cina e le accuse di corruzione o di illegalità si muovono secondo la politica del Partito e delle sue correnti e vi è sempre il rischio di trovarsi dalla parte sbagliata.
D’altra parte, molti di questi milionari hanno spesso accumulato ricchezze attraverso metodi corrotti. Da anni il Partito chiede ai membri (e ai loro familiari) di dichiarare in modo esplicito tutte le fonti di guadagno e le proprietà, ma non è riuscito ad ottenere nulla. Emigrare all’estero è il modo migliore per mantenere al sicuro le ricchezze, sottraendole da possibili controlli.
Ma proprio questo aspetto sta creando problemi nei Paesi di trasferimento. Almeno un terzo degli interrogati dall’inchiesta, dichiara di aver scelto lo schema “migrazione per investimento”. In esso, si offre la residenza a chi può investire un considerevole capitale nel Paese di destinazione. Negli Usa, ad esempio, in questo anno almeno 3mila ricchi cinesi hanno domandato questo tipo di visa. Nel 2007 erano solo 270. Ma proprio gli Usa e altri Paesi domandano documentazione precisa sulle ricchezze possedute e spesso i super-ricchi cinesi non possono presentarla, data l’ambigua provenienza.
Nonostante ciò, in molti Paesi – Usa, Canada, Italia, ecc… - sono nati uffici per aiutare i milionari cinesi a gestire i loro capitali e guidargli negli investimenti.
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