05/11/2024, 08.45
ASIA CENTRALE-CINA
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I silenzi dell'Asia centrale sul terrore e la persecuzione nello Xinjiang

di Vladimir Rozanskij

Da Sarajevo dove il Congresso mondiale degli esuli uiguri ha tenuto il suo Congresso la denuncia della direttorice Zumretaj Arkin sulle pressioni di Pecino. "La narrativa positiva, secondo cui il livello di vita nello Xinjiang continua a migliorare è soltanto propaganda”.

Sarajevo (AsiaNews) - Dallo Xinjiang, la provincia turanica nord-occidentale della Cina, dove vivono gli uiguri e altri rappresentanti delle etnie di lingua e cultura turcica, continuano a giungere notizie preoccupanti sull’invio delle persone nei campi di concentramento, dove sono costretti al lavoro forzato per la “riabilitazione”. Radio Azattyk ne ha parlato con la direttrice del Congresso mondiale degli uiguri all’estero, Zumretaj Arkin, per capire anche come mai di questa situazione se ne parla in Occidente, ma si tace nella vicina Asia centrale.

Il Congresso ha tenuto nei giorni scorsi l’assemblea generale a Sarajevo, la capitale della Bosnia-Erzegovina, dove si sono radunati i delegati uiguri da 25 diversi Paesi del mondo, dall’Asia centrale, Medio Oriente, Europa e America settentrionale. Gli organizzatori hanno fatto notare le critiche giunte dalle autorità cinesi. La Bosnia è stata scelta anche per il fatto di essere stata testimone di un genocidio, come spiega la Arkin, pur con tutte le differenze tra le situazioni nel mondo cinese e in quello balcanico. Le repressioni e le violenze in queste terre sono state documentate e riportate ai tribunali internazionali, come si vorrebbe che avvenisse anche per i destini degli uiguri.

Si cerca la collaborazione della società civile e con i sopravvissuti, con gli storici e le persone sensibili a questi avvenimenti, per imparare dalle vicende balcaniche quello che si dovrebbe riuscire a fare per sostenere gli uiguri dello Xinjiang. Tanto più che il tribunale per la causa internazionale degli uiguri è stato presieduto dall’inglese sir Geoffrey Nice, che è stato anche il procuratore generale nel caso del criminale di guerra serbo Slobodan Milosevič. Le vittime della Bosnia lottano ancora oggi per il riconoscimento delle responsabilità del genocidio, e la ricerca dei resti dei propri parenti uccisi.

La Bosnia è inoltre un Paese a maggioranza musulmana, che quindi manifesta una solidarietà più intensa con i propri correligionari uiguri. Dopo l’annuncio dell’assemblea nello scorso mese di giugno, i responsabili hanno ricevuto molte minacce, racconta la Arkin, e “vere e proprie campagne diffamatorie nei confronti dei membri del Congresso, in particolare dei candidati a rivestire ruoli di responsabilità”. Il governo cinese ha fatto pressione sulle loro famiglie in patria, prendendo diversi parenti in ostaggio, per non parlare delle calunnie diffuse su internet e sulle reti social, con una valanga di messaggi-spam da account cinesi, in cui si utilizzava perfino la firma dell’ex-presidente per inviare documenti contraffatti.

Anche l’ambasciata cinese in Bosnia ha minacciato di impedire la manifestazione, evocando addirittura catastrofi sul luogo del raduno e inviando ospiti indesiderati dalla Turchia per mandare all’aria tutta l’organizzazione. Come spiega Zumretaj, “i cinesi usano molti strumenti per organizzare repressioni transnazionali, come noi le chiamiamo per definire le tattiche adottate tramite persone di loro fiducia, spesso con il sostegno dei diplomatici e di una vasta rete di informatori”. Si attivano anche uiguri fedeli al governo di Pechino, per spiare la propria comunità nei vari Paesi e diffondere zizzania tra i connazionali, oltre a vari agenti cinesi e di altre nazionalità.

Nello Xinjiang le persecuzioni si rivolgono in particolare alla limitazione della libertà religiosa, con una serie di leggi e normative sempre più severe a cominciare dal 2014 sotto l’egida della “de-estremizzazione” e della lotta contro il terrorismo. Anche la preghiera privata nelle case viene ritenuta un crimine di estremismo, per non parlare dei raduni di preghiera del venerdì o altri rituali islamici, come il pellegrinaggio e la visita alle moschee. Per questi motivi oltre 3 milioni di uiguri e altri musulmani turanici dello Xinjiang sarebbero stati portati negli ultimi dieci anni nei lager di riabilitazione. Il governo cinese cerca di negare queste accuse e di proporre una narrativa positiva, secondo cui il livello di vita degli uiguri continua a migliorare, ma come afferma la Arkin “si tratta soltanto di propaganda”, e il silenzio dei governi di Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan è dovuto al fatto che sono tutti “in debito con Pechino per i grandi investimenti cinesi di questi anni”.

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