I rifugiati di Manus, una tragedia sociale che pende sul capo della Papua
Port Moresby (AsiaNews) - I rifugiati che si trovano sull'isola di Manus vengono tutti da nazioni molto turbolente (come Iraq, Afghanistan, Sudan...). Per il 90%, si tratta di veri rifugiati politici. I governi di Papua Nuova Guinea e Australia proveranno a definirli in un altro modo e rimandarli così nelle loro nazioni di origine. Ma il mondo definirà questo gesto "un omicidio".
Date le attuali circostanze e gli accordi in corso, quindi, la Papua Nuova Guinea dovrà risistemare circa 1.000 dei rifugiati al momento trattenuti a Manus. Ma molti di questi uomini (a Manus ci sono solo uomini) dovranno essere raggiunti dalle proprie spose e dai figli - ora trattenuti in altri centri per rifugiati nel Pacifico - oppure aspettare di riunirsi a loro quando arriveranno dai Paesi di origine. Chi può negare a un bambino di crescere con i suoi genitori?
Di conseguenza stiamo parlando di circa 4 o 5mila persone che devono essere riposizionate in Papua Nuova Guinea; molti di più, ovviamente, se l'Australia continua a mandare rifugiati sull'isola di Manus. Per fortuna, la storia prova che il rapporto degli abitanti della Papua con tutti i tipi di stranieri (missionari, colonizzatori, uomini di affari, semplici lavoratori, rifugiati dalla West Papua ecc...) è un rapporto positivo, pacifico e rassicurante. Chi potrebbe lamentarsi dell'ospitalità e della gentilezza della Papua Nuova Guinea? Quindi non c'è bisogno di temere scontri fra i locali e i rifugiati, almeno in caso di normali condizioni di lavoro e vita.
La domanda è: saranno possibili normali condizioni di vita e lavoro? Noi sappiamo che i rifugiati sono ovunque nel mondo, e sappiamo anche che solo pochi di loro si inseriscono nei Paesi di accoglienza dopo un processo lungo e farraginoso. La maggior parte finisce confinata nelle baraccopoli delle periferie delle grandi città o nei campo profughi, che oramai sono più vecchi di una generazione. Per quanto riguarda la Papua Nuova Guinea, un buon numero di rifugiati dalla West Papua deve ancora trovare la sua strada nella società; mentre i cittadini papuani che si sono spostati all'interno del Paese, come quelli dell'isola di Manam (provincia di Madang) vivono ancora in un limbo permanente.
L'idea di ospitare in Papua Nuova Guinea migliaia di rifugiati da Medio Oriente, Asia e Africa è semplicemente agghiacciante. Pensiamo all'enorme divario culturale, alle limitate opportunità di lavoro, alla difficile condizione abitativa, ai differenti metodi agricoli, alle diverse tradizioni... Solo per dire alcuni dei problemi. Pensiamo poi al fatto che nazioni come l'Australia sono in grado di affiancare il processo di accoglienza con sostegno psicologico, corsi di lingua, adeguate cure mediche (in modo particolare per i bambini), una diversa sensibilità culturale e religiosa... Mentre l'accoglienza dei rifugiati è, per un Paese invia di sviluppo come la Papua Nuova Guinea, un fattore del tutto nuovo.
Invece, gli australiani non tireranno fuori neanche una singola persona da Manus. Ci metteranno dei soldi dentro, ma non porteranno la gente fuori. L'accordo dell'agosto 2013 recita che è responsabilità della Papua monitorare i rifugiati e, a seconda dei risultati dell'indagine, rimpatriarli o piazzarli sul suolo nazionale o in un'altra nazione (difficile da immaginare) dell'area del Pacifico.
Il denaro che l'Australia sta dando alla Papua Nuova Guinea per il campo di Manus e il promesso sviluppo delle infrastrutture nazionali sono un risarcimento molto scarno per quello che diverrà un probabile incubo logistico. E inoltre, il Consiglio delle chiese della Papua ha da poco stabilito che ogni sostegno finanziario che arriva a causa delle sofferenze dei rifugiati politici rappresenta una forma di complicità nel traffico di esseri umani; la stessa identica cosa di coloro che organizzano le barche fra l'Indonesia e l'isola Christmas, organizzazioni criminali che lucrano sui drammi altrui.
Dan White, direttore esecutivo delle Scuole cattoliche di Sydney, ha annunciato qualche giorno fa uno schema di istruzione gratuita per i giovani rifugiati e ha chiesto l'immediato rilascio di tutti i bambini imprigionati, sostenendo che l'Australia - rifiutandosi di prendersi cura di questi giovani - sta abrogando la propria responsabilità e la propria vocazione a essere una nazione compassionevole e inclusiva. "Io credo - ha detto - che nel giro di 20 anni ci sarà una grande inchiesta portata avanti dal governo, simile a quella che abbiamo visto con le Stolen Generations, in cui la prossima generazione di australiani ci condannerà per il modo in cui abbiamo trattato questi bambini. Spero che allora il sistema educativo potrà alzarsi in piedi, con la mano sul cuore, e dire 'Abbiamo fatto del nostro meglio'".
Dato per scontato che i rifugiati politici non potranno sistemarsi in Papua Nuova Guinea come contadini di sussistenza (su quale terra?) o come abitanti insediati (ce ne servono altri?), il settore pubblico e il privato saranno in grado di dare loro lavoro, casa, istruzione e sanità? Prima di firmare qualunque cosa con l'Australia, il Parlamento deve verificare questa possibilità. Perché solo una risposta positiva e rassicurante a questa domanda potrà evitare alla Papua Nuova Guinea una tragedia sociale.
* missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere in Papua Nuova Guinea