I migranti del Medio oriente tornano negli Usa. L'ira di Trump
La Corte di appello di Washington ha respinto il ricorso del Dipartimento di giustizia. Resta valida la sentenza del giudice che ha bloccato il blocco agli ingressi deciso dalla Casa Bianca. Per il presidente i tribunali “mettono in pericolo” il Paese. Ma nessuno degli attentati in territorio Usa è opera di cittadini provenienti dalle nazioni colpite dal decreto.
Washington (AsiaNews) - Gioia, soddisfazione, emozione per il ricongiungimento con i propri cari dopo giorni di timori di vedere negata a lungo la possibilità di rivedere i familiari. Sono questi i sentimenti espressi da visitatori, espatriati e migranti colpiti nei giorni scorsi dal provvedimento del presidente Usa Donald Trump, che aveva bloccato l’ingresso in territorio americano a cittadini e rifugiati provenienti da sette Paesi musulmani.
Ieri la Corte di Appello di Washington ha respinto il ricorso presentato dal Dipartimento di Giustizia Usa, che si era opposto alla sentenza del giudice federale James Robart il quale aveva sospeso l’ordine esecutivo di Trump. Una norma controversa, che bloccava per 90 giorni l’ingresso negli Stati Uniti per cittadini provenienti da Iran, Siria, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen e Libia.
Il neopresidente ha replicato alle decisioni dei giudici, chiedendo di mantenere alta l’attenzione sui controlli in attesa che venga reintrodotto il decreto. “I tribunali - ha affermato Trump in alcuni tweet diffusi in rete - mi stanno rendendo il lavoro difficile. Non credo che un giudice possa esporre il Paese a un simile pericolo […] se succede qualcosa incolpate lui e il sistema giudiziario”.
Parole di fuoco che sanciscono di fatto, il primo deciso scontro fra la Casa Bianca e la magistratura americana, che in una nota rilancia il principio dello Stato di diritto e il fatto che nessuno, nemmeno il presidente, si possa considerare al di sopra della legge.
Intanto, quanti sono stati colpiti in modo temporaneo dal bando, sono riusciti dopo giorni di attesa e tensioni a mettere piede in territorio americano. Uno dei più importanti centri di arrivo è l’aeroporto internazionale JFK di New York, dove i cittadini di Iraq e Iran “non hanno incontrato problemi di sorta” a superare i controlli.
In seguito al decreto di Trump, le autorità statunitensi avevano cancellato in una sola settimana fino a 60mila visti di ingresso per i cittadini provenienti dai Paesi colpiti dal provvedimento. Una decisione che ha sollevato proteste e indignazione di cittadini, istituzioni ed enti culturali negli Stati Uniti. Fra questi il celebre Moma (Museo di arte moderna) di New York, che ha deciso di esporre in questi giorni le opere di artisti originari delle nazioni oggetto del bando.
Secondo i critici la legge mira a colpire i musulmani e discrimina in base alla religione. In realtà la legge non è nemmeno favorevole ai cristiani e rischia di scatenare vendette e ritorsioni in molte aree del Medio oriente.
La Casa Bianca afferma che dietro il provvedimento vi sono ragioni di sicurezza e di lotta al terrorismo. Analisti ed esperti ribattono sottolineando che negli ultimi attentati avvenuti in territorio statunitense, nessuno degli autori proveniva dai Paesi colpiti dal bando presidenziale. E anche nel caso della strage dell’11 settembre (2001), il caso più clamoroso ed emblematico dell’ultimo ventennio, nessuno dei terroristi proveniva da questi Paesi. Anzi, ben 15 su 19 erano sauditi - un Paese che Trump considera amico e alleato, come conferma la recente telefonata con re Salman -, altri due degli Emirati Arabi Uniti, uno libanese e un egiziano.
Ieri all’aeroporto del Cairo, in Egitto, almeno 33 migranti provenienti da Yemen e Siria hanno potuto imbarcarsi su un volo diretto negli Stati Uniti. Anche a Beirut, in Libano, via libera al volo per famiglie siriane e iraniane. Le operazioni di check-in, negli scali in partenza e anche all’arrivo in territorio americano, da ieri sembrano tornati alla normalità e le operazioni procedono spedite.
Intanto un sondaggio diffuso dalla CNN prima del pronunciamento dei giudici federali mostra che la maggioranza dei cittadini (53%) è contraria al bando imposto da Trump. Inoltre, il 55% considera questo provvedimento come mirante a colpire i musulmani, un’accusa respinta più volte dall’amministrazione Usa.
Infine, nella guerra dei visti in atto anche l’Iran ci ripensa e ha concesso il via libera agli atleti statunitensi impegnati nel prossimo campionato di wrestling. Il 3 febbraio Teheran, in risposta a Washington, aveva annunciato l’intenzione di impedire alla squadra Usa di lotta di prendere parte alla Freestyle World Cup, uno degli eventi più prestigiosi della disciplina, in programma il 16 e 17 febbraio a Kermanshah. In queste ore il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Bahram Ghasemi, ha detto che la decisione è stata revocata e che i permessi verranno rilasciati.
30/01/2017 09:00
11/11/2016 13:18