I doppioni di Putin e il musicista dell’Impero
A Mosca molte altre personalità si fondono e si confondono con la figura del presidente per gli affari economici, militari, religiosi e sociali, ma anche per le espressioni ideologiche e culturali
In questi giorni il presidente russo Vladimir Putin si è palesato in Medio Oriente, negli Emirati e in Arabia Saudita, raggiungendo Paesi non confinanti con la Russia per la prima volta dal mandato di arresto internazionale dell’Aja, dopo i primi prudenti viaggi in Kirghizistan e in Cina. Incontrando i leader dei Paesi musulmani, compreso il suo omologo iraniano Ebrahim Raisi, ha inteso sottolineare il sostegno della Russia stessa al popolo palestinese, martoriato dagli israeliani, nonostante il legame storico dei russi con il popolo ebraico. L’interesse principale, oltre alla rete di sostegni economici che la Russia intende rafforzare con tutti gli Stati che non fanno parte dell’odiato Occidente, rimane comunque quello di mantenere alta la tensione bellica a tutte le latitudini, poiché la grande Vittoria, che la Russia celebra in modalità sempre più entusiastiche, non consiste nella sconfitta del nemico, ma nella prosecuzione della guerra senza fine.
Un ulteriore scopo dei viaggi di Putin, che nei prossimi giorni incontrerà direttamente i suoi sudditi in una grande conferenza-stampa come ormai non avveniva più da due anni, è quello di ribadire la sua consistenza fisica, smentendo tutte le ipotesi di una sua sostituzione o “congelamento”, in modo da inaugurare in personam la campagna elettorale che fra poco più di tre mesi dovrà celebrare la sua semi-divinizzazione sul trono del Cremlino. Che Putin faccia uso di sosia della sua persona non è del resto un’ipotesi recente, anche se i due anni di guerra hanno ulteriormente alimentato questa teoria da cinema di bassa lega.
Si parla degli alias putiniani fin dall’inizio della sua presidenza, quando già nel 2000 l’allora direttore del Servizio federale di sorveglianza, Evgenij Murov, dovette convincere i russi che Putin non faceva uso di maschere umane. Nel 2004 i giornalisti della Komsomolskaja Pravda raccontarono che un “doppione di Putin”, abitante nel paese di Pominovo nella regione di Tver (luogo di origine dei genitori di Putin) propose loro di comprare la “casa natale” del capo dello Stato, e questo articolo alimentò moltissimo le fantasie sull’argomento. La teoria dei sosia fu quindi ripresa regolarmente negli anni successivi da altri giornalisti, osservatori politici e utenti delle reti social, soprattutto nei periodi in cui Putin scompariva per alcuni giorni, e sul sito del Cremlino apparivano immagini ripetute di incontri precedenti.
È capitato più volte che il presidente si comportasse in modo strano, parlando con cadenze inusuali o mostrando un aspetto a volte più emaciato, a volte fin troppo florido, o anche solo guardando l’orologio sulla mano sinistra, quando da sempre lo porta sulla destra. Nel 2015 apparve un’immagine diventata virale del “Putin originale” con sei doppioni, chiamati dal giornalista Oleg Kašin, che aveva diffuso le loro fotografie, con i soprannomi di Govorun (“il chiacchierone”), Udmurt (dalla regione uralica, quello “peggio riuscito”), Banketnyj (“da ricevimento”, che stringe la mano a tutti), Kučma (per la somiglianza con il primo presidente ucraino), Sinjak (“ammaccato”) e Diplomat (per la posa da ambasciatore, con un accenno di pizzetto). Dal 2021, con la diffusione del coronavirus, la sostituzione in pubblico era diventata quasi ufficiale e necessaria, e gli incontri di persona avvenivano ai lati opposti di un tavolo chilometrico.
Ultimamente, ha suscitato molte perplessità la visita di Putin nella Mariupol occupata a marzo di quest’anno, parlando per strada con gli abitanti rimasti, e ancora di più quando si è recato nella cittadina caucasica di Derbent dopo la rivolta di Prigožin, abbracciando amabilmente le persone che gli si stringevano intorno, un atteggiamento non soltanto poco consono alle norme di distanziamento, ma del tutto inusuale per il carattere dello stesso Putin. Le smentite delle sostituzioni sono ormai un classico settimanale delle dichiarazioni del portavoce Dmitrij Peskov, che ogni volta ripete come Putin “sorrida e si diverta” quando sente queste teorie. Il presidente ha del resto affermato in più occasioni che i servizi di sicurezza gli hanno proposto di usare dei sosia in situazioni di pericolo, “ma io ho sempre rifiutato”.
Non c’è alcun modo di verificare la realtà di queste teorie cospirazionistiche sulla sostituzione di Putin, vivo o morto che sia, e del resto non cambierebbe nulla nel sistema di potere della Russia attuale, che si basa sul “Putin collettivo” più ancora che su quello individuale. Sono molti i “doppioni” del presidente, politici e ideologici ben prima che fisici, dal “delfino” Dmitrij Medvedev, collocato sulla sedia presidenziale dal 2004 al 2008, al capo della sicurezza Nikolaj Patrušev, che sostituì lo stesso Putin a capo dell’Fsb nel 1999, e dal 2008 veglia sui destini del Paese come ombra del capo. Molte altre personalità si fondono e si confondono con la figura del presidente per gli affari economici, militari, religiosi e sociali, ma anche per le espressioni ideologiche e culturali, sopperendo ad evidenti carenze dello zar in vari settori; basti pensare alla retorica teologico-politica del patriarca Kirill, senza la quale il dogma putinista rischierebbe di scivolare ancora più lontano dall’Ortodossia degli stessi proclami patriarcali.
In questi giorni dell’inizio stagionale delle opere liriche nei grandi teatri mondiali, in Russia splende la stella di un altro grande “doppione putiniano”, il maestro Valerij Gergiev, direttore dal 2013 del teatro Marinskij di San Pietroburgo che ora ha realizzato il suo sogno, diventando allo stesso tempo direttore del Bolšoj di Mosca e unendo così i due principali templi della musica, creando una specie di direzione imperiale dei teatri di Russia. In effetti era dai tempi degli zar che non esisteva un patronato supremo, che riflette nell’arte la dimensione della politica russa; nel 2022 Gergiev aveva avanzato a Vladimir Putin questa proposta, e in soli due anni si è finalmente realizzata, liberandosi dello “scomodo” direttore Vladimir Urin, molto critico verso la guerra in Ucraina.
La tensione imperiale del maestro Gergiev si è palesata in più direttive, non soltanto in quella musicale, rivelando una grande sintonia con l’archetipo del Cremlino. Egli è noto per l’amore alla terra, anzi a vasti terreni di proprietà che egli cerca di accumulare a varie latitudini. I suoi possedimenti sono notevoli in Russia e in altri Paesi, ma da vero amante del bel canto la sua passione riguarda soprattutto l’Italia, luogo del resto preferito da tutti gli oligarchi russi e dallo stesso Putin, che si dilettava a conversare in italiano con Berlusconi nelle ville della Sardegna. Quando viene a Roma, Gergiev risiede in una splendida villa dell’Olgiata su un terreno di cinque ettari e mezzo, ma a seconda delle stagioni può scegliere di passare del tempo vicino al mare, nella sua tenuta di Massa Lubrense vicino a Napoli. Oppure si sposta a Rimini, dove possiede altri trenta ettari di terra destinati anche ai lavori agricoli, con tanto di stadio da baseball, grande parcheggio per le automobili e un parco di attrazioni per grandi e piccini, con il bar-ristorante United Tastes of Hamerica’s.
Non poteva mancare un appezzamento nei dintorni di Milano, città del suo amatissimo teatro La Scala, disteso su 88 mila mq alle porte della città, e Gergiev è anche il proprietario del Palazzo Barbarigo di Venezia, un edificio del XV secolo con albergo adiacente, oltre a un ristorante su piazza San Marco attivo dal 1775. Queste proprietà veneziane sono parte dell’eredità lasciata dall’arpista Yoko Nagae Ceschina, una contessa che aveva una grande passione per il maestro russo, tanto da chiedergli di disperdere le sue ceneri dopo la morte sul lago Bajkal, cosa che Gergiev fece in coppia con il pianista Denis Matsuev. Yoko era famosa per il suo mecenatismo, e aveva contribuito per decenni allo sviluppo della musica classica russa, così che Gergiev la segnala sempre come suo sponsor in ogni cartellone dei suoi spettacoli, e l’ha celebrata nel suo libro di grande successo La sinfonia della vita.
Gergiev ripete spesso che “noi non vendiamo opera e balletto come se fossero gas e petrolio”, frase da campagna elettorale putiniana, anche se risulta essere un grande imprenditore della carne di tacchino e anatra della sua compagnia Evrodon, con vari marchi commerciali. Il musicista-oligarca più amato da Putin, e sua sublimazione operistica, è oggi una delle figure più rappresentative della nuova Russia imperiale, che costringe il mondo intero a ballare al tempo scandito dalla sua bacchetta universale.
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