I diritti umani in India: tra democrazia, caste e connivenza delle autorità
New Delhi (AsiaNews) – Il governo indiano “in generale rispetta i diritti dei cittadini, anche se rimangono molti gravi problemi”, dice il recente Rapporto 2007 del Dipartimento di Stato Usa sui diritti umani. Lenin Raghuvanshi, direttore del Comitato di vigilanza del popolo sui diritti umani e vincitore nel 2007 del prestigioso Premio Gwuangju per i diritti umani , parla ad AsiaNews di questo rapporto e della situazione nel Paese.
Il rapporto indica, tra i maggiori problemi dell’India, gli omicidi extra giudiziali, le sparizioni e le torture compiute dalle forze di sicurezza e dai terroristi. Raghuvanshi è critico verso gli Stati Uniti, che non guardano anzitutto le violazioni dei diritti che avvengono nel loro stesso Paese. Ma con riguarda all’India considera il rapporto “obiettivo e basato sui fatti”, anche se occorre dare maggior attenzione al collegamento tra violazioni dei diritti umani e “le discriminazioni di casta”.
Le autorità indiane – dice – passano spesso sotto silenzio le denunce per le violazioni di diritti e nonostante ciò “il governo non fa praticamente nulla per prevenirle, specie nel campo del diritto al cibo e per le discriminazioni di casta”.
Il rapporto osserva che questo sistema genera molte violazioni dei diritti delle caste inferiori. “Il sistema indiano delle caste – spiega – è del tutto non democratico e basato sul concetto di ineguaglianza, e ogni tentativo di cambiare questo sistema crea la reazione di chi vuole mantenere lo status quo”. “Omicidi per ragioni di dote, delitti d’onore, infanticidi femminili, feticidi, traffico di essere umani e sfruttamento, lavoro minorile, sono tutte conseguenze di un sistema feudale patriarcale fondato sulle caste”.
Ma la critica investe anche la politica, anzitutto “quanto ha fatto il Partito comunista marxista indiano (Pcmi) in Nandigram (Bengala occidentale)”. “Per far realizzare un impianto chimico di una multinazionale e per creare saldi rapporti con altre multinazionali, il [governo comunista del] Bengala occidentale ha inflitto violenze indiscriminate contro i residenti e ha spossessato in modo illegale i poveri contadini delle loro terre”. “Il governo comunista ha agito come un agente delle multinazionali e ha usato il potere, datogli dal popolo, contro la gente”, operando “per il beneficio di pochi” e “utilizzando mezzi non immaginabili in una società civile, per terrorizzare la popolazione”.
“Siamo rimasti attoniti – prosegue – nel sapere che le donne del Nandigram, che protestavano pacificamente contro l’esproprio delle loro terre, sono state aggredite, violentate e uccise”, nell’ambito di queste violenze ad opera di polizia e attivisti per Pcmi. “E’ una grande vergogna – conclude – che le donne del Pcmi, che sono milioni e hanno molto potere, non abbiano fatto nulla e abbiano taciuto su queste violenze dello Stato contro le donne”. (NC)