I cristiani del Vicino Oriente e l’ideologia islamista
di Bernardo Cervellera
Alla 23ma Settimana europea sulla storia religiosa euro-mediterranea, una serie di interventi mostra la grande epopea delle Chiese antiochene, fra martirio, deportazioni, ma anche appassionata evangelizzazione e dialogo culturale e interreligioso. La comunicazione del direttore di AsiaNews sulla attuale situazione delle Chiese del Vicino oriente alle prese con l’islamismo radicale.
Gazzada (AsiaNews) – Dal 6 al 10 settembre scorso, si è tenuto a Gazzada (VA) la 23ma Settimana europea incentrata sulla vita e la storia delle comunità cristiane di tradizione antiochena (maroniti, bizantini, siriaci, caldei, armeni, malankarici,…).
Le settimane sono curate dalla Fondazione Ambrosiana Paolo VI e dall’Università cattolica del S. Cuore e si svolgono nella sontuosa cornice di Villa Cagnola, un gioiello settecentesco. Il tema specifico è stato “Dal Mediterraneo al Mar della Cina. L’irradiazione della tradizione cristiana di Antiochia nel continente asiatico e nel suo universo religioso”.
Nelle giornate molto dense di studi a livello accademico sulle varie esperienze cristiane in Turchia, Persia, Asia Centrale, India, Cina, è emersa la caratteristica della tradizione antiochena, capace fin dall’origine di dialogare con le culture e le religioni circostanti, insieme a un forte senso dell’identità cristiana. Al convegno hanno partecipato personalità e studiosi dal mondo intero. Fra essi, anche alcuni testimoni della vita attuale di queste Chiese, come mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, e p. Samir Khalil Samir, esperto di islam e professore a Beirut.
L’ultimo giorno, il 10 settembre, è stato dedicato alla situazione presente di queste Chiese, sottoposte spesso a una forte persecuzione. Al direttore di AsiaNews è stato chiesto di presentare una comunicazione dal titolo “Ideologia islamista e situazione dei cristiani nel Vicino Oriente”, che presentiamo qui sotto. La Fondazione Paolo VI sta già lavorando per la pubblicazione degli Atti del convegno che raccoglierà di tutti gli interventi.
L’islamismo radicale è sempre stato presente nell’islam, ma è emerso negli ultimi decenni grazie ai Fratelli Musulmani (fondati in Egitto nel 1928) e grazie al sostegno saudita verso l’ideologia wahabita. Esso suppone un’interpretazione letteralista dell’islam e un ritorno all’islam delle origini – quello di Maometto e dei quattro califfi - come strada per riaffermare la dignità delle comunità islamiche nel mondo.
I loro nemici sono i governi islamici corrotti (quasi tutti); l’occidente ateo e coloniale; lo Stato di Israele; e infine anche i cristiani, spesso assommati all’occidente, anche se gli islamisti combattono spesso comunità cristiane che vivono in Medio oriente da molto tempo prima di Maometto.
Al mondo islamista è legata la scelta della violenza e anche il terrorismo visto come un gesto religioso che dà lode ad Allah e purifica il mondo distruggendo i nemici dell’Islam.
Che peso ha questa interpretazione dell’Islam?
In un’inchiesta pubblicata il 4 marzo 2009 da AsiaNews [1], a cura del Palestinian Center for Public Opinion, emergeva che almeno il 30% degli interrogati in diversi Paesi islamici - Egitto, Palestina, Turchia, Azerbaijian, Pakistan, Giordania e Marocco – sosteneva che è giusto l’uso di bombe e assassinii per raggiungere scopi politici e religiosi.
Una larga maggioranza sosteneva lo scopo di al Qaeda di “spingere gli Usa a rimuovere le basi americane e le sue forze militari da tutti i Paesi islamici”. Fra questi vi sono l’87% degli egiziani; il 64% degli indonesiani; il 60% dei pakistani.
Molto approvati erano anche altri scopi di al Qaeda. Fra questi, “la stretta applicazione della Sharia in tutti i Paesi islamici e l’unificazione di tutte le nazioni islamiche in un unico Stato islamico o Califfato” ha ricevuto il sostegno del 65% degli egiziani; il 48% degli indonesiani; il 76% di pakistani e marocchini. “Mantenere i valori occidentali fuori dai paesi islamici”, un altro dei fini dell’organizzazione terrorista, guadagna il sostegno dell’88% in Egitto, del 76% in Indonesia; del 60% in Pakistan e del 64% in Marocco.
La figura di Osama bin Laden – allora ancora vivo - ha avuto un sostegno controverso. Se si eccettua l’Egitto (con il 44%), e i Territori palestinesi (con 56%) negli altri Paesi, i “sentimenti positivi” verso di lui giungono al 14% in Indonesia; 25% in Pakistan; 27% in Marocco; 27% in Giordania; 9% in Turchia; 4% in Azerbaijan.
Possiamo dire che questa mentalità è presente tuttora, anche dopo la morte di Osama Bin Laden. Tony Blair, ex premier britannico, in un’intervista alla Bbc (10/9/2011) ha detto che l’occidente “ha vinto al Qaeda militarmente”, ma essa non è ancora vinta “dal punto di vista ideologico”.
Vi è dunque una discreta influenza di questa mentalità islamista nel mondo musulmano. Essa è accresciuta da altri due fattori:
1) il silenzio del mondo islamico moderato o modernizzante, che vorrebbe una riforma dell’islam basata su una nuova interpretazione del Corano e della sharia sottomessa ai diritti umani universali;
2) la diffusione della mentalità islamista attraverso la predicazione nelle moschee e nelle scuole islamiche.
Per tutto ciò, nei Paesi del Vicino oriente in questi decenni è andata crescendo la propaganda islamica con moschee, film, libri, video, uso del velo, della barba, pratica della sharia. Tale propaganda ha zittito le voci moderate e ha spinto i cristiani a rinchiudersi sempre più nelle loro comunità, al massimo resistendo a questo nuovo tipo di colonizzazione, rimanendo ancorati alla loro tradizione.
L’uso dell’islam politico ha subito un’accelerazione con la rivoluzione iraniana nel 1979 e con l’assalto delle Torri gemelle a New York nel 2001. Esso però si alimenta soprattutto dal senso di crisi che vivono le comunità islamiche, che si sentono spaesate nel mondo moderno, incapaci di produrre cultura influente e desiderose allo stesso tempo di vivere religiosamente la loro fede.
La conclusione (facile) è il ritorno a questo islam delle origini, al formalismo religioso proposto dagli imam, che ripetono schemi presi dal passato in ogni aspetto della vita: lavoro, convivenza, sesso, giustizia, valore della donna, apostasia, ecc.
I governi del Medio oriente, tutti fragilissimi, dipendendo dagli aiuti dell’Arabia saudita e soppesando il poco valore politico dei cristiani – una minoranza – spesso non difendono i cristiani, ma preferiscono lasciare sempre più spazio all’islamismo nella società, anche se talvolta si pregiano di difendere la società dal terrorismo.
L’occidente, da parte sua, con il sostegno alla causa di Israele, la guerra in Afghanistan e quella in Iraq ha scelto anch’esso un modo conflittuale di rapporto, salvaguardando i legami economici, e mettendo all’ultimo posto un dialogo culturale e religioso.
Non parliamo poi di un occidente che si colpevolizza, che attribuisce al suo passato coloniale tutti i problemi del mondo arabo, che difende la sharia come un elemento culturale intoccabile, che difende tutti i diritti possibili meno quello della libertà religiosa… Va detto che queste posizioni dell’occidente rafforzano proprio l’islamismo, che si convince del carattere “predatore” e “ateo” dell’occidente e vede nell’oppressione dei cristiani (“crociati”) una vittoria delle proprie posizioni.
Questa situazione di insicurezza, di guerra, di oppressione culturale sta svuotando il Medio oriente dei cristiani. L’emigrazione è la strada che prendono in molti, spesso per sempre.
In Libano, al tempo della Costituzione nel ’46, circa 60 anni fa, vi era una piccola maggioranza cristiana, rispetto a musulmani e drusi. Ora nessuno vuole fare un censimento, ma i cristiani sono scesi al di sotto del 40% (forse anche 35%). E questo sta mettendo in crisi l’equilibrio politico del Paese. In altri Paesi della regione, come in Turchia, si vede la caduta in picchiata della presenza cristiana: in un secolo da circa il 20% si è giunti al 1%.
Alcuni anni fa la Custodia di Terra Santa ha presentato delle cifre impressionanti. Esse affermano che tra il 1840 e il 2002, la popolazione cristiana di Gerusalemme è scesa dal 25% al 2%. Nel 1863 Betlemme era una città quasi completamente cristiana con 4400 cristiani a fronte di 600 musulmani. Ancora nel 1922 c'erano 5838 cristiani e soltanto 818 musulmani. Ma nel 2002 nella Città di Davide troviamo soltanto 12 mila cristiani, mentre i musulmani sono ora 33.500.
Il dott. Bernard Sabella, dell'università di Betlemme, uno studioso del fenomeno dell’emigrazione, afferma che dal 1948 almeno 230 mila arabi cristiani hanno lasciato la Terra Santa; dalla guerra del 1967 è emigrato il 35% della popolazione cristiana palestinese. Si prevede che nel 2020 i cristiani rappresenteranno solo l'1,6% della popolazione totale. All’emigrazione palestinese contribuisce l’instabilità della situazione politica; le tensioni con Israele che frenano lo sviluppo e le prospettive di lavoro; la crescita di islamismo fra i palestinesi musulmani (in una popolazione che un tempo era la più laicizzata del Medio oriente); qualche incidente violento contro chiese e scuole cristiane soprattutto a Gaza.
Il caso dell’Iraq
La situazione delle comunità cristiane in Iraq è ancora più emblematica. Dal 2003, l’anno dell’invasione Usa e della cacciata di Saddam Hussein il Paese è divenuto instabile, insicuro, con gruppi fondamentalisti che combattono le truppe straniere, ma anche i loro “alleati” irakeni, musulmani o cristiani.
La mancanza di sicurezza, le lentezze con cui si sono formate le alleanze politiche e i governi hanno deteriorato sempre più la situazione.
In tal senso i cristiani hanno subito le stesse prove e violenze degli altri gruppi – sunniti, sciiti, yaziti, arabi, turcomanni, ecc..
I cristiani sono stati però oggetto particolare di violenza, tanto da far temere a molti vescovi che vi sia un piano proprio per cacciare i cristiani dall’Iraq, come negli anni ’70 ve n’era uno per cacciare i cristiani dal Libano.
Il culmine di questa vera e propria persecuzione è emerso nell’attacco terrorista del 31 ottobre 2010 alla chiesa di Nostra Signora del Perpetuo soccorso a Baghdad. Nel pomeriggio, mentre si svolgeva la messa domenicale, un gruppo di giovani – 14-15 anni – armati di tutto punto con mitraglie e granate sono entrati in chiesa e hanno cominciato a sparare, far scoppiare granate, colpire i fedeli radunati per l’eucaristia. Sono state uccise 55 persone, e fra essi anche molti bambini, donne, anziani, oltre ai due sacerdoti, insieme a circa 70 feriti [2].
L’attacco è stato subito rivendicato dallo “Stato islamico irakeno”, una cellula di al Qaeda in Iraq. Nella loro farneticante dichiarazione, essi affermano che l’attentato è una rappresaglia contro la chiesa egiziana, “colpevole” di incarcerare due donne cristiane che volevano farsi musulmane.
È importante sottolineare che da quel momento essi dicono che tutti i cristiani del Medio oriente sono divenuti “obbiettivo legittimo” della guerra dell’islam contro l’idolatria e contro “l’inquinamento” che i cristiani portano nella cultura araba [3], definendo la chiesa colpita “la sporca tana dell’idolatria” [4].
I cristiani sono dunque “obbiettivo legittimo” per aver permesso sempre il dialogo fra oriente e occidente, per aver fatto crescere la cultura araba nei valori della modernità, per aver affermato la dignità e la parità della donna con l’uomo, per offrire scuole per ragazze; far maturare uno Stato laico, capace di accogliere tutte le minoranze religiose.
Questo spiega perché in tutti questi anni in Iraq sono stati colpiti sacerdoti, vescovi, ma anche fedeli, ragazze e ragazzi universitari cristiani, professori universitari, professionisti.
Al Qaeda è contro la fede cristiana e il suo contributo al progresso della società, volendo riportare il Paese a un islam primitivo, dove la donna rimane in casa e non studia, dove non c’è cultura se non lo studio letteralista del Corano, dove è assente il pluralismo nella società.
L’attentato alla chiesa di Nostra Signora del Perpetuo soccorso ha portato molti intellettuali musulmani a (ri)scoprire il valore della presenza cristiana in Medio oriente, tanto che alcuni hanno lanciato lo slogan: Salviamo la presenza dei cristiani nel mondo arabo [5].
L’invito del Sinodo sul Medio oriente
Una coincidenza importante è che pochi giorni prima dell’attentato a Baghdad si era concluso in Vaticano il Sinodo per le Chiese del Medio oriente, in cui è stato sottolineato l’importanza della presenza delle Chiese orientali nel tessuto medio-orientale.
E il Sinodo ha rivolto ai cristiani l’invito pressante a “rimanere” in Medio oriente, non per volontarismo o per cecità masochista, ma in nome della vocazione e della missione che i cristiani svolgono in queste terre [6].
L’invito del Sinodo a “rimanere” era stato rivolto da Benedetto XVI ai cristiani di Terra Santa, durante il suo viaggio nel maggio 2009 [7].
In questo “rimanere” è implicato la ricerca di una sempre più piena libertà religiosa, ma anche quella di una sempre più corposa collaborazione come cittadini alla pari degli altri nella società medio-orientale.
La primavera araba
Questa missione dei cristiani ha trovato un’occasione storica per essere attuata negli sconquassi che attraversano oggi molti Paesi del Medio oriente.
La cosiddetta “primavera araba” o “rivoluzione dei gelsomini”, iniziata in Tunisia, si è poi comunicata in Egitto, Algeria, Marocco, Libia, Yemen, Araba saudita, e soprattutto Siria.
Tutte queste rivolte sono iniziate a causa della fame (innalzamento dei prezzi dei cibi), della disoccupazione, delle ingiustizie, della corruzione. I molti giovani che hanno partecipato alle manifestazioni chiedono soprattutto dignità e lavoro, ma anche democrazia e riforme costituzionali per eliminare le dittature personali che per decenni hanno dominato i loro Paesi, arricchendo se stesse e i gruppi ad esse collegate.
Le manifestazioni sono state in massima parte non violente e senza elementi confessionali islamici. Anzi, soprattutto in Egitto, si sottolineava molto l’amicizia fra cristiani e musulmani e si vuole ancora che la costituzione garantisca una piena cittadinanza anche a tutte le minoranze.
È vero però che la situazione di maggiore libertà creatasi con la caduta dei dittatori (in Tunisia ed Egitto e adesso in Libia), sta facendo emergere gruppi fondamentalisti legati ai Fratelli Musulmani o ad al Qaeda (in Libia), molto organizzati, che fanno pesare la loro influenza.
È possibile che nelle future elezioni che ci saranno in questi Paesi proprio le forze fondamentaliste potranno prendere il sopravvento, aiutate dalla loro organizzazione e forse anche dall’ignoranza e dall’analfabetismo delle masse popolari.
Il timore di un futuro dominato dai fondamentalisti ha spinto e spinge quasi tutti i leader cristiani a vedere in modo negativo ogni cambiamento di regime e a condannare la “primavera araba”.
Non è così fra i cristiani laici, che invece sono divisi fra sostenitori del cambiamento e sostenitori dei regimi in questione.
L’esempio più tipico è la Siria dove da mesi vi è una rivolta dapprima non violenta, rischia ora di generare una guerra civile. I leader delle Chiese cristiane però continuano a difendere Bashar el-Assad. Come ha detto il patriarca Gregorio III Laham dei greco-cattolici, “"Non abbiamo paura dell'islam, abbiamo paura che subentri il caos come in Iraq" [8].
Il papa, da parte sua, ha chiesto ai cristiani di pregare, ma ha anche domandato alle parti di trovare vie di riconciliazione, vedendo nelle richieste degli anti-Assad anche delle giuste rivendicazioni.
Per i cristiani del Vicino oriente è un importante tempo di discernimento, per valorizzare le esigenze di giustizia con la necessità dell’ordine, della sicurezza e della libertà. E questo è parte della loro missione e del loro “rimanere”.
A conclusione di questo panorama, vale la pena almeno accennare ad alcune piste molto importanti che stanno emergendo in questi tempi e che segnano un cambiamento in corso nel mondo medio-orientale:
a) sempre di più il mondo islamico, anche quello più istituzionale, condanna in modo aperto la violenza terrorista;
b) molti intellettuali musulmani si sono espressi in difesa dei cristiani e della loro presenza in Medio Oriente, e a favore del loro contributo alla società, senza dei quali le loro terre diverrebbero “barbarie” e luoghi di guerre etniche perpetue;
c) di fronte al pericolo di estinzione dei cristiani in Medio Oriente, le varie Chiese stanno cercando modi per collaborare e per evangelizzare insieme, con un ecumenismo molto più solido che in passato (v. in particolare Turchia, Iraq, Terra Santa);
d) le comunità cristiane della diaspora compiono un lavoro egregio nel sostenere la libertà religiosa delle loro comunità di origine, ma sono tentate da un approccio solo conflittuale con il mondo islamico, senza un vero aiuto alla missione dei cristiani nella società medio-orientale;
e) l’occidente (v. Stati Uniti ed Europa) sembrano sempre meno interessati ad un assetto medio-orientale nella giustizia, nella pace e nel rispetto dei diritti umani. La preoccupazione è quasi solo a mantenere i propri rapporti economici, senza alcun dialogo culturale o politico;
f) le Chiese d’occidente sono impegnate nella carità e nella solidarietà con le Chiese d’oriente, ma stentano a suggerire modalità di impegno nelle società medio-orientali ispirate alla dottrina sociale della Chiesa; allo stesso tempo non riescono a interessare i loro governi per fare pressioni politiche e culturali verso gli Stati del Medio Oriente.
Cfr.: AsiaNews.it, 04/03/2009, Paesi islamici rifiutano al Qaeda, ma anche la politica americana.
Per il racconto della strage, fatta dai feriti, v. AsiaNews.it, 25/11/2010 I martiri del massacro di Baghdad segno di unità per tutti i cristiani dell’Iraq (di Simone Cantarini) e AsiaNews.it, 30/11/2010 Provo a dimenticare, ma vedo sempre la chiesa insanguinata a Baghdad (di Giulia Mazza).
Cfr AsiaNews.it, 03/11/2010 Al Qaeda minaccia: i cristiani sono bersaglio legittimo.
Cfr. CBN News, 5/11/2010, Al Qaeda Group Promises Attacks On Iraqi Christians.
Per tutti, v. AsiaNews.it, 13/11/2010 Cristiani in Medio Oriente essenziali per la sopravvivenza del mondo arabo.
Cfr i nn 106-110 dell’Instrumentum Laboris su “La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza”, Città del Vaticano, 2010; il n. 5 del “Messaggio al Popolo di Dio” (cfr. AsiaNews.it, 23/10/2010, Sinodo per il Medio Oriente: il Messaggio al Popolo di Dio.
Cfr. AsiaNews.it, 10/05/2009, Papa: Gesù dia “il suo coraggio” ai cristiani di Terra Santa.
Cfr. AsiaNews.it, 09/08/2011 L’appello del Papa e i timori dei cristiani in Siria.
Le settimane sono curate dalla Fondazione Ambrosiana Paolo VI e dall’Università cattolica del S. Cuore e si svolgono nella sontuosa cornice di Villa Cagnola, un gioiello settecentesco. Il tema specifico è stato “Dal Mediterraneo al Mar della Cina. L’irradiazione della tradizione cristiana di Antiochia nel continente asiatico e nel suo universo religioso”.
Nelle giornate molto dense di studi a livello accademico sulle varie esperienze cristiane in Turchia, Persia, Asia Centrale, India, Cina, è emersa la caratteristica della tradizione antiochena, capace fin dall’origine di dialogare con le culture e le religioni circostanti, insieme a un forte senso dell’identità cristiana. Al convegno hanno partecipato personalità e studiosi dal mondo intero. Fra essi, anche alcuni testimoni della vita attuale di queste Chiese, come mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, e p. Samir Khalil Samir, esperto di islam e professore a Beirut.
L’ultimo giorno, il 10 settembre, è stato dedicato alla situazione presente di queste Chiese, sottoposte spesso a una forte persecuzione. Al direttore di AsiaNews è stato chiesto di presentare una comunicazione dal titolo “Ideologia islamista e situazione dei cristiani nel Vicino Oriente”, che presentiamo qui sotto. La Fondazione Paolo VI sta già lavorando per la pubblicazione degli Atti del convegno che raccoglierà di tutti gli interventi.
L’islamismo radicale è sempre stato presente nell’islam, ma è emerso negli ultimi decenni grazie ai Fratelli Musulmani (fondati in Egitto nel 1928) e grazie al sostegno saudita verso l’ideologia wahabita. Esso suppone un’interpretazione letteralista dell’islam e un ritorno all’islam delle origini – quello di Maometto e dei quattro califfi - come strada per riaffermare la dignità delle comunità islamiche nel mondo.
I loro nemici sono i governi islamici corrotti (quasi tutti); l’occidente ateo e coloniale; lo Stato di Israele; e infine anche i cristiani, spesso assommati all’occidente, anche se gli islamisti combattono spesso comunità cristiane che vivono in Medio oriente da molto tempo prima di Maometto.
Al mondo islamista è legata la scelta della violenza e anche il terrorismo visto come un gesto religioso che dà lode ad Allah e purifica il mondo distruggendo i nemici dell’Islam.
Che peso ha questa interpretazione dell’Islam?
In un’inchiesta pubblicata il 4 marzo 2009 da AsiaNews [1], a cura del Palestinian Center for Public Opinion, emergeva che almeno il 30% degli interrogati in diversi Paesi islamici - Egitto, Palestina, Turchia, Azerbaijian, Pakistan, Giordania e Marocco – sosteneva che è giusto l’uso di bombe e assassinii per raggiungere scopi politici e religiosi.
Una larga maggioranza sosteneva lo scopo di al Qaeda di “spingere gli Usa a rimuovere le basi americane e le sue forze militari da tutti i Paesi islamici”. Fra questi vi sono l’87% degli egiziani; il 64% degli indonesiani; il 60% dei pakistani.
Molto approvati erano anche altri scopi di al Qaeda. Fra questi, “la stretta applicazione della Sharia in tutti i Paesi islamici e l’unificazione di tutte le nazioni islamiche in un unico Stato islamico o Califfato” ha ricevuto il sostegno del 65% degli egiziani; il 48% degli indonesiani; il 76% di pakistani e marocchini. “Mantenere i valori occidentali fuori dai paesi islamici”, un altro dei fini dell’organizzazione terrorista, guadagna il sostegno dell’88% in Egitto, del 76% in Indonesia; del 60% in Pakistan e del 64% in Marocco.
La figura di Osama bin Laden – allora ancora vivo - ha avuto un sostegno controverso. Se si eccettua l’Egitto (con il 44%), e i Territori palestinesi (con 56%) negli altri Paesi, i “sentimenti positivi” verso di lui giungono al 14% in Indonesia; 25% in Pakistan; 27% in Marocco; 27% in Giordania; 9% in Turchia; 4% in Azerbaijan.
Possiamo dire che questa mentalità è presente tuttora, anche dopo la morte di Osama Bin Laden. Tony Blair, ex premier britannico, in un’intervista alla Bbc (10/9/2011) ha detto che l’occidente “ha vinto al Qaeda militarmente”, ma essa non è ancora vinta “dal punto di vista ideologico”.
Vi è dunque una discreta influenza di questa mentalità islamista nel mondo musulmano. Essa è accresciuta da altri due fattori:
1) il silenzio del mondo islamico moderato o modernizzante, che vorrebbe una riforma dell’islam basata su una nuova interpretazione del Corano e della sharia sottomessa ai diritti umani universali;
2) la diffusione della mentalità islamista attraverso la predicazione nelle moschee e nelle scuole islamiche.
Per tutto ciò, nei Paesi del Vicino oriente in questi decenni è andata crescendo la propaganda islamica con moschee, film, libri, video, uso del velo, della barba, pratica della sharia. Tale propaganda ha zittito le voci moderate e ha spinto i cristiani a rinchiudersi sempre più nelle loro comunità, al massimo resistendo a questo nuovo tipo di colonizzazione, rimanendo ancorati alla loro tradizione.
L’uso dell’islam politico ha subito un’accelerazione con la rivoluzione iraniana nel 1979 e con l’assalto delle Torri gemelle a New York nel 2001. Esso però si alimenta soprattutto dal senso di crisi che vivono le comunità islamiche, che si sentono spaesate nel mondo moderno, incapaci di produrre cultura influente e desiderose allo stesso tempo di vivere religiosamente la loro fede.
La conclusione (facile) è il ritorno a questo islam delle origini, al formalismo religioso proposto dagli imam, che ripetono schemi presi dal passato in ogni aspetto della vita: lavoro, convivenza, sesso, giustizia, valore della donna, apostasia, ecc.
I governi del Medio oriente, tutti fragilissimi, dipendendo dagli aiuti dell’Arabia saudita e soppesando il poco valore politico dei cristiani – una minoranza – spesso non difendono i cristiani, ma preferiscono lasciare sempre più spazio all’islamismo nella società, anche se talvolta si pregiano di difendere la società dal terrorismo.
L’occidente, da parte sua, con il sostegno alla causa di Israele, la guerra in Afghanistan e quella in Iraq ha scelto anch’esso un modo conflittuale di rapporto, salvaguardando i legami economici, e mettendo all’ultimo posto un dialogo culturale e religioso.
Non parliamo poi di un occidente che si colpevolizza, che attribuisce al suo passato coloniale tutti i problemi del mondo arabo, che difende la sharia come un elemento culturale intoccabile, che difende tutti i diritti possibili meno quello della libertà religiosa… Va detto che queste posizioni dell’occidente rafforzano proprio l’islamismo, che si convince del carattere “predatore” e “ateo” dell’occidente e vede nell’oppressione dei cristiani (“crociati”) una vittoria delle proprie posizioni.
Questa situazione di insicurezza, di guerra, di oppressione culturale sta svuotando il Medio oriente dei cristiani. L’emigrazione è la strada che prendono in molti, spesso per sempre.
In Libano, al tempo della Costituzione nel ’46, circa 60 anni fa, vi era una piccola maggioranza cristiana, rispetto a musulmani e drusi. Ora nessuno vuole fare un censimento, ma i cristiani sono scesi al di sotto del 40% (forse anche 35%). E questo sta mettendo in crisi l’equilibrio politico del Paese. In altri Paesi della regione, come in Turchia, si vede la caduta in picchiata della presenza cristiana: in un secolo da circa il 20% si è giunti al 1%.
Alcuni anni fa la Custodia di Terra Santa ha presentato delle cifre impressionanti. Esse affermano che tra il 1840 e il 2002, la popolazione cristiana di Gerusalemme è scesa dal 25% al 2%. Nel 1863 Betlemme era una città quasi completamente cristiana con 4400 cristiani a fronte di 600 musulmani. Ancora nel 1922 c'erano 5838 cristiani e soltanto 818 musulmani. Ma nel 2002 nella Città di Davide troviamo soltanto 12 mila cristiani, mentre i musulmani sono ora 33.500.
Il dott. Bernard Sabella, dell'università di Betlemme, uno studioso del fenomeno dell’emigrazione, afferma che dal 1948 almeno 230 mila arabi cristiani hanno lasciato la Terra Santa; dalla guerra del 1967 è emigrato il 35% della popolazione cristiana palestinese. Si prevede che nel 2020 i cristiani rappresenteranno solo l'1,6% della popolazione totale. All’emigrazione palestinese contribuisce l’instabilità della situazione politica; le tensioni con Israele che frenano lo sviluppo e le prospettive di lavoro; la crescita di islamismo fra i palestinesi musulmani (in una popolazione che un tempo era la più laicizzata del Medio oriente); qualche incidente violento contro chiese e scuole cristiane soprattutto a Gaza.
Il caso dell’Iraq
La situazione delle comunità cristiane in Iraq è ancora più emblematica. Dal 2003, l’anno dell’invasione Usa e della cacciata di Saddam Hussein il Paese è divenuto instabile, insicuro, con gruppi fondamentalisti che combattono le truppe straniere, ma anche i loro “alleati” irakeni, musulmani o cristiani.
La mancanza di sicurezza, le lentezze con cui si sono formate le alleanze politiche e i governi hanno deteriorato sempre più la situazione.
In tal senso i cristiani hanno subito le stesse prove e violenze degli altri gruppi – sunniti, sciiti, yaziti, arabi, turcomanni, ecc..
I cristiani sono stati però oggetto particolare di violenza, tanto da far temere a molti vescovi che vi sia un piano proprio per cacciare i cristiani dall’Iraq, come negli anni ’70 ve n’era uno per cacciare i cristiani dal Libano.
Il culmine di questa vera e propria persecuzione è emerso nell’attacco terrorista del 31 ottobre 2010 alla chiesa di Nostra Signora del Perpetuo soccorso a Baghdad. Nel pomeriggio, mentre si svolgeva la messa domenicale, un gruppo di giovani – 14-15 anni – armati di tutto punto con mitraglie e granate sono entrati in chiesa e hanno cominciato a sparare, far scoppiare granate, colpire i fedeli radunati per l’eucaristia. Sono state uccise 55 persone, e fra essi anche molti bambini, donne, anziani, oltre ai due sacerdoti, insieme a circa 70 feriti [2].
L’attacco è stato subito rivendicato dallo “Stato islamico irakeno”, una cellula di al Qaeda in Iraq. Nella loro farneticante dichiarazione, essi affermano che l’attentato è una rappresaglia contro la chiesa egiziana, “colpevole” di incarcerare due donne cristiane che volevano farsi musulmane.
È importante sottolineare che da quel momento essi dicono che tutti i cristiani del Medio oriente sono divenuti “obbiettivo legittimo” della guerra dell’islam contro l’idolatria e contro “l’inquinamento” che i cristiani portano nella cultura araba [3], definendo la chiesa colpita “la sporca tana dell’idolatria” [4].
I cristiani sono dunque “obbiettivo legittimo” per aver permesso sempre il dialogo fra oriente e occidente, per aver fatto crescere la cultura araba nei valori della modernità, per aver affermato la dignità e la parità della donna con l’uomo, per offrire scuole per ragazze; far maturare uno Stato laico, capace di accogliere tutte le minoranze religiose.
Questo spiega perché in tutti questi anni in Iraq sono stati colpiti sacerdoti, vescovi, ma anche fedeli, ragazze e ragazzi universitari cristiani, professori universitari, professionisti.
Al Qaeda è contro la fede cristiana e il suo contributo al progresso della società, volendo riportare il Paese a un islam primitivo, dove la donna rimane in casa e non studia, dove non c’è cultura se non lo studio letteralista del Corano, dove è assente il pluralismo nella società.
L’attentato alla chiesa di Nostra Signora del Perpetuo soccorso ha portato molti intellettuali musulmani a (ri)scoprire il valore della presenza cristiana in Medio oriente, tanto che alcuni hanno lanciato lo slogan: Salviamo la presenza dei cristiani nel mondo arabo [5].
L’invito del Sinodo sul Medio oriente
Una coincidenza importante è che pochi giorni prima dell’attentato a Baghdad si era concluso in Vaticano il Sinodo per le Chiese del Medio oriente, in cui è stato sottolineato l’importanza della presenza delle Chiese orientali nel tessuto medio-orientale.
E il Sinodo ha rivolto ai cristiani l’invito pressante a “rimanere” in Medio oriente, non per volontarismo o per cecità masochista, ma in nome della vocazione e della missione che i cristiani svolgono in queste terre [6].
L’invito del Sinodo a “rimanere” era stato rivolto da Benedetto XVI ai cristiani di Terra Santa, durante il suo viaggio nel maggio 2009 [7].
In questo “rimanere” è implicato la ricerca di una sempre più piena libertà religiosa, ma anche quella di una sempre più corposa collaborazione come cittadini alla pari degli altri nella società medio-orientale.
La primavera araba
Questa missione dei cristiani ha trovato un’occasione storica per essere attuata negli sconquassi che attraversano oggi molti Paesi del Medio oriente.
La cosiddetta “primavera araba” o “rivoluzione dei gelsomini”, iniziata in Tunisia, si è poi comunicata in Egitto, Algeria, Marocco, Libia, Yemen, Araba saudita, e soprattutto Siria.
Tutte queste rivolte sono iniziate a causa della fame (innalzamento dei prezzi dei cibi), della disoccupazione, delle ingiustizie, della corruzione. I molti giovani che hanno partecipato alle manifestazioni chiedono soprattutto dignità e lavoro, ma anche democrazia e riforme costituzionali per eliminare le dittature personali che per decenni hanno dominato i loro Paesi, arricchendo se stesse e i gruppi ad esse collegate.
Le manifestazioni sono state in massima parte non violente e senza elementi confessionali islamici. Anzi, soprattutto in Egitto, si sottolineava molto l’amicizia fra cristiani e musulmani e si vuole ancora che la costituzione garantisca una piena cittadinanza anche a tutte le minoranze.
È vero però che la situazione di maggiore libertà creatasi con la caduta dei dittatori (in Tunisia ed Egitto e adesso in Libia), sta facendo emergere gruppi fondamentalisti legati ai Fratelli Musulmani o ad al Qaeda (in Libia), molto organizzati, che fanno pesare la loro influenza.
È possibile che nelle future elezioni che ci saranno in questi Paesi proprio le forze fondamentaliste potranno prendere il sopravvento, aiutate dalla loro organizzazione e forse anche dall’ignoranza e dall’analfabetismo delle masse popolari.
Il timore di un futuro dominato dai fondamentalisti ha spinto e spinge quasi tutti i leader cristiani a vedere in modo negativo ogni cambiamento di regime e a condannare la “primavera araba”.
Non è così fra i cristiani laici, che invece sono divisi fra sostenitori del cambiamento e sostenitori dei regimi in questione.
L’esempio più tipico è la Siria dove da mesi vi è una rivolta dapprima non violenta, rischia ora di generare una guerra civile. I leader delle Chiese cristiane però continuano a difendere Bashar el-Assad. Come ha detto il patriarca Gregorio III Laham dei greco-cattolici, “"Non abbiamo paura dell'islam, abbiamo paura che subentri il caos come in Iraq" [8].
Il papa, da parte sua, ha chiesto ai cristiani di pregare, ma ha anche domandato alle parti di trovare vie di riconciliazione, vedendo nelle richieste degli anti-Assad anche delle giuste rivendicazioni.
Per i cristiani del Vicino oriente è un importante tempo di discernimento, per valorizzare le esigenze di giustizia con la necessità dell’ordine, della sicurezza e della libertà. E questo è parte della loro missione e del loro “rimanere”.
A conclusione di questo panorama, vale la pena almeno accennare ad alcune piste molto importanti che stanno emergendo in questi tempi e che segnano un cambiamento in corso nel mondo medio-orientale:
a) sempre di più il mondo islamico, anche quello più istituzionale, condanna in modo aperto la violenza terrorista;
b) molti intellettuali musulmani si sono espressi in difesa dei cristiani e della loro presenza in Medio Oriente, e a favore del loro contributo alla società, senza dei quali le loro terre diverrebbero “barbarie” e luoghi di guerre etniche perpetue;
c) di fronte al pericolo di estinzione dei cristiani in Medio Oriente, le varie Chiese stanno cercando modi per collaborare e per evangelizzare insieme, con un ecumenismo molto più solido che in passato (v. in particolare Turchia, Iraq, Terra Santa);
d) le comunità cristiane della diaspora compiono un lavoro egregio nel sostenere la libertà religiosa delle loro comunità di origine, ma sono tentate da un approccio solo conflittuale con il mondo islamico, senza un vero aiuto alla missione dei cristiani nella società medio-orientale;
e) l’occidente (v. Stati Uniti ed Europa) sembrano sempre meno interessati ad un assetto medio-orientale nella giustizia, nella pace e nel rispetto dei diritti umani. La preoccupazione è quasi solo a mantenere i propri rapporti economici, senza alcun dialogo culturale o politico;
f) le Chiese d’occidente sono impegnate nella carità e nella solidarietà con le Chiese d’oriente, ma stentano a suggerire modalità di impegno nelle società medio-orientali ispirate alla dottrina sociale della Chiesa; allo stesso tempo non riescono a interessare i loro governi per fare pressioni politiche e culturali verso gli Stati del Medio Oriente.
Cfr.: AsiaNews.it, 04/03/2009, Paesi islamici rifiutano al Qaeda, ma anche la politica americana.
Per il racconto della strage, fatta dai feriti, v. AsiaNews.it, 25/11/2010 I martiri del massacro di Baghdad segno di unità per tutti i cristiani dell’Iraq (di Simone Cantarini) e AsiaNews.it, 30/11/2010 Provo a dimenticare, ma vedo sempre la chiesa insanguinata a Baghdad (di Giulia Mazza).
Cfr AsiaNews.it, 03/11/2010 Al Qaeda minaccia: i cristiani sono bersaglio legittimo.
Cfr. CBN News, 5/11/2010, Al Qaeda Group Promises Attacks On Iraqi Christians.
Per tutti, v. AsiaNews.it, 13/11/2010 Cristiani in Medio Oriente essenziali per la sopravvivenza del mondo arabo.
Cfr i nn 106-110 dell’Instrumentum Laboris su “La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza”, Città del Vaticano, 2010; il n. 5 del “Messaggio al Popolo di Dio” (cfr. AsiaNews.it, 23/10/2010, Sinodo per il Medio Oriente: il Messaggio al Popolo di Dio.
Cfr. AsiaNews.it, 10/05/2009, Papa: Gesù dia “il suo coraggio” ai cristiani di Terra Santa.
Cfr. AsiaNews.it, 09/08/2011 L’appello del Papa e i timori dei cristiani in Siria.
Vedi anche