Hong Kong: Pechino sceglierà la maggior parte dei deputati cittadini
È il punto principale della riforma elettorale voluta dalla leadership cinese. Più poteri al Comitato che nomina il capo dell’esecutivo locale. Le autorità centrali vogliono eliminare gli elementi “anti-cinesi”. Ex presidente pro-Cina di Taiwan: È la morte del principio “un Paese, due sistemi”.
Hong Kong (AsiaNews) – Il Comitato elettorale filo-Pechino che nomina il capo dell’esecutivo cittadino sceglierà la maggior parte dei deputati del Legco, il Parlamento locale. Lo ha dichiarato ieri Zhang Xiaoming, vice direttore dell’Ufficio cinese per gli affari di Hong Kong e Macao, nella giornata conclusiva di un forum sulla riforma elettorale nell’ex colonia britannica.
L’11 marzo, giornata conclusiva della sua sessione annuale, l’Assemblea nazionale del popolo (Anp) ha dato il via libera alla riforma. La bozza di riforma prevede il riconoscimento di nuovi poteri al Comitato elettorale (già controllato da Pechino). Con l’aggiunta di 300 delegati appartenenti all’Anp e alla Conferenza politica consultiva del popolo cinese, l’organismo passerà da 1.200 a 1.500 membri. Il Legco sarà ampliato da 70 a 90 parlamentari. Secondo Zhang, il Comitato ne eleggerà la quota maggiore; la restante sarà scelta a suffragio diretto in cinque collegi geografici e in via indiretta tra i rappresentanti del settore industriale, di quello sindacale e delle professioni.
Le autorità istituiranno anche una commissione incaricata di vagliare le candidature al Comitato elettorale e al Legco: l’obiettivo è di bloccare i candidati che non sono ritenuti “patriottici”: un eufemismo per indicare quelli che militano nel fronte democratico.
Zhang ha sottolineato che i partecipanti al forum hanno chiesto di eliminare dal Comitato elettorale allargato i consiglieri distrettuali, che per la maggior parte sono pro-democrazia, o almeno di ridurre in modo drastico il loro numero (al momento sono 117). Egli ha precisato che la questione sarà sottoposta alla Commissione permanente dell’Anp, incaricata di elaborare le modifiche.
In linea con quanto già detto da Carrie Lam, capo dell’esecutivo di Hong Kong, Zhang ha affermato che la riforma è necessaria per impedire che gli affari della città siano messi in pericolo e manipolati da un numero molto piccolo di elementi anti-cinesi. Egli ha poi ammonito che l’economia locale e le vite dei cittadini non possono essere “sequestrate” da interessi politici.
Dopo il varo delle legge sulla sicurezza nazionale in giugno, secondo i critici la riforma elettorale è in realtà un nuovo espediente per cancellare l’opposizione democratica nell’ex colonia britannica. L’attacco più duro è arrivato da Ma Ying-jeou, ex presidente (pro-Pechino) di Taiwan. Il 12 marzo, durante una cerimonia in ricordo del fondatore della Repubblica di Cina Sun Yat-sen, Ma ha detto che la modifica elettorale decreterà la morte della formula “un Paese, due sistemi”, il fondamento dell’autonomia di Hong Kong dalla madrepatria.
Il tema è molto sensibile per Taipei, vista dalla Cina comunista come una “provincia ribelle”. Oltre a minacciare di riconquistare l’isola con la forza, Pechino propone una riunificazione pacifica proprio sulla base del principio “un Paese, due sistemi”. Johnny Chiang, leader del Kuomintang (il partito nazionalista, una volta guidato da Ma), ha espresso rammarico per gli ultimi sviluppi a Hong Kong. Egli ha aggiunto che Pechino non riuscirà a riguadagnare la fiducia degli abitanti della città se non garantirà loro un alto livello di autonomia e democrazia.
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