Hong Kong, un trapianto di fegato rilancia la donazione di organi
Hong Kong (AsiaNews/Agenzie) – Una donna ha deciso di donare due terzi del proprio fegato per salvare la vita del proprio marito, che versa in condizioni critiche in ospedale. Si tratta gesto molto raro in Asia orientale, dove la pratica è vista con sospetto e considerata impura, anche per motivi religiosi. La donatrice ha dichiarato che il trapianto è valso il rischio dell’operazione e ha fatto un appello affinché altre persone seguano il suo esempio e aiutino i malati.
Il marito della donna, Stephen Lee, 46 anni, è ricoverato all’ospedale Pok Fu Lam di Hong Kong. Un trapianto iniziato settimana scorsa è stato interrotto quando si è scoperto, all’ultimo momento, che il fegato del precedente donatore era affetto da cancro. Secondo i medici, uno su 200 di coloro che donano organi muore durante o per i postumi dell’operazione, e sono preferibili gli organi di persone già decedute.
Una ex donatrice di fegato, Ho Sin-yee, è scesa in campo negli ultimi giorni a fianco di Lee per trovare qualcuno disposto ad aiutarlo. Anche lei, nel 1995, donò due terzi del fegato al marito affetto da cirrosi: “Non pensai per nulla ai rischi e non bisogna farlo troppo. Tutto ciò che volevo era salvare la vita di mio marito”.
La donazione di organi, anche post mortem, è poco diffusa in Asia dell’est di tradizione confuciana. Due giorni fa, nello stesso ospedale di Lee, una famiglia si è rifiutata di donare gli organi del parente morto, il cui tipo sanguigno combaciava con quello del malato.
La Chiesa cattolica si è sempre battuta a che la pratica, capace di salvare tante vite umane, fosse accettata dalla popolazione.
In Corea del Sud, grazie all’opera portata avanti per molti anni dal Card. Stefano Kim Sou-hwan (1922-2009) la società è stata gradualmente sensibilizzata al problema. Negli ultimi anni, sull’esempio del cardinale – il quale decise di donare i propri organi alla morte – cattolici, buddisti e medici coreani hanno promosso la donazione di organi tra la popolazione attraverso la creazione di ong, come la One-Body One spirit Movement (Osob), organizzazione cattolica fondata dallo stesso cardinale. Pochi giorni dopo la morte di mons. Kim, le donazioni erano già triplicate.