Hong Kong, rinviato processo a Jimmy Lai: no dalle autorità pro-Pechino al suo legale britannico
Doveva partire oggi, è stato aggiornato al 13 dicembre. L’esecutivo locale ha chiesto all’Assemblea nazionale del popolo di impedire a Lai di farsi difendere da Timothy Owen. Ex collaboratori del magnate cattolico pronti a testimoniare contro di lui. L’ex colonia britannica rischia un ulteriore colpo alla propria indipendenza giudiziaria.
Hong Kong (AsiaNews) – L’Alta corte cittadina ha rinviato al 13 dicembre l’atteso processo al magnate cattolico e attivista democratico Jimmy Lai, che doveva partire oggi. I tre giudici titolari del procedimento hanno accolto la richiesta di aggiornamento del dipartimento di Giustizia: le autorità locali hanno chiesto al Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo (Anp) un’interpretazione della draconiana legge sulla sicurezza nazionale, imposta da Pechino nell’estate 2020 per reprimere le istanze del movimento pro-democrazia.
L’esecutivo della città ha domandato alla massima autorità legislativa della Cina di stabilire se avvocati stranieri possono essere ingaggiati nei casi di sicurezza nazionale, compreso il britannico Timothy Owen, che guida la squadra legale a difesa di Lai.
Diversi tribunali locali hanno respinto i tentativi governativi di vietare a Owen di difendere Lai. L’ultimo rigetto è arrivato il 28 novembre da parte della Corte di appello finale. Se nel provvedimento sulla sicurezza è specificato che i processi devono essere presieduti da giudici ad hoc, nulla è scritto contro il ricorso ad avvocati stranieri. Intanto, secondo la Reuters, il dipartimento per l’Immigrazione ha rifiutato l’estensione del visto per motivi di lavoro al legale britannico.
Il 74enne tycoon filo-democratico è in prigione dal dicembre 2020. Sconta una condanna per aver partecipato a manifestazioni non autorizzate ed è a processo per quattro imputazioni: due di aver cospirato per colludere con altri Paesi o “elementi esterni”; una di collusione con forze straniere; l’ultima di aver complottato per stampare, pubblicare, vendere, distribuire e riprodurre pubblicazioni “sediziose”.
Per la violazione della legge sulla sicurezza è previsto anche il carcere a vita. Per il reato di sedizione la pena massima è di due anni. Lo scorso mese Lai ha ricevuto già una condanna per frode legata alle attività di Apple Daily, il giornale indipendente da lui fondato, chiuso nel 2021 dopo essere finito sotto indagine della magistratura per minacce alla sicurezza nazionale.
Dal ritorno di Hong Kong sotto sovranità cinese nel 1997 è solo la sesta volta che il governo cittadino si rivolge a Pechino per una interpretazione legale. Con ogni probabilità la decisione delle autorità centrali avrà uno scarso effetto pratico sul destino giudiziario di Lai: altri sei imputati nell’orbita di Apple Daily e della sua holding (Next Digital) si sono dichiarati colpevoli e alcuni di loro testimonieranno contro il miliardario.
Quello che preoccupa molti osservatori ed esponenti del campo democratico è che la decisione del Comitato permanente dell’Anp assesti un altro duro colpo all’indipendenza giudiziaria della città. Dopo il passaggio dal controllo britannico a quello cinese 25 anni fa, e fino al 2047, Hong Kong dovrebbe essere governata in base alla formula “un Paese, due sistemi”, con il riconoscimento di ampie libertà rispetto al resto della Cina.
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