01/06/2018, 11.52
HONG KONG-CINA
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Hong Kong, gli attivisti non dimenticano piazza Tiananmen

In Cina è vietato parlare del massacro di 29 anni fa. Solo ad Hong Kong gli attivisti ricordano. Sopravvissuti: mi salvarono e chiesero di dire al mondo la verità. Un busto per Liu Xiaobo, simbolo del movimento democratico. Artista lancia la campagna per ricordare il “Tank Man”. Ma fra i giovani di Hong Kong cresce l’indifferenza e il senso d’impotenza.

Hong Kong (AsiaNews/Agenzie) – L’imperativo è tenere vivo il ricordo e costringere la Cina ad assumersi la responsabilità della strage di piazza Tiananmen. È per questo che migliaia di abitanti del territorio ogni anno portano avanti numerose iniziative per commemorare le vittime del massacro.

Il 4 giugno del 1989, l’esercito cinese aprì il fuoco sui manifestanti pro-democrazia raccolti in piazza, compiendo un massacro. A causa della ferrea censura imposta da Pechino, è probabile che non si conoscerà mai il reale bilancio dei morti: si pensa che siano centinaia, forse migliaia. In tutto il Paese, parlare e ricordare piazza Tiananmen è vietato. Solo ad Hong Kong – che al tempo era colonia inglese e ospitò molti fuggitivi – si tiene a Victoria Park una veglia in memoria a cui ogni anno partecipano almeno 100mila persone.

In prima fila a chiedere giustizia vi sono due sopravvissuti alla strage, entrambi originari di Hong Kong: Gloria Fung e Kenneth Lam, intervistati dal South China Morning Post. Lam vive a Hong Kong, dove è attivista e avvocato per i diritti umani, mentre Fung è fuggita in Canada ed è presidente del Canada-Hong Kong Link. Entrambi si sono salvati grazie all’aiuto di alcuni pechinesi. “[Degli studenti] mi hanno spinto giù a un livello più basso del monumento – racconta Lam – chiamando il mio nome e dicendo: ‘Quello che voi di Hong Kong avete fatto per noi è sufficiente. Devi tornare indietro vivo e dire alle persone cosa è accaduto qui’”. Gloria Fung ricorda di aver chiesto alla persona che l’aveva aiutata a fuggire cosa voleva che facesse una volta fuori da Pechino. Egli le rispose: “Dì la verità. Condividi la verità con il mondo e preserva la verità”.

Ieri, un gruppo di attivisti ha rinnovato la richiesta di giustizia, scoprendo a Causeway Bay un busto di Liu Xiaobo (v. foto 2), premio Nobel e icona del movimento pro-democrazia, morto lo scorso anno di tumore sotto la custodia di Pechino. Alle voci degli attivisti si aggiunge anche quella del famoso artista cinese Badiucao, che chiede a tutti nel mondo di mettersi nei panni del “Tank Man” (v. foto 3), il simbolo di piazza Tiananmen: “armato” solo di borse della spesa, l’uomo aveva affrontato con coraggio i carri armati. La foto ha fatto il giro del mondo, ma non si è mai scoperto chi egli fosse o cosa ne sia stato di lui. L’artista cinese chiede di fotografarsi indossando il suo stesso abbigliamento – spiegato in una “guida” (v. foto 4) – e di condividere la foto con l’hashtag #TankMen2018.

Tuttavia, per molti attivisti ricordare il massacro diventa sempre più difficile, per un crescente disinteresse dei più giovani e per il timore di ripercussioni, considerando l’influenza sempre più pressante di Pechino sul governo della regione speciale di Hong Kong. Albert Ho Chun-yan, direttore dell’ Alleanza per il sostegno dei movimenti patriottici democratici della Cina che organizza la veglia annuale, non teme le repressioni di Pechino ed è intenzionato ad andare avanti. Per Ho, la “sfida più grande” è piuttosto la nuova generazione, afflitta da “una crisi identitaria, cinismo e un senso di impotenza”. Scoraggiati dal giro di vite che ha colpito i membri del movimento studentesco Occupy Central, molti giovani boicotteranno la veglia del 4 giugno perché troppo “ritualistica”.

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