07/09/2016, 11.17
SIRIA
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Hassakeh: i cristiani armeni uniti ai curdi nella lotta contro le ingerenze della Turchia

di Pierre Balanian

La comunità locale, antica e infoltita dai superstiti del genocidio, respinge con forza l’idea di emigrare. Dopo aver cacciato le milizie dello Stato islamico la città vive una grave crisi umanitaria. Un capo cristiano: “Il mondo non può dimenticarsi di noi”. Gli armeni mediatori fra curdi ed esercito governativo. I diversi fronti “decisi a combattere” l’esercito di Ankara. 

Hassakeh (AsiaNews) - Gli armeni della provincia siriana di Hassakeh restano in città e respingono con forza qualsiasi ipotesi di emigrazione. Si tratta di una comunità antichissima, infoltita dall’arrivo dei sopravvissuti al Genocidio perpetrato dai turchi contro gli armeni nel 1915. Proprio in quell’area hanno trovato rifugio e salvezza molti armeni cattolici della vicina Mardin, la città nel sud-est della Turchia che ha dato i natali al beato Ignazio Maloian. 

Come è avvenuto in tutte le comunità della diaspora, anche qui gli armeni hanno saputo integrarsi e fondersi, pur mantenendo le loro tradizioni, le culture e la fede cristiana in mezzo alla maggioranza musulmana, con cui hanno vissuto in armonia e tolleranza.

La guerra che da cinque anni imperversa in Siria ha fatto prevalere morte, distruzione, miseria e insicurezza; tuttavia, questo non ha scosso né terrorizzato la comunità cristiana, decisa a continuare a vivere nelle proprie case. 

Interpellato da AsiaNews Rasmik Boghigian, uno dei capi della comunità locale, impegnato nelle attività di organizzazione, aiuto e mutuo soccorso della città, riferisce che “Hassakeh è un preda a una grave crisi umanitaria”. Le “recenti tensioni” fra curdi e forze del governo siriano per il “dominio” del territorio “hanno peggiorato la situazione”. Ormai l’80% dell’area “è in mano ai curdi”, dopo che è stata strappata al controllo di Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico, SI] e di alcune fazioni ribelli filo-estremiste islamiche. 

Di notte la situazione è più tesa, mentre di giorno i combattimenti si fanno meno intensi. La popolazione compie sforzi giganteschi per lottare contro la catastrofe umanitaria: la corrente elettrica manca ininterrottamente da sei giorni, mancano cibo e medicinali. “Mi appello al mondo - afferma Rasmik Boghigian - perché pensi ad aiutare subito gli abitanti, inviando loro generi di prima necessità. Per tutti, non solo per gli armeni di Hassakeh. Abbiamo salvato il mondo da Daesh, e ora il mondo non può dimenticarsi di noi”. 

Al contempo, le notizie giunte ad Hassakeh sulla situazione dei cristiani armeni di Raqqa (la capitale del cosiddetto Califfato in Siria) sono rare e preoccupanti. La chiesa è chiusa e “per celebrare una messa o un sacramento” è necessario “pagare una Jizia” - la tassa coranica imposta ai non musulmani nei territori a maggioranza islamica - pari a 7 grammi e mezzo di oro. Inoltre, è vietato suonare le campane, recitare inni sacri o messe cantate e “il suono non può oltrepassare il muro della chiesa stessa”. 

Mons. Boutros Marayati, vescovo armeno cattolico di Aleppo, contattato da AsiaNews non ha voluto rilasciare alcun commento. “I tempi impongono prudenza - avverte il presule - una virtù ora più che mai necessaria in un tempo di incertezze e di veloci cambiamenti”. 

Ad Hassakeh sono rimaste circa 64 famiglie armene, composte in maggioranza da anziani; anche qui la chiesa è chiusa e gli armeni cercano di mantenere una posizione di neutralità propositiva, svolgendo a più riprese il ruolo di mediazione fra curdi e forze governative. I due fronti sono oggi divisi in due territori ben distinti; ai cristiani è permesso di passare da una zona all’altra, un elemento prezioso in molti casi per entrambi i fronti. Del resto per cure mediche bisogna recarsi nella vicina città di Qamishli, dove le strutture sanitarie sono ancora relativamente operative. 

Ad oggi resta incerto il futuro di questa provincia siriana strategica, al confine con la Turchia e l’Iraq, composta al 50% da arabi, al 40% da curdi e per il 10% da armeni. Il cessate il fuoco raggiunto fra curdi e governo siriano ha lasciato un quadro più definito. Ora la città è pressoché per intero sotto il controllo curdo, con una presenza simbolica delle forze di Damasco (fra il 10% e il 20% circa) nel territorio provinciale e, soprattutto, nel centro storico dove sorgono i palazzi governativi e amministrativi. 

Hassakeh oltre a rivestire un’enorme importanza dal punto di vista strategico - sorge fra la Turchia e l’Iraq - è anche considerata il granaio della Siria. Nell’area si produce un cotone famoso in tutto il mondo per qualità, cui si sommano i pozzi di petrolio. A marzo i curdi hanno dichiarato la zona una “regione autonoma”, con la città che ne è diventata parte integrante. Essi hanno assunto il controllo anche della vicina Qamishli e considerano la città “una zona dalla quale le forze del regime di Damasco devono sloggiare”. Meskin Ahmed, leader curdo della regione autonoma, afferma che il governo deve “riconoscere de facto l’amministrazione autonoma”. 

Una sola cosa unisce tutti gli abitanti di Hassakeh: “No alla presenza della Turchia qui”. Attorno a questo slogan sono tutti pronti e decisi a combattere con le unghie e con i denti. 

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