20/11/2024, 15.03
HONG KONG-CINA
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Gwyneth Ho: 'Le condanne non cancellano la verità su Hong Kong'

di Gwyneth Ho *

La riflessione fatta uscire dal carcere da una delle 45 persone condannate ieri a pene pesantissime per aver organizzato elezioni primarie a Hong Kong. "Abbiamo osato chiedere: la democrazia sarà mai possibile qui? La risposta è stata un giro di vite su tutti i fronti". L'appello al mondo: "Difendete e riparate le vostre democrazie. Date ai dittatori autoritari un esempio in meno di fallimento e ai combattenti per la libertà un'ispirazione in più per continuare la propria lotta". 

Hong Kong (AsiaNews) - Il giorno dopo le pesantissime condanne inflitte ai 45 attivisti pro-democrazia accusati di "sovversione" per aver organizzato nel 2020 elezioni primarie per organizzare il consenso del proprio fronte in vista del voto per l'Assemblea legislativa, a Hong Kong oggi è stato il giorno dell'inizio dell'interrogatorio in tribunale per Jimmy Lai, l'imprenditore cattolico fondatore del quotidiano Apple Daily, anche questo messo a tacere per volontà di Pechino. Il primo giorno di un interrogatorio che si annuncia lungo, in cui rispondendo alle domande della difesa Lai ha negato di aver mai sostenuto la violenza, né "l'idea folle di una Hong Kong indipendente" e replicato all'accusa di "collusione con forze straniere". Spiegando che dietro all'Apple Daily c'è sempre stata una sola idea: "Più informazioni si hanno, più si è informati, più si è liberi".

Sul senso di queste battaglie e di quanto sta accadendo a Hong Kong pubblichiamo qui sotto una riflessione di Gwyneth Ho, giornalista in carcere dal 2021, che è tra le persone condannate ieri: le sono stati comminati sette anni di detenzione. Una pena particolarmente severa dovuta al fatto di non essersi nemmeno formalmente dichiarata colpevole, cosa che le avrebbe garantito uno sconto di pena. Dopo un lungo silenzio, ieri sul suo profilo Facebook è comparsa una lunga riflessione che è riuscita a far uscire dal carcere perché fosse diffusa nel giorno della sentenza. Ne pubblicamo qui sotto ampi stralci in una nostra traduzione.

 

Mi sono candidata alle ultime elezioni libere ed eque di Hong Kong. Per questo, sono stata rinviata a giudizio nel primo caso di sovversione di stampo sovietico(?)/comunista cinese giudicato in un tribunale di common law. Mi sono dichiarata non colpevole per difendere l'espressione politica di 610.000 persone di Hong Kong, che il regime sta cercando di distorcere e ridurre a una cospirazione di 47 pedine straniere e infedeli, con l'ergastolo sul tavolo.

La situazione è disastrosa, eppure, se si entra nei dettagli, diventa anche un po' comica: l'imperdonabile atto sovversivo degli accusati mirava a ottenere una maggioranza parlamentare con il potere di porre il veto sul bilancio annuale. Seguendo questa logica, si potrebbe affermare che le democrazie di tutto il mondo subiscono tentativi di sovversione ogni 4-6 anni. In una realtà simile a quella descritta nel libro “1984”, però, la democratizzazione - o la semplice richiesta di democratizzazione - equivale alla sovversione del potere statale. Tutto ciò ha perfettamente senso.

Dietro la retorica della secessione, della collusione con forze straniere, ecc. il nostro vero crimine per Pechino è che non ci siamo accontentati di stare al gioco in elezioni manipolate. Ci siamo organizzati per superare la frammentazione partitica, ci siamo riuniti e abbiamo cercato di avere successo. Abbiamo osato cercare di raggiungere un potere effettivo per chiedere al governo di rispondere del proprio operato. Anche se tutto questo è sancito come diritto del popolo dalla Basic Law di Hong Kong, Pechino non ha mai pensato di vederlo realizzato.

Abbiamo osato affrontare il regime con la domanda: la democrazia sarà mai possibile all'interno di una simile struttura? La risposta è stata un giro di vite completo su tutti i fronti della società. Il nostro caso, che ha coinvolto politici e attivisti democratici di ogni genere, è stato visto come il punto di svolta in cui Hong Kong è diventata una causa persa. La gente è stata spaventata e costretta a rinunciare alla speranza di democrazia a Hong Kong.

Seduta sul banco degli imputati, ho ripercorso con la mente i processi storici di cui avevo letto. A distanza di decenni, le difese coraggiose e dignitose sembravano i mattoni naturali della vittoria finale. Ma in quel preciso momento, quando il regime sembrava infallibile e il cambiamento non era in vista, perché si sceglie ancora di combattere nonostante la certezza della condanna?

La narrazione proposta dall'accusa non è solo una distorsione dei fatti o una minaccia per l'opinione pubblica. Va molto più in profondità: costringe gli accusati a rinnegare le loro esperienze vissute. Ti dice che la solidarietà genuina era solo un'illusione. Che i legami, l'unità, le conversazioni oneste tra persone così diverse eppure così legate tra loro non possono essere reali. Che la difficile costruzione di un collettivo unito nella differenza con una visione condivisa per un futuro migliore è solo un sogno utopico.

Invece no. Non sono solo sogni idealistici, ma la realtà che ho vissuto. Ho scelto di lottare per dimostrare che tali legami non solo sono possibili, ma sono stati effettivamente vissuti e continuano a vivere. L'unica illusione è credere che l'oppressione brutale possa negare la loro esistenza.

Non è una responsabilità né un obbligo morale. È il forte impulso che ho dentro di me a rendere giustizia a ciò di cui sono stata testimone e che ho vissuto, perché costituiscono parte di me e definiscono chi ero. E ora definirà chi sono.

Mi trovo da sola di fronte a queste accuse, non come singolo individuo, ma come una di quelli che sono scesi in piazza e hanno alzato la voce per chiedere l'autonomia della città. Così come tutti quelli che si sono trovati nella stessa posizione di fronte a tribunali ingiusti in qualsiasi parte del mondo.

Ho viaggiato lontano con le parole, dalla Russia contemporanea, alla Cina continentale, alla Thailandia, alla Chicago del XX secolo, a Taiwan, a Pretoria. Ho incontrato innumerevoli volte Navalny, i cui casi depositati presso la Corte europea dei diritti dell'uomo sono ora aperti a tutti gli accusati politici del mondo, che potranno citarli nelle loro battaglie legali. E in questo caso specifico, chi altro ha più da offrire dei difensori dei diritti umani della Cina continentale?

Nessuno di noi ha vinto le proprie cause. Molti di quelli di cui ho letto stanno ancora scontando pene severe in luoghi sconosciuti, inascoltati e dimenticati. La maggior parte di loro non avrà mai la possibilità di sapere quanto mi hanno ispirato: l'unico modo per onorarli era combattere la migliore battaglia possibile. E così ho fatto.

Sono stata mandata in isolamento per aver confutato la falsa testimonianza di un testimone dell'accusa dal banco degli imputati. Poco prima avevo letto della bielorussa Maria Kolesnikova. Il suo caso era a porte chiuse, ma gli avvocati hanno rischiato la loro qualifica per rivelare che il giorno del verdetto, la Kolesnikova ha fatto la sua ultima dichiarazione, poco meno di 3 ore, sulla “scelta morale, sull'amore per le persone, sul futuro della Bielorussia”.

Ho provato a immaginare che cosa significhi fare un discorso solo tra persone che sono state complici nel privarti della libertà, guardando i loro volti apatici (se non addirittura beffardi). Non ci sono riuscita. Eppure lei lo ha fatto. Ha riversato il suo cuore in un discorso di cui sapeva che nessuno avrebbe sentito una parola.

Era violentemente ammutolita, ma il suo riverbero ha attraversato tutto il continente eurasiatico, superando tribunali chiusi e divieti di denuncia, muri recintati e censura per raggiungermi nel momento in cui ne avevo più bisogno. Mi sono sentita vicina a lei, anche se forse non la incontrerò mai. La sento cara.

Oggi nessuna democrazia è immune dalla crisi di legittimità che deriva da un deficit di fiducia dei cittadini. Gli appelli al governo “ordinato” ed “efficiente” dell'autoritarismo crescono inesorabilmente. Le notizie di movimenti infruttuosi e le continue sofferenze dei combattenti per la libertà perseguitati in luoghi lontani e senza speranza sono certamente scoraggianti.

Ma voi potete certamente aiutare molto. Difendete e riparate la vostra democrazia. Respingete la corruzione del potere, ripristinate la fede nei valori democratici attraverso l'azione. Date ai dittatori autoritari un esempio in meno di democrazia fallita per giustificare il loro dominio e ai combattenti per la libertà di tutto il mondo un'ispirazione in più per continuare la lotta con alternative migliori. Combattete sul terreno a voi più familiare e caro. Dimostrate al mondo in ogni momento possibile, per quanto piccolo, che vale la pena lottare per la democrazia.

Perché se da un lato la sofferenza può suscitare preoccupazione e compassione, dall'altro offusca e riduce chi la subisce a una vittima pietosa ma senza carattere, parte di un numero senza nome. Ciò che definisce veramente la nostra identità non è la sofferenza in sé, ma il modo in cui la affrontiamo. È nell'azione che ci si definisce, e solo le persone che sanno veramente chi sono possono aprirsi, creare nuove connessioni nelle circostanze più inaspettate e portare un cambiamento. È per le meraviglie della diversità umana, della creatività e della possibilità, per un mondo in cui possiamo connetterci come siamo davvero, che osiamo agire e osiamo soffrire.

A definire l'identità non è la sofferenza, ma come la affrontiamo. Se la situazione di oggi è il destino inevitabile di Hong Kong, almeno nel 2019 abbiamo scelto di affrontarlo, di non restare nel villaggio della "libertà virtuale" per poi lasciarlo alle generazioni future.

La democrazia e la libertà non significano mai tranquillità: la vera democrazia è quando le voci si sovrappongono e diventano molto rumorose (i cittadini di Hong Kong dovrebbero averlo capito bene), e la libertà è poter scegliere, pensare, decidere e assumersi la responsabilità. Se ci si limita a indignarsi, a sostenere gli altri, ad aiutarli, a fare ciò che è moralmente giusto senza riflettere su che cosa vogliamo veramente, è difficile percepire la libertà. La libertà è il momento in cui ti rendi conto di "poter farcela".
Incontrerai molte limitazioni e ostacoli, ma proprio confrontandoti con la realtà scoprirai chi sei, e attraverso i continui dubbi su te stesso, potrai affinare una vera e propria determinazione.

La storia non la scrivono i vincitori, ma quanti hanno volontà e libertà. Il corpo di questa città non scomparirà, la sua anima antica è morta, ma la nascita di una nuova vita è inevitabilmente dolorosa. Nessuno può definire "che cos’è Hong Kong", ma ciascuno può allargare il perimetro di "che cosa può essere Hong Kong".

Le scelte e azioni che ho compiuto sono la mia risposta a "che cosa può essere Hong Kong". La gioia di imparare e la felicità di riuscire a sincronizzarmi con gli altri oltre ogni difficoltà sono i miei più grandi risultati. Se potrò continuare a crescere, spero di farlo.

Ora, sono senza nulla, sola con le conoscenze che ho studiato, con il coraggio che ho testimoniato e con la passione in cui mi sono immersa. Sono grata che la curiosità rimanga e che la determinazione sia limpida. Spero sinceramente che tu abbia il coraggio di affrontare te stesso, di aprirti, di esplorare il mondo, di percepire gli altri e di non accontentarti dell'illusione della "libertà di pensiero". Devi essere libero nel mondo reale. "Che cosa può essere Hong Kong?". Mi aspetto di vedere ancora molte altre risposte.

 

* giornalista, condannata a 7 anni di carcere a Hong Kong

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