Gli scontri fra sauditi e iraniani affossano il summit per la Cooperazione islamica
Gli analisti del mondo arabo si chiedono “quanto resti oramai di islamico nell’Organizzazione della conferenza islamica”. Il vertice sembra oramai un “tutti contro tutti”, con posizioni distanti persino sulla lotta al terrorismo. Gli interessi dei singoli Stati prevalgono sul dialogo. Il presidente di Teheran abbandona il vertice accusando Riyadh di giocare dietro le quinte.
Istanbul (AsiaNews) – Dopo aver assistito alla “sepoltura della Lega Araba” in seguito all’espulsione della Siria, “dobbiamo forse ora vedere la lenta ed inesorabile agonia dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (Oci)?”. La domanda viene da Talal Salman, un analista libanese che ha espresso la propria perplessità sulle pagine del quotidiano libanese As Safir. Egli conclude sottolineando che nella Cooperazione islamica “di islamico ne è rimasto davvero poco”.
Tenutosi dal 14 al 15 aprile, il 13mo summit dell’Oci ha visto la partecipazione di oltre 50 Stati (su 57 membri), e 30 capi di Stato fra i quali il presidente iraniano Rouhani, il turco (Paese ospitante) Erdogan ed il sovrano saudita Salman. L’incontro aveva un titolo ambizioso “Sessione di unità e solidarietà per la Pace e per la Giustizia”. Di “unità” sembra essere sopravvissuto soltanto il titolo.
Poche ore dopo la lettura dell’ordine del giorno, tutti gli osservatori hanno potuto captare una netta divisione fra musulmani “di serie A”, ai quali andava espressa solidarietà (i turchi ciprioti, azeri contro armeni, sauditi contro l’Iran ed Hezbollah); e naturalmente i musulmani “di serie B”, che non godono della benedizione di Riyadh: i curdi, i bahreniti, gli yemeniti, i siriani, la Somalia, la Palestina e naturalmente i libanesi sciiti e l’Iran.
Il passaggio della presidenza dall’Egitto alla Turchia è avvenuto senza nemmeno una stretta di mano, un chiaro fallimento della mediazione di conciliazione fra Egitto e Turchia voluta dall’Arabia Saudita: il ministro degli esteri egiziano Sameh Shokri ha letto il suo discorso in nome del presidente Abdel Fatah El Sissi ed è andato via, lasciando l’aula e perfino il Paese, senza nemmeno aspettare di rappresentare la sua nazione nella foto ricordo di gruppo. In tutto “il suo passaggio in Turchia è durato meno di due ore”, si legge sul quotidiano turco Yeni Şafak.
Un altro “abbandono illustre” del Summit prima del comunicato conclusivo è stato quello del presidente iraniano Rouhani il quale – avendo appreso che nel testo erano inclusi quattro punti di condanna contro l’Iran, Paese fondatore dell’Oci – ha subito disertato le sedute. Rouhani era venuto con uno spirito di pace e di apertura e aveva dichiarato: “Il rafforzamento dell’unione islamica, nella situazione attuale, è uno dei doveri principali dell’Oci”. Egli si era inoltre augurato, qualche ora prima dell’inizio del Summit e durante un incontro con il premier turco Davutoglu, di “poter rafforzare i rapporti di cooperazione di unione e coesione fra i Paesi islamici” aggiungendo che l’Oci “purtroppo non era riuscita, fin’ora, ad adempiere alla sua missione in modo soddisfacente” invitando tutti a “unire le mani per investire e garantire lo sviluppo dell’intera Regione”.
Un ottimismo a quanto pare durato poco. Nel corso dell’incontro avuto ai margini del Summit con il presidente del Senegal, dopo essersi accertato degli accordi intrapresi dietro le quinte fra l’Arabia Saudita e molti Paesi poveri membri dell’Oci ed avendo questa ottenuto un consenso di appoggi alla sua politica anti-iraniana, lo stesso Rouhani dichiarava qualche ora dopo che “i nemici dell’Islam tentano da una parte di far radicare la divisione e gli scontri nel seno nel mondo islamico, ricorrendo dall’altra parte allo sfruttamento dei gruppi terroristici che pretende essere di matrice islamica ”. Egli ha poi deplorato “la proliferazione della violenza e del terrorismo nel mondo islamico” prima di sottolineare che “la Repubblica Islamica dell’Iran ha sempre garantito il suo appoggio agli Stati che hanno chiesto il suo aiuto nella lotta al terrorismo”.
A nessuno è sfuggito il perseverare dell’Arabia Saudita nei suoi tentativi falliti da anni di creare un conflitto inter-confessionale islamico fra sunniti e sciiti, come ha specificato il direttore generale delle questioni politiche e di sicurezza del Ministero degli esteri iraniano Hamid Buaidi Nijad. Questi ha poi affermato che “l’Arabia Saudita ha insistito fino alla fine nel battere sui tamburi della fitna (divisione conflittuale fra diverse confessioni dell’islam sopratutto fra sunniti e sciiti) e la divisione, nonostante il discorso costruttivo del presidente Rouhani”, mentre il capo della commissione di Sicurezza Nazionale e di Politica Estera nel Parlamento iraniano Alaeldin Brogerdi accusava l’Arabia Saudita, senza mezzi termini di essere “la fautrice della divisione all’interno del mondo islamico”.
Nel documento conclusivo di 200 punti un comma è stato consacrato a condannare Hezbollah ì, definito dai quotidiani libanesi “l’unico gruppo islamico rimasto a lottare contro Israele e contro l’Isis”. Nel documento finale dell’Oci è stato definito “organizzazione terroristica”: questo articolo non è stato votato dalla delegazione libanese, che ha insistito sulla “necessità di non interferenza negli affari interni di altri Paesi membri”. A sostenere il Libano non votando a favore sono stati anche la Tunisia, l’Iraq e l’Algeria: dal momento che le risoluzioni devono essere prese all’unanimità, la Oci sembra aver ancora una volta fallito nell’adottare qualsiasi risoluzione valida a tutti gli effetti.
“Nessun accenno naturalmente all’intervento armato dell’Arabia Saudita nel Bahrein o nello Yemen” ha notato un analista libanese. Mentre l’appello rivolto a “liberare i territori del Karabakh occupati dall’Armenia” (mentre in realtà l’Armenia come Repubblica non occupa alcun territorio azero) è stato considerato dall’analista turco Ozgur Gondim, come uno sfogo dei “perdenti nella guerra in Siria, Turchia, Israele ed Arabia Saudita” che cercano di trovare consolazione in Karabakh “stando a fianco dell’Azerbaidjan per compensare le sconfitte da loro registrate in Siria”.
Infine per la Palestina un semplice invito a “riprendere i negoziati di pace e dare un nuovo slancio al processo di pace”.
13/07/2017 10:49