Gli attentati contro gli investimenti cinesi in Pakistan, un problema per Pechino e Islamabad
In sette giorni tre attacchi hanno colpito i progetti infrastrutturali in Pakistan finanziati da Pechino. Il premier Shehbaz Sharf dovrebbe recarsi in Cina il prossimo mese per consolidare l'agenda economia ma è probabile che il lancio di nuovi progetti subirà un arresto, sostengono gli analisti. Nonostante l'ultimo attentato suicida non sia stato rivendicato, diversi gruppi hanno motivi per colpire i cinesi.
Islamabad (AsiaNews) - Il 26 marzo cinque ingegneri cinesi e un autista pakistano sono stati uccisi in un attentato suicida a Besham, una città a circa 270 chilometri a nord-ovest da Islamabad nella provincia del Khyber Pakhtunkhwa. L’attacco, il terzo in sette giorni contro gli interessi cinesi, va a sommarsi a una serie di episodi simili avvenuti negli ultimi anni che rischiano di mettere a repentaglio gli investimenti di Pechino in Pakistan.
Gli ingegneri cinesi vittime dell’attentato si stavano dirigendo verso Dasu, dove è in costruzione di una diga da 4,2 miliardi di dollari parte del corridoio economico tra Cina e Pakistan (CPEC), che a sua volta rientra nella Belt and Road Initiative lanciata da Pechino nel 2013. I portavoce del ministero degli Esteri cinese hanno condannato l’attacco, ribadendo allo stesso tempo l’importanza delle relazioni tra i due Paesi, che non sono solo “partner cooperativi strategici” ma anche “fratelli”: “La Cina chiede al Pakistan di indagare tempestivamente sull’episodio, di compiere ogni sforzo per arrestare i responsabili e assicurarli alla giustizia, e di adottare misure pratiche ed efficaci per proteggere la sicurezza dei cittadini cinesi” ha dichiarato il ministero, aggiungendo anche che “qualsiasi tentativo di indebolire la cooperazione sino-pakistana non avrà mai successo”.
Il Pakistan, che dipende dagli investimenti cinesi (pari a 62 miliardi di dollari per il CPEC) a causa della mancanza di liquidità, ha formato un comitato che avrà il compito di indagare sull’accaduto. Anche perché, a differenza del passato, nessun gruppo - né i talebani pakistani, né gli indipendentisti beluci, né le cellule locali dello Stato islamico - ha rivendicato l’attacco di Besham. Ragione per cui, secondo diversi analisti, l’attentato è probabilmente stato compiuto da “terroristi mercenari”: si tratta di militanti che “si spostano da un'organizzazione all'altra, raramente perseguono il jihad per ragioni ideologiche”, ha spiegato il ricercatore Khuram Iqbal. “Piuttosto, agiscono in modo pragmatico, molto spesso per incentivi finanziari”.
La diga di Dasu era già stata presa di mira nel 2021: in un attentato attribuito ai Tehreek-e Taliban Pakistan (TTP, i talebani pakistani) erano morti 13 cittadini cinesi e 4 pakistani, che anche in quel caso stavano viaggiando in autobus verso il progetto infrastrutturale. La settimana scorsa, invece, un attacco al porto di Gwadar (considerato il fiore all’occhiello del corridoio economico tra Cina e Pakistan) e un successivo attentato a una base navale nel sud-ovest del Pakistan sono stati perpetrati dagli indipendentisti beluci, che si sentono depredati delle loro risorse da parte di Pechino. Non è una novità: l’Esercito di liberazione del Belucistan aveva già compiuto una serie di attentati contro i cinesi, colpendo anche obiettivi slegati dagli investimenti. Ad aprile 2022, per esempio, una donna kamikaze si era fatta esplodere appena fuori dall’Università di Karachi uccidendo tre insegnanti cinesi e il loro autista pakistano. Ma anche lo Stato islamico ha le proprie ragioni per colpire Pechino: secondo l’analista Zaigham Khan, i militanti dell’Isis si oppongono agli abusi contro gli uiguri, la minoranza turcica di fede islamica che abita la provincia autonoma dello Xinjiang, localizzata al confine con la regione pakistana del Gilgit-Baltistan.
Indipendentemente dai mandanti, i continui attentati contro i cittadini cinesi sono un problema anche per Islamabad. Il prossimo mese il primo ministro Shehbaz Sharif dovrebbe andare in Cina per rafforzare i legami commerciali con Pechino, ma è probabile che questi passeranno in secondo piano. “I cinesi non porteranno avanti alcun importante impegno economico con il Pakistan”, secondo Muhammad Shoaib, professore all'Università Quaid-i-Azam di Islamabad. “La Cina è anche preoccupata per l'instabilità politica in Pakistan”. Un’opinione condivisa anche da Michael Kugelman, direttore del South Asia Institute del Wilson Center. Le tensioni in Pakistan probabilmente impediranno “il lancio di nuovi grandi progetti. L'idea è di finire ciò che è già stato iniziato”, ha commentato, aggiungendo che Pechino potrebbe chiedere l’intervento di personale cinese per garantire la sicurezza dei propri cittadini, una richiesta che Islamabad aveva più volte rifiutato in passato: “Potrebbe non passare molto tempo prima che la Cina chieda di far intervenire il proprio personale di sicurezza, il che sarebbe motivo di imbarazzo per il Pakistan”, ha proseguito Kugelman. Il recente attacco “potrebbe intensificare quello che è stata a lungo una rara questione di tensione bilaterale”.
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