Gli anni in Giappone, via alla santità per p. Arrupe
Durante la cerimonia di chiusura della fase diocesana del processo di beatificazione del religioso spagnolo che guidò la Compagnia di Gesù dal 1965 al 1983 ricordati i suoi 27 anni in missione tra Tokyo e Hiroshima. Con il suo amore per il popolo e la cultura giapponese e il servizio eroico tra le migliaia di feriti dell'esplosione dell'atomica del 6 agosto 1945.
Roma (AsiaNews) - Un missionario che ha profondamente amato il popolo giapponese, servendolo anche nella sua ora più drammatica: quella della vicinanza alle vittime del primo bombardamento atomico a Hiroshima nel 1945. Ha voluto espressamente ricordare anche questo aspetto della vita di p. Pedro Arrupe (1907-1991), oggi, l’arcivescovo Baldo Reina, vicario del papa per la diocesi di Roma, durante la cerimonia di chiusura della fase diocesana del processo di beatificazione del gesuita spagnolo che dal 1965 al 1983 è stato il 28° preposito generale della Compagnia di Gesù. “Un uomo fedele e obbediente alla Chiesa e un coraggioso profeta del rinnovamento conciliare”, lo ha definito mons. Reina durante la seduta del tribunale diocesano che ha consegnato ufficialmente al Dicastero per le Cause dei santi il materiale raccolto nell’indagine sulla santità della vita e delle opere di questa figura importante della Chiesa del Novecento.
La cerimonia odierna - svoltasi alla presenza dell'attuale preposito generale p. Arturo Sosa - si è tenuta nello stesso giorno in cui p. Arrupe era nato a Bilbao nel 1907. Entrato nel noviziato dei gesuiti nel 1927, aveva domandato con insistenza di essere destinato come missionario in Giappone terra in cui poi svolse il suo ministero per ben 27 anni. Vi arrivò nel 1938 e inizialmente prestò servizio a Tokyo nella parrocchia di Yamaguchi, in una zona evangelizzata dallo stesso san Francesco Saverio. Con l’ingresso del Giappone nella Seconda Guerra mondiale fu anche arrestato e interrogato in quanto straniero. Poi nel 1942 fu destinato a Nagatsuka, il noviziato dei gesuiti a Hiroshima di cui divenne vice-rettore. E fu proprio in questa città del Giappone che il 2 febbraio 1943 compì la sua professione solenne. Ma in quel convento alla periferia di Hiroshima p. Arrupe si trovò soprattutto a essere testimone diretto del bombardamento atomico americano la mattina del 6 agosto 1945.
“Ero nella mia stanza con un altro sacerdote quando improvvisamente abbiamo visto una luce accecante, come un lampo di magnesio - scrisse ricordando quella drammatica giornata -. Quando ho aperto la porta che dava sulla città, abbiamo sentito un'esplosione formidabile, simile allo scoppio di un uragano. Contemporaneamente porte, finestre e muri ci caddero addosso in mille pezzi: fummo scaraventati a terra”.
“Non dimenticherò mai - continuava p. Arrupe - la mia prima visione di quello che fu il risultato della bomba atomica: un gruppo di giovani donne, di diciotto o vent'anni, aggrappate l'una all'altra mentre si trascinavano lungo la strada. Una aveva una vescica che le copriva quasi il petto; aveva ustioni su metà del viso e un taglio sul cuoio capelluto causato probabilmente dalla caduta di una tegola, mentre una grande quantità di sangue le scorreva liberamente sul viso. La processione continuava ad avanzare, con un numero di circa 150mila persone. Questo fu l’orrore di Hiroshima. ... Facemmo l'unica cosa che si poteva fare in presenza di un tale massacro di massa: ci inginocchiammo e pregammo per avere una guida, poiché eravamo privi di qualsiasi aiuto umano”.
In quel frangente il gesuita si diede da fare per organizzare un ospedale da campo all’interno del noviziato stesso, che si trovava fori dall’area più direttamente interessata dall’esplosione. Prima di entrare nella Compagnia di Gesù aveva studiato medicina in Spagna; così si diede da fare lui stesso per assistere 200 pazienti con il poco che avevano a disposizione.
Nel 1958 poi, quando i gesuiti istituirono la Provincia del Giappone, p. Arrupe ne divenne il primo superiore, incarico che mantenne fino all’elezione come preposito generale nel 1965. “Tutta la sua missione in Giappone – ha ricordato oggi a Roma mons. Reina - fu una lunga tappa della sua vita, in cui mise a disposizione il meglio di sé. Unico suo punto di riferimento fu l’incontro con la lingua, gli usi, la cortesia, il modo di pensare e di sentire dei giapponesi”.
02/08/2021 12:44