Gli Stati del Golfo temono la “coscienza politica” degli emigrati nepalesi
Kathmandu (AsiaNews) – Milioni di lavoratori nepalesi emigrati negli Stati del Golfo rischiano il licenziamento se non si asterranno subito da qualsiasi attività politica. I loro datori di lavoro temono la partecipazione a organizzazioni partitiche legate alla madrepatria, i cui leader vengono invitati spesso in conferenze e incontri nelle monarchie del Golfo, a spese degli stessi migranti economici.
Fonti del ministero degli Esteri nepalese informano che Qatar, Arabia Saudita, Oman, Baharain e altri Stati hanno sollevato la questione in modo ufficiale con le autorità di Kathmandu. Secondo i dati del governo del Nepal, nei Paesi del Golfo vivono e lavorano almeno un milione di lavoratori. Altre stime non ufficiali parlano invece di circa due milioni impiegati in manodopera illegale. Tutti loro fanno parte almeno di un partito politico nepalese o “gemello” di quelli esistenti nella madrepatria.
Funzionari di governo riferiscono che i cittadini che lavorano all’estero raccolgono fondi e organizzano visite di leader politici negli Stati in cui risiedono, oltre a eventi culturali e sportivi. I Paesi di accoglienza non vedono di buon occhio tali attività, che spingerebbero i migranti a maturare una “coscienza politica”.
Il ministero degli Esteri nepalese fa sapere di aver già avvisato i propri cittadini all’estero, che d’ora in poi dovranno astenersi da qualsiasi attività che potrebbe compromettere i rapporti commerciali con le monarchie del Golfo.
Tara Prasad Pokhrel, portavoce del ministero, ha dichiarato: “I Paesi dell’area non hanno ancora fatto richieste specifiche, ma i lavoratori devono assumere con serietà responsabilità e obblighi nei luoghi di residenza”. “Questi Stati – ha aggiunto – sono molto importanti per noi e sono destinazioni privilegiate dei nostri cittadini. I lavoratori all’estero contribuiscono in maniera determinante al Pil nazionale. Essi devono cessare ogni iniziativa che possa urtare i datori di lavoro”.
Yagya Bahadur Hamal, ambasciatore del Nepal in Kuwait, ha detto: “I Paesi [del Golfo] sono più rigidi in termini di politica e tradizioni religiose”. Il suo collega Harischandra Gimire, ex capo della divisione consolare in Qatar, conferma: “I lavoratori migranti devono evitare ogni attività connessa con la religione e la politica”.
Da anni le organizzazioni in difesa dei diritti umani lamentano una scarsa protezione legislativa dei lavoratori nepalesi all’estero. Alcuni Stati del Golfo hanno anche impedito loro di far ritorno a casa per visitare i parenti o dare l’estremo saluto ai defunti, dopo il terremoto dell’aprile 2015. In Qatar inoltre è il vigore il cosiddetto sistema della “kafala”, che lega il dipendente al suo datore di lavoro, impedendogli di cambiare impiego fino allo scadere del contratto o senza il permesso del titolare.
Associazioni umanitarie denunciano che spesso vengono confiscati i passaporti, non esistono pagamenti regolari e le assicurazioni sanitarie sono limitate. La Confederazione internazionale dei sindacati ha sottolineato quindi la “facilità di sfruttamento” in simili condizioni.